Sabato, 14 Settembre 2019 10:27

Signora Cultura, li scusi perché non sanno

di  Amedeo Di Nicola

L’altro giorno è stato un giorno felice, mia figlia, la più grande, ha iniziato con entusiasmo il primo liceo, accolta in aula da una sua nuova insegnante con una poesia di Kavafis, che mi raccontava con occhi carichi di entusiasmo, mentre io commosso nella mente la ripetevo a memoria: "Quando ti metterai in viaggio per Itaca...".

Mentre lei continuava e riavviava il suo percorso di formazione culturale, dal mondo intorno, dalla città, dalla politica, dallo Stato, mi sarei aspettato una riflessione sui dieci anni passati e sul nuovo anno scolastico nelle scuole provvisorie, si litigava invece, come sempre, in un ridicolo gioco di offese e potere, su come spartire soldi per alcuni spettacoli cittadini, di questo si tratta, non di Cultura.

Signora Cultura (non può la cultura non esser donna) li scusi perché non sanno.

Non sanno che la nostra Costituzione ebbe paura di parlare di Lei definendone i confini indefinibili negli articoli 9 e 33. Non sanno che si discusse molto, spaventati dall'esempio della censura fascista, su come tutelarLa dalle ingerenze della politica, non sanno che ne discussero a lungo il socialista Treves che pensava che Lei si sarebbe umiliata se sottoposta a tutela costituzionale, “come dire che la libertà è libera” e l’aquilano Rivera, che disse che la signora Cultura era per natura libera, ma non gli artisti e gli scienziati, che “possono essere incatenati, possono essere minacciati, possono essere irreggimentati”.

Li scusi signora Cultura, non sanno che un artista, uno scrittore, un uomo, seppur impegnato politicamente, resta sempre un artista, con la sua libertà, la possibilità cioè "di dubitare, la possibilità di sbagliare, la possibilità di cercare, di esperimentare, di dire di no a una qualsiasi autorità, letteraria artistica filosofica religiosa sociale, e anche politica”. Lo diceva Ignazio Silone, che abbandonò per questa libertà chiesa e politica.

Zerocalcare e Saviano sono artisti impegnati con una chiara idea politica, possono piacere o no, ma sono liberi in quanto tali, come ogni cittadino è libero di ascoltarli o no. Si è liberi di sentire le canzonette sull'amore del proprio cantante preferito alla Perdonanza, finanziate da tutti noi o quelle impegnate di De André, o leggere le storie adolescenziali di Moccia o di Brizzi o quelle impegnate di Saviano, finanziate da tutti noi: io posso preferire i secondi citati, alcuni i primi, ma lo Stato deve assicurare ad ogni cittadino una possibilità. Si chiama pluralismo, è un altro baluardo della cultura.

Pluralismo però non significa dire no a Saviano, pluralismo significa proporre alternative coerenti e valide, avere cultura ed esperienze che non guardano alla storia umana delle persone, studiare, leggere e proporre per condividere esperienze artistiche. Pluralismo non significa schierarsi contro, ma significa proporre. Chi direbbe mai no a D'Annunzio, poeta magnifico, la cui storia umana, seppure non condivisibile, ne alimenta la poesia. Personalmente lo leggerei all'infinito, mi perdo di continuo nelle sue fascinazioni, nella magia dei suoi scritti ambientati in Abruzzo, mi commuove spesso. Certo non colgo, avendone letto il velleitarismo e superomismo, l'apporto "all'evoluzione storica, sociale e culturale della Repubblica" che egli avrebbe dato e che recentemente gli si è riconosciuto per legge regionale, probabilmente non lo coglierebbe egli stesso. Ma la sua arte è libera e non deve essere sfruttata politicamente.

Per il decennale del disastro aquilano si sarebbe potuto proporre un parallelo tra naufragio e terremoto, chiamando in causa il fascista Ungaretti, che non prese il Nobel in quanto tale, leggendo e raccontando in uno spettacolo l'ossimoro dell'allegria del naufragio e l'entusiasmo doloroso della ricostruzione post 2009, in un parallelo guerra - sisma che ha comunità di macerie fisiche e dell'animo. Chi avrebbe detto di no ad Ungaretti?

Fate uno spettacolo su Ungaretti.

Personalmente, per parlare di artisti amati da una certa parte politica, volentieri avrei ascoltato le parole di uno dei maggiori poeti del novecento, Ezra Pound quando parla dell'Aquila, sarebbe stato utile magari anche da chi impropriamente ne sfrutta il nome senza conoscerlo.

Questo significa Cultura, la libertà di esprimersi con indipendenza, attraverso strumenti che muovono gli animi alla commozione e all'entusiamo, strumenti visivi, uditivi, tattili, multimediali, virtuali. Di tutto questo la politica non dovrebbe interessarsi, lasciando alle commissioni tecniche (che essa malauguratamente nomina) la definizione di programmi e interventi. Di tutto questo la politica dovrebbe però interessarsi, promuovendo incontri, programmi, riflessioni e poche polemiche.

Il pluralismo degli esperti culturali non si crea censurando una parte, si crea studiando, pubblicando, proponendo alternative artistiche al mainstream, affinché la visione complessiva del mondo ci renda migliori, più umani, tolleranti e coscienti delle diversità dell'essere.

Lasciate stare per favore, da destra a sinistra, la signora Cultura, tornate a litigare sulle buche, i tombini attappati, le fratte non tagliate, magari anche sulle scuole da ricostruire, che sarebbe il caso. Un abbraccio a chi apprezzerà, uno più forte a chi mi manderà al diavolo.

di Amedeo Di Nicola

Ultima modifica il Sabato, 14 Settembre 2019 11:10

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