Istituito per ricordare e onorare le vittime della Shoah e tutti coloro che furono torturati e uccisi nei campi di sterminio nazisti, per tanto tempo il Giorno della Memoria è stato un monito affinché tali orrori non potessero ripetersi. E tante volte questo giorno – il 27 gennaio, in ricordo della liberazione del campo di Auschwitz avvenuta nel 1945 – è stato celebrato con manifestazioni istituzionali, politiche e culturali che hanno ricostruito la cornice storica in cui si generò quell’abisso dell’uomo chiamato Olocausto.
Una cornice storica (la guerra mondiale, la follia di Hitler) immaginata come non più ripetibile e ormai consegnata al passato.
Ma dobbiamo invece chiederci se davvero è così. Se davvero non si debbano avvertire i segnali di un pericoloso imbarbarimento. E se quest’anno nel Giorno della Memoria non si dovrà fare tutti uno sforzo in più.
Si diffondono in maniera inquietante i germi dell’intolleranza, della discriminazione, dell’odio. Parole violente contro rifugiati e migranti, bestialità razziste nello sport con striscioni e cori da stadio, assalti a famiglie Rom costrette a lasciare le case legittimamente assegnate, saluti fascisti esibiti senza vergogna, manifestazioni nostalgiche del fascismo, ostilità gratuite contro i diversi, stupri e violenze sulle donne, addirittura attacchi a Papa Francesco per le sue parole di umanità e accoglienza, gesti di vendetta contro gli ebrei fino a segnare con lo spray la casa del figlio di una deportata a Ravensbruck.
Nel 2019 l’Italia ha registrato 969 reati legati a razzismo, identità di genere e disabilità: uno ogni 9 ore. Sono aumentati i casi di incitamento alla violenza, le aggressioni fisiche, gli atti di vandalismo. Molti, sottovalutando o giustificando, li considerano fatti isolati, singoli, sporadici, frutto di qualche esaltato. Ma purtroppo la cosa grave, gravissima, è che questi atti sono favoriti da un clima generale, da un silenzio complice o – peggio ancora – dalla quotidianità di un linguaggio feroce, dalla brutalità di certa politica, da una cultura immorale e cinica, da una indifferenza che rende “normale” assistere a questi episodi.
Se lo Stato, le Istituzioni, i partiti, se la società tutta non reagisce riaffermando con più forza il valore delle persone e della comunità, il rispetto di diritti e doveri sociali, i principi di democrazia e solidarietà, allora ogni singolo si sentirà autorizzato e magari incitato a superare i confini del vivere civile, a insultare chi vuole, ad aggredire chi dissente o gli da solo fastidio, a umiliare chi è debole e diverso, a farsi giustizia da sé.
Con questa ansia e questo impegno, vorremo vivere il 75° anniversario del Giorno della Memoria.
E per questo l’ANPI dell’Aquila ha promosso un incontro pubblico, lunedì 27 gennaio alle ore 17.30 nella Sala Rivera di Palazzo Fibbioni, sede del Comune, a cui interverranno: Marialuisa Serripierro, dirigente dell’ANPI dell’Aquila; David Adacher, docente e membro del direttivo dell’Istituto Storico per la Resistenza e l’Italia contemporanea; Silvia Nanni, ricercatrice di pedagogia generale e sociale del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila; Tommaso Cotellessa, studente e presidente della consulta degli studenti abruzzesi.