Lunedì, 04 Marzo 2019 22:30

La storia di Letizia Cucchiella, una chef aquilana ad Addis Abeba: ha insegnato a 23 donne etiopi a preparare pane, pasta e dolci

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C'è un "movimento" di donne anche nel mondo della cucina, stellata o non stellata che sia. Parliamo delle Lady Chef, un sottogruppo tutto al femminile della Federazione Italiana Cuochi di cui Letizia Cucchiella è la referente per L'Aquila. La incontriamo di ritorno da due settimane in Etiopia. Il suo è un sorriso radioso ma no, non è stata in vacanza, come si potrebbe pensare, ha invece preso parte ad una missione umanitaria che le abbiamo chiesto di raccontarci.

Cosa avete fatto in queste settimane, qual era il vostro compito?

Ognuno può mettere a servizio degli altri il proprio talento, e così ho potuto fare anche io attraverso un progetto finanziato dal ministero che ha visto la collaborazione tra l'italiana AIDOS, associazione per i diritti delle donne, e WISE, Organization for Women in Self Employment di Addis Abeba. Il nostro obiettivo era insegnare a 23 donne, appartenenti alle diverse tribù del territorio e che solitamente non lavorano, a fare le preparazioni base di pane, pasta e dolci con gli ingredienti locali affinché potessero realizzarle autonomamente e venderle in banchetti per strada.

Quali sono le condizioni di vita di queste donne?

In Etiopia, come in tanti paesi africani, le città sono come divise in mondi opposti che non si incontrano mai. La popolazione vive in case fatte di fango, sterco e legno, senza acqua corrente né elettricità. Si dorme a terra e ci si siede su dei sassi, la maggior parte del tempo lo si trascorre fuori, in una quotidianità di vita in comune, si rientra solo per dormire o per ripararsi dalla pioggia. Fuori dalle case ci sono delle buche nelle quali viene fatto il fuoco con dei braceri, e si cucina poi all'interno con i carboni roventi. Noi invece, così come i turisti, abbiamo alloggiano in alberghi con sorveglianza e divisi dal resto del territorio da muri altissimi.

Come comunicavate con le vostre allieve?

Loro parlavano tigrino e aramaico, e i diversi "dialetti" delle tante tribù. Con noi c'era un'interprete locale, ma in realtà la maggior parte di loro conosceva l'inglese base per cui non era un problema comunicare. Anzi, le "allieve" erano desiderose di apprendere il più possibile da noi, anche fuori dagli orari previsti dal corso. In più, prescindere dalla spiegazione dei processi di lavorazione, abbiamo chiacchierato tanto, scoprendo pian piano le loro vite e la loro difficoltà.

Cosa siete riuscite a preparare?

Pasticceria base e pane con la farina di tef, il loro cereale principale. E' con questo che fanno anche la specie di piadina tipica del loro pasto e che fa anche da posate. Abbiamo fatto gli gnocchi con delle patate locali molto dure e anche con lo zafferano dell'Aquila DOP! Da produttrice, lo avevo portato di mia volontà e gliene abbiamo parlato: alcune lo conoscevano come una spezia costosa, infatti solitamente lo sostituiscono con la curcuma che dà una colorazione simile. Abbiamo insegnato alle donne anche il processo per fare il formaggio, ma non siamo riuscite ad ottenerlo perché lì non hanno il caglio e realizzarlo era difficile. Però abbiamo fatto la ricotta usando come agente acido il limone.

Raccontaci due momenti di questa esperienza che porterai nel cuore.

Indubbiamente quello che ci hanno detto le donne quando ci hanno salutato. Che non avevano mai trovato tanta umanità e tanto affetto talvolta neanche nelle loro famiglie, figuriamoci con persone provenienti da paesi così lontani. Ci hanno persino fatto dei regalini. E poi gli occhi di un bimbo che tutti i giorni veniva dove facevamo il corso a recuperare qualcosa da mangiare.

Ultima modifica il Martedì, 05 Marzo 2019 13:55

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