Venerdì, 09 Febbraio 2018 22:12

Cognetti a L'Aquila con 'Le otto montagne', "la storia di tutta la montagna italiana"

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La montagna non è solo neve e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all'altro, silenzio, tempo e misura.

Lo sa bene Paolo Cognetti, che tra una vetta e una baita ha ambientato 'Le otto montagne', un romanzo potentissimo, magnetico e adulto; una storia di amicizia tra due ragazzi - e poi due uomini - cosí diversi da assomigliarsi, un viaggio avventuroso e spirituale fatto di fughe e tentativi di ritorno, alla continua ricerca di una strada per riconoscersi. "Si può dire che abbia cominciato a scrivere questa storia quand'ero bambino, perché è una storia che mi appartiene quanto mi appartengono i miei stessi ricordi. In questi anni, quando mi chiedevano di cosa parla, rispondevo sempre: di due amici e una montagna. Sí, parla proprio di questo".

Lo scrittore, tra i più apprezzati dalla critica e amati dai lettori, col romanzo si è aggiudicato il prestigioso 'Premio Strega'; è arrivato a L'Aquila nel pomeriggio, per presentarlo su invito del Cai. "E' un gesto di amicizia, tra una persona che abita sulle Alpi e che ha iniziato a conoscere l'Himalaya, e la gente di queste montagne", ha spiegato.

Cognetti racconta "una montagna abbandonata: questa è la storia di tutta la montagna italiana, Alpi e Appennini senza distinzione - ha sottolineato - una montagna che alcuni, pochi, amano ancora molto, tanto che fanno di tutto per ripopolarla, per tornarci a vivere e riempirla d'amore. Questo è anche un messaggio di ottimismo, un invito a incontrarci sulle montagne, a vedere se riusciamo a fare qualcosa". 

'Le otto montagne' "nasce da due età diverse della mia vita: l'infanzia, in cui la montagna era luogo dell'estate, di grande felicità e libertà; poi l'ho dimenticata, per diversi anni, e infine ritrovata, dopo i trent'anni, ed eccomi in età adulta: è diventata qualcosa di diverso, non più luogo della vacanza ma di una nuova vita, in montagna sono andato a vivere dopo un periodo difficile, è luogo non soltanto di solitudine ma anche di relazioni, di nuove amicizie che sono diventate importanti per me. Da tutto questo è nata la trama del romanzo", le parole di Cognetti.

Una trama che racconta di Pietro appunto, ragazzino di città, solitario e un po' scontroso. La madre lavora in un consultorio di periferia, e farsi carico degli altri è il suo talento. Il padre è un chimico, un uomo ombroso e affascinante, che torna a casa ogni sera dal lavoro carico di rabbia. I genitori di Pietro sono uniti da una passione comune, fondativa: in montagna si sono conosciuti, innamorati, si sono addirittura sposati ai piedi delle Tre Cime di Lavaredo. La montagna li ha uniti da sempre, anche nella tragedia, e l'orizzonte lineare di Milano li riempie ora di rimpianto e nostalgia. Quando scoprono il paesino di Grana, ai piedi del Monte Rosa, sentono di aver trovato il posto giusto: Pietro trascorrerà tutte le estati in quel luogo «chiuso a monte da creste grigio ferro e a valle da una rupe che ne ostacola l'accesso» ma attraversato da un torrente che lo incanta dal primo momento.

E lí, ad aspettarlo, c'è Bruno, capelli biondo canapa e collo bruciato dal sole: ha la sua stessa età ma invece di essere in vacanza si occupa del pascolo delle vacche. Iniziano cosí estati di esplorazioni e scoperte, tra le case abbandonate, il mulino e i sentieri piú aspri. Sono anche gli anni in cui Pietro inizia a camminare con suo padre, «la cosa piú simile a un'educazione che abbia ricevuto da lui». Perché la montagna è un sapere, un vero e proprio modo di respirare, e sarà il suo lascito piú vero: «Eccola lí, la mia eredità: una parete di roccia, neve, un mucchio di sassi squadrati, un pino». Un'eredità che dopo tanti anni lo riavvicinerà a Bruno. 

Ultima modifica il Venerdì, 09 Febbraio 2018 23:31

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