E' stata inaugurata ieri, presso il Cinema-Teatro Comunale di Casoli (CH), la mostra storico-documentaria “I campi di concentramento fascisti in Abruzzo dal 1940 al 1943”.
La mostra, organizzata dalla sezione ANPI di Casoli e curata da Giuseppe Lorentini, Kiara Fiorella Abad Bruzzo, Gianni Orecchioni e Nicola Palombaro, ha lo scopo di documentare e rendere fruibile a tutti i cittadini il sistema concentrazionario italiano durante la Seconda guerra mondiale e, nello specifico, negli anni 1940-1943.
Attraverso un percorso didattico di assoluto rigore scientifico e ricco di documenti storici, immagini e fotografie, sono stati installati 14 pannelli di grandi dimensioni che fanno emergere come l’Abruzzo sia stata la regione prescelta dal regime fascista per attuare il suo sistema concentrazionario. D'altra parte, è fatto noto che per i luoghi impervi, la scarsa concentrazione abitativa, la minore politicizzazione degli abitanti, la scarsità delle vie di comunicazione, la nostra rappresentava una delle regioni che, più di altre, aveva i requisiti richiesti dal Ministero dell’Interno per poter istituire campi di concentramento e località d’internamento.
In Abruzzo, nel corso della II guerra mondiale, saranno ben 15 i campi attivati e 59 le località d’internamento.
C'era un campo nell’asilo infantile “Principessa di Piemonte” a Chieti, un altro per gli italiani “pericolosi” ad Istonio Marina (Vasto); c'era il campo di smistamento di Lama dei Peligni ed il campo femminile di Lanciano, il campo per i comunisti Jugoslavi a Tollo e quello nella città fortezza di Civitella del Tronto. E ancora, il campo di concentramento nella Badia Celestina di Corropoli, quello per i cinesi nella Basilica di S.Gabriele a Isola del Gran Sasso; altri erano stati attivati a Nereto, Notaresco, Tortoreto Stazione (Alba Adriatica) e Tortoreto Alto; i rom erano internati nel campo di Tossicia. E poi c'era il campo di Casoli che ha avuto due periodi distinti di internamento per via delle due categorie diverse di internati; abbiamo un primo periodo "ebreo" del campo, che va dal 9 luglio 1940, data di ingresso del primo nucleo di 51 ebrei stranieri provenienti dal carcere di Trieste, al 3 maggio 1942, data di ingresso del nucleo di internati politici, antifascisti, "ex jugoslavi" trasferiti dal campo di concentramento di Corropoli. Questa seconda fase dura fino al 2 febbraio 1944, data riportata su un documento in cui si attesta ancora la presenza di 18 internati slavi, a testimonianza del fatto che il campo continuò a funzionare, nonostante l'armistizio dell'8 settembre 1943.
Tra il 1940 e il 1944 sono passati per il campo di Casoli 218 internati in totale: 108 ebrei stranieri, per lo più austriaci, tedeschi, polacchi e ungheresi, e 110 "ex jugoslavi" per la maggior parte croati e sloveni, allogeni italiani.
A darne testimonianza è il sito di documentazione storica campocasoli.org, dedicato al campo di Casoli, curato proprio da Giuseppe Lorentini che, dopo un lavoro di ricerca durato circa tre anni, ha acceso le luci su una storia ancora poco conosciuta anche agli stessi abitanti del luogo.
Il progetto nasce con la volontà di mantenere viva la memoria e di rendere fruibili al grande pubblico del web storie, volti e nomi di un lungo elenco di persone internate; un certosino lavoro di ricostruzione attraverso la ricerca, l’analisi, la digitalizzazione e la pubblicazione di migliaia di documenti recuperati dall’archivio storico del comune di Casoli che, a differenza di altri archivi dello stesso genere disseminati in tutto il Paese, dopo la seconda guerra mondiale ha mantenuto pressoché integre le fonti originali.
L'archivio di Casoli rappresenta una fonte importantissima, utile a ricostruire - grazie alla notevole quantità e qualità delle informazioni fornite dai documenti - una sorta di modello di amministrazione di un campo di concentramento fascista per internati civili durante le contingenze belliche.
Gli studi sul tema dell’internamento civile fascista hanno fatto emergere il dato dell’esistenza di un sistema concentrazionario italiano durante il periodo bellico degli anni ’40-’43; tale sistema fu utilizzato dal regime, tra gli altri, come mezzo per attuare la propria politica di repressione del dissenso, di prevenzione per la Pubblica sicurezza e di persecuzione razziale. Gli 'elementi pericolosi' e gli 'stranieri indesiderabili' che, arbitrariamente e con procedure amministrative, furono perseguitati dallo Stato fascista, vennero internati in uno spazio di confino che il Ministero dell’Interno denominò 'campo di concentramento'. Con tale designazione si identificava l’area circoscritta di segregazione costituita da strutture preesistenti, oppure costruite ex-novo, dove venivano 'concentrate' le differenti categorie di internati civili.
E' chiaro che stiamo parlando di altro rispetto ai campi di concentramento nazisti, e va chiarito se è vero che una comparazione tra i due sistemi dal punto di vista della radicalità, della violenza, del terrore, e della mortalità, rischierebbe una scontata banalizzazione del caso italiano.
E' per questo che l'archivio di Casoli, e così la mostra inaugurata ieri, ci restituiscono informazioni importantissime per ricostruire quel periodo e per approfondire ciò che accadde in Abruzzo.