Martedì, 16 Ottobre 2018 23:31

Festival Partecipazione: ecco perché è importante difenderlo e tutelarlo

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Abbiamo riflettuto a lungo sull’opportunità di pubblicare questo articolo; alcuni di voi lo sapranno, la società che edita NewsTown ha svolto l’attività di ufficio stampa locale per la terza edizione del Festival della Partecipazione. Conflitto d'interessi, potrebbe sostenere qualcuno; chi se ne frega, ci siamo risposti. D’altra parte, le nostre lettrici e i nostri lettori sanno che abbiamo seguito l’evento con attenzione e interesse anche negli anni passati. E poi, siamo convinti che la città viva un momento particolare, che sia necessario, oggi più che mai, prendere posizione, alimentare il dibattito pubblico cittadino, sopito in un modo allarmante.

Partecipare, appunto: ecco, siamo convinti che il Festival della Partecipazione sia un evento da proteggere, tutelare; siamo persuasi che vada aiutato a crescere, a radicarsi maggiormente ‘dentro’ la città, e per tutto l’anno, non solo nei quattro giorni di eventi.

“Attendo ancora di conoscere, in termini di dati e cifre reali, quali siano i vantaggi che il Festival reca al territorio”, le parole del sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi. Ebbene, si potrebbe partire proprio dai “dati” e dalle “cifre reali”: oltre 50 appuntamenti di alto livello, più o meno 300 relatori, un budget di circa 400mila euro; gli alberghi della città erano pieni, della presenza del Festival hanno beneficiato ristoranti, bar e fornitori di servizi locali e, di sicuro, da nessun altro evento viene un finanziamento privato così importante che ricade, per lo più, sulla città. Parliamo di un ‘caso’ rarissimo di moltiplicazione dell’investimento pubblico: tenendo da parte l’edizione 2018, col contributo del Comune dell’Aquila ridotto a 30mila euro, nel 2017 – i dati li ha forniti il sindaco Biondi – l’impegno di 179 mila euro garantito dall’Ente, tra fondi ordinari e Restart (quota parte del 4% della ricostruzione), ha generato un flusso di risorse sul territorio di ulteriori 200 mila euro a carico delle associazioni promotrici. Non accade con nessun altro appuntamento tra quelli finanziati dall’amministrazione comunale. Ci permettiamo di aggiungere che è lo spirito stesso che ha mosso la scelta di destinare alla cultura una parte dei fondi per la ricostruzione: dare forza ad eventi di respiro nazionale che producessero investimenti privati sul territorio attraverso occasioni di particolare rilevanza.

Per non dire della presenza, in città, di ministri, sottosegretari, alti esponenti del mondo della politica e della cultura che, ogni anno, permettono di riaccendere le luci dei riflettori sulla ricostruzione dell’Aquila. D’altra parte, le associazioni promotrici stesse sono tra le più rilevanti a livello nazionale e internazionale: di per sé, capaci di muovere l’attenzione di quotidiani, trasmissioni televisive e radiofoniche. E’ accaduto anche quest’anno: del Festival della Partecipazione si è parlato su Repubblica, a Propaganda Live e su Radio1, per fare un paio di esempi. E poi, andrebbe sottolineato che il programma di eventi serali, gli spettacoli di Marco Damilano e Ascanio Celestini, i concerti di Dente e Colapesce, non ha niente da invidiare al cartellone della celebrata Perdonanza di quest’estate, costata 700 mila euro, più o meno, di soldi pubblici. Con tutto il rispetto per Riccardo Cocciante, tra le generazioni più giovani - quelle che rappresentano la città di domani, per dire - Dente e Colapesce sono ben più conosciuti ed apprezzati. Peccato fossero eventi ad ‘esaurimento posti’, se ne dovrebbe discutere provando a guardare al futuro.

Sta di fatto che, in un periodo sostanzialmente morto, la città è stata viva e animata, in una ideale continuità con la Notte Europea dei Ricercatori, altro evento capace di restituire alla città un respiro nazionale e, guarda caso, con una idea di sviluppo possibile che, sebbene con un altro vocabolario, parla lo stesso linguaggio del Festival della Partecipazione.

Francamente, però, l’affermazione di Biondi è sbagliata proprio nella sostanza: di un evento del genere, non bisognerebbe chiedersi i dati e le cifre reali; i benefici a medio e lungo termine, sul territorio, sono altri e lascia piuttosto interdetti che il primo cittadino non abbia saputo coglierli, l’anno passato e in questa terza edizione, appena conclusa.

Innanzitutto, il Festival è una sorta di cassetta degli attrezzi che offre gli strumenti della partecipazione ai cittadini. E non è mai stato così necessario: inutile ribadirlo, il dibattito pubblico è sopito in modo preoccupante, la spinta propulsiva del post terremoto, l’attivismo della cittadinanza, l’attenzione ai processi di ricostruzione materiale e immateriale è andata scemando col tempo; si annunciano progetti di riqualificazione del parco di Collemaggio, si discute di parcheggi in centro storico, dell’acquisizione della Caserma Rossi per insediarvi un polo scolastico, si disegna il nuovo Piano urbano della mobilità, si affida ad un bando pubblico la ricerca di un terreno dove ricostruire il ‘Liceo Cotugno’, senza coinvolgere la città in scelte che potrebbero segnarne il futuro urbanistico per i prossimi trent’anni, e sono in pochi a dire la propria, ad alimentare un dibattito pubblico costruttivo.

In questo senso, sarebbe bastato seguire i lavori preparatori che hanno portato poi, nel corso del Festival, all’incontro sul futuro del Convitto e della ex Biblioteca provinciale, per comprendere la valenza dell’evento. Quanto tempo è che la cittadinanza non viene invitata a discutere di riqualificazione urbana, nel senso più ampio del termine? Quanto sarebbe arricchente se appuntamenti del genere si ripetessero nel tempo, se durassero tutto l’anno, se i cittadini fossero chiamati, per esempio, a disegnare il futuro dell’ex op di Collemaggio? Fino ad ora, gli strumenti di partecipazione messi a disposizione dalle amministrazioni che si sono succedute si sono rilevati fallimentari: si pensi ai Consigli territoriali di partecipazione, all’Urban center, al bilancio partecipativo. Ecco, aver visto ‘rinascere’ l’Urban center al Festival è un altro sintomo dell’importanza della quattro giorni che ci siamo appena lasciati alle spalle.

E che dire dell’appuntamento con i comitati delle aree terremotate del centro Italia? Proprio Biondi, qualche settimana fa, aveva presentato una sorta di manifesto per la rinascita delle aree interne, scritto nei suoi uffici e sottoscritto da alcuni amministratori locali vicini al primo cittadino. E’ così che si immagina la rinascita dei territori dimenticati del nostro paese? Al Festival, sono arrivati alcuni dei protagonisti dei territori colpiti dai sismi degli ultimi 40 anni, in particolare dagli ultimi eventi che, lunga la dorsale appennina, hanno lasciato macerie tutt’intorno alla nostra città. Il sindaco aveva lanciato il progetto di L’Aquila capitale degli Appennini: ebbene, il primo passo è stato mosso al Festival che si vorrebbe smantellare.

Inoltre, dalla nostra città si è levata una voce sola da cittadini, accademici, tecnici e sindaci per chiedere che la ricostruzione post-sisma e la prevenzione degli effetti delle calamità naturali che ciclicamente si succedono venga affrontata da un nuovo Ufficio speciale permanente, costruito a partire dalle risorse umane che si stanno formando nel cratere e che si avvalga di una normativa leggerla che assicuri uguaglianza di trattamento. Eccolo, un altro effetto positivo del Festival: su questa e altre questioni – dal lavoro alla riforma costituzionale, con l’animata discussione alla presenza del ministro Riccardo Fraccaro – dall’Aquila sono state lanciate proposte che hanno, e avranno, una rilevanza nazionale che pone la città nell’agenda politica nazionale. E che offre lustro alle eccellenze cittadine: l’Università, il GSSI, il ricco mondo dell’associazionismo.

Una dimensione più ampia, di questo abbiamo tremendamente bisogno: a dieci anni dal terremoto, L’Aquila deve trovare una sua vocazione economica, culturale e sociale, deve saper disegnare un progetto di rilancio che non potrà che passare - sia chiaro - da un'apertura alle migliori intelligenze del paese; fino ad ora, si è pensato alla ricostruzione materiale, che pure arranca: è tempo di domandarsi, però, chi vivrà la città del domani, di cosa vivrà e come. Immaginare L’Aquila del 2030. Altrimenti, ci ritroveremo con un centro storico bellissimo e vuoto.

Ecco il motivo per cui appuntamenti come il Festival della Partecipazione vanno protetti, coccolati, e pure adattati alle esigenze di un territorio che deve reinventarsi. Se si è fatto un errore, in questi anni di post terremoto, è l’aver mantenuto un atteggiamento diffidente verso l’esterno, se non proprio di chiusura, in alcuni momenti almeno; la sensazione di un anti-storico arroccamento dentro le mura, negli ultimi mesi, sta diventando soffocante. Non ce lo possiamo proprio permettere.

Ultima modifica il Martedì, 16 Ottobre 2018 23:52

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