Ho preferito attendere alcuni giorni prima di commentare le 'sensibilità' espresse sulla candidatura della Transumanza a “bene immateriale dell’umanità e patrimonio dell’UNESCO” da autorevoli studiosi come da 'ignoranti' (in quanto ignorano, non sanno) del 'fenomeno transumante' che l’hanno descritto con tratti tra il folkloristico ed il caricaturale.
Mi permetto, quale Direttore dell’Associazione Culturale per la Storia della Civiltà della Transumanza, ma soprattutto da semplice ed appassionato cultore, promotore all’inizio degli anni ’80 della riscoperta della Transumanza - grazie alla guida ed al contributo scientifico di aquilani come il prof. Alessandro Clementi ed il dott. Walter Capezzali (dai quali ho attinto copiosamente per questo articolo) e dei 'fratelli' di Foggia, come il dott. Franco Galasso, il dott. Geppe Inserra, il dott. Antonio Vitullo, il dott. Pasquale Di Cicco -, di contestare l’affermazione di chi riduce il millenario fenomeno transumante al solo aspetto economico affermando si tratti di una "riesumazione completamente aleatoria, immaginaria, di un fenomeno scomparso da oltre un secolo e per di più strettamente materiale perché si riferisce alle pecore, a qualcosa di tangibile, di finanziario. L’immaterialità della Transumanza non riesco a vederla in nessuna forma".
Così non capisco come si possa speculare su un 'derby' tra Transumanza e Perdonanza: la prima fenomeno storico e protostorico, economico, sociale, culturale, 'natura' ed 'essenza' dell’Abruzzo, aquilano in particolare, e quindi al tempo stesso 'materiale ed immateriale'; la seconda rievocazione e rivisitazione di un 'atto' storico, di grandi implicazioni e significati ideali e morali, ma pur sempre un momento della storia cittadina, religiosa e civile. Entrambi debbono trovare l’attenzione internazionale ed il riconoscimento al quale sono candidate, ma non vanno messe in contrapposizione, sono due 'cose' diverse.
L’Aquila non esisterebbe senza la Transumanza, a partire dalla sua fondazione; la Perdonanza non ci sarebbe senza la Transumanza, così come l’Abruzzo interno sarebbe restato nei millenni un luogo inaccessibile e povero, arretrato socialmente e culturalmente, senza le ricchezze 'frutto' delle pecore e del sacrificio dei nostri avi pastori. Le colonne tortili di Collemaggio 'belano' ed 'odorano' di pecora! Transumanza e Perdonanza sono legate a doppio filo e male hanno fatto coloro, a cominciare dalla classe politica aquilana e da una lobby culturale predominante, che contribuirono ad 'affossare' l’iniziativa volta alla riscoperta della Transumanza promosse dalla nostra Associazione con la Maxistaffetta della Transumanza da L’Aquila a Foggia e Le Giornate Internazionali di Studio sulla Transumanza, ritenute 'meno' nobili e degni di attenzione della 'rinata' e ricca Perdonanza e della 'sfilata' storica.
Mentre sono tanti ed autorevoli gli studiosi che nel mondo studiano e ricercano sul "fenomeno transumante", trans-nazionale (dalle Alpi agli Appennini, dalle Ande cilene alle Mesetas spagnole, dalla Romania alla Grecia, dal Marocco alla Turchia, dai Balcani agli Urali), ma soprattutto 'peculiare' delle nostre terre, nessuno dei nostri ragazzi, che studiano Socrate, Cesare, Marco Polo, Napoleone e la scoperta dell’America, conosce la 'Storia della Transumanza', ovvero le proprie origini; purtroppo non ne sanno molto di più i loro 'insegnanti', né si trova traccia sui testi scolastici. Ci piacerebbe che i media contribuissero, con una attenta informazione, a stimolare la gente e gli Amministratori a superare la "repulsione" per quanto “viene” dalla pecora, per la ignoranza di molti dell'essenzialità del fenomeno transumante nella cultura d'Abruzzo, Molise e Puglia.
Girando gli occhi intorno nelle nostre regioni non vediamo che montagne le quali non ci danno indicazione di come possano essersi offerte nel tempo quali fonti di reddito tanto alto da determinare la esplosione di monumenti nella nostra zona. Eppure ogni pietra, se vogliamo, stilla lavoro di uomini che dalla sterilità delle montagne seppero trarre sviluppo e ricchezza. In qual modo? Una risposta appunto è quella della Transumanza. La "Civiltà del Tratturo", è questa l’essenza vera, storica e culturale della Transumanza può e deve interessare tutti ancora oggi, per gli effetti indotti da tale attività nel mondo circostante: dagli impulsi ad una economia di solido impianto, all’ambiente ed al territorio, al sorgere di tradizioni di carattere religioso e folklorico, allo sviluppo sociale, alle implicazioni antropologiche, ai riflessi avuti nello sviluppo di centri abitati, nel sorgere di monumenti e di templi, nella promozione dell'arte e della cultura in genere. E questa "Civiltà del Tratturo" può essere letta chiaramente ancora oggi, in regioni quali l'Abruzzo, il Molise, la Puglia, regioni indelebilmente e nitidamente segnate dal periodico, rituale, impressionante movimento della transumanza; un segno rimasto nelle tradizioni locali, come nelle pietre e nelle cose di un mondo che viveva strettamente connesso a quello "scendere" e "salire" delle greggi.
Ricordo come i Tratturi, "strada delle pecore", abbiano precorso le famose vie consolari romane; taluni itinerari e diramazioni del sistema di viabilità realizzato da Roma si sono addirittura materialmente appoggiati ai tratturi, così come le più moderne vie di comunicazione (SS. 17 L’Aquila – Foggia che ricalca il Tratturo Magno). Del resto, già gli studiosi dei secoli scorsi avevano rintracciato chiari documenti che datano almeno alla fine del Terzo secolo avanti Cristo la regolamentazione dettata da Roma per l'attività della pastorizia transumante, ed all’età del bronzo le testimonianze in Abruzzo dello stagionale fenomeno migratorio verso le terre di Puglia, un fenomeno protostorico che ha segnato la Storia d’Italia.
Storia, commercio, religione, tradizione, economia, arte, urbanistica, socialità, politica, per lunghi ed intensi secoli hanno avuto, per le nostre terre, una prima giustificazione ed una prima leva motrice proprio in quel pulsare di vita pastorale che percorreva i tratturi a ritmi scontati e rituali, come una lenta circolazione di linfa vitale, come i sicuri "pistoni" di un enorme motore sociale.
Fatto indubbio che la componente più rilevante del mondo della Transumanza è quella economica anche perché ad essa si innescavano altri importanti fenomeni indotti. E qui avevano innanzi tutto il loro "posto al sole", accanto alle municipalità ed alle potenti comunità religiose, quelle famiglie, in particolare dell'Aquilano e del Foggiano, che costruiranno sugli armenti fortune resistenti nel tempo e testimoniate, tra l'altro, dalla edificazione di palazzi, di cappelle e di templi, cioè dal realizzarsi di fatti commerciali, artistici e culturali che vanno quindi e comunque ricondotti all'economia della pastorizia transumante. La "Civiltà del Tratturo" va quindi letta anche nelle pietre e nei documenti dell'Aquila e non solo dell'Aquila, ma di gran parte delle città abruzzesi, molisane e pugliesi, fino alla città di Foggia, con la prestigiosa "Dogana della Mena delle Pecore" ed il “Tribunale del Tratturo”, nella quale le finanze statali riponevano, e giustamente, le loro maggiori "sicurezze" per introiti rilevanti e garantiti.
Il compianto prof. Alessandro Clementi ha felicemente affermato, a questo proposito, che gran parte delle significative vestigia architettoniche dell'Aquila tra Trecento e Settecento "profumano di pecora", nel senso che furono proprio le pecore, con il commercio della lana in primo luogo, a permetterne la realizzazione. Piace a questo proposito ritenere L'Aquila come una sorta di "terminale nord" della transumanza (nelle sue immediate vicinanze il ramo più importante dei tratturi "sboccava" nei pascoli montani abruzzesi) e il "terminale sud" del commercio della lana e dei tessuti. Alla pastorizia transumante si appoggiava, dunque, quel ceto commerciale e borghese che accoglierà all'Aquila i corrispondenti dei commercianti fiorentini, dei lombardi, dei francesi e dei tedeschi, nei cui fondaci evidentemente confluiva il prodotto delle locali lanerie e che divulgavano in Europa la fama di una città che aveva assunto, tra Trecento e Cinquecento, il ruolo di una vera e propria "Capitale della lana".
A quanto detto dobbiamo aggiungere l'aspetto più drammatico della Transumanza: il problema delle condizioni di vita e di lavoro dei pastori. Il lavoro era svolto in condizioni di estremo disagio, di rischio, lavoro duro e sofferto, con pochi momenti di benessere e sicurezza, e molti tormenti quotidiani: dal lungo viaggio, al rischio di malattie per uomini ed animali, al pericolo dei briganti, dal rigore della gerarchia pastorale alle condizioni di vita primitive, alia lontananza di oltre nove mesi dalla famiglia. Il Pastore protagonista, quindi, dell'epopea della Transumanza, distintosi per il sacrificio ed artefice di un indotto artigianale pregevolissimo, dall'arte del legno, alla conciatura, alla caseificazione.
In definitiva, la Transumanza da sempre ha significato Abruzzo, Molise, Puglia, zone interne; la convinzione è che presa di coscienza serva a meglio far apprezzare quanto da questa tradizione è derivato, in termini economici, ma soprattutto per la cultura, le tradizioni, i rapporti sociali, la natura profondamente religiosa e solidale delle nostre popolazioni.
di Carlo Frutti, Direttore dell’Associazione Culturale per la Storia della Civiltà della Transumanza