Abbiamo da poco celebrato uno degli eventi più significativi e aggregativi dell’anno, il Pride, o meglio, l’Abruzzo Pride.
Sento quindi forte l’esigenza di provare a condividere una riflessione collettivamente, perché nulla sarebbe peggiore del silenzio o della distrazione. Che pure ci sono state e che non devono in alcun modo essere sottovalutate né assolte. Perché, lo vediamo più avanti.
Anzitutto provo a decodificare alcuni degli aspetti più interessanti ed emblematici del nostro Pride.
Diffusione territoriale e rappresentatività. Il Pride è stato reso possibile solo grazie alla mobilitazione delle volontarie e dei volontari di otto associazioni che a pieno titolo possono orgogliosamente dirsi rappresentanti di tutta la nostra regione: Arcigay L’Aquila, Presenza femminista, Marsica LGBT, Arcigay Teramo, Mazì - Arcigay Pescara, La Formica Viola, Arcigay Chieti e Jonathan – Diritti in Movimento (per inciso, sono state queste ultime quattro ad avviare lo scorso anno il primo Pride d’Abruzzo.). Ed uno dei punti più interessanti dell’Abruzzo Pride è l’essersi caratterizzato come spazio creativo e dialogico da e in tutto il territorio regionale.
Possiamo dire di aver costruito insieme un altro pezzetto di storia comune, di storia della regione Abruzzo e di storia della città dell’Aquila: fino a pochissimo tempo fa sarebbe stato inimmaginabile portare anche qui il Pride.
Quindi prima conclusione (e primo suggerimento): coesione e cooperazione funzionano a beneficio di tutte e tutti.
Andiamo avanti.
Inclusione e contaminazione temi. Raccontare la piazza di sabato vuol dire raccontare la visione, che è fuori dell’ordinario, di chi ha saputo rendere evidente come le battaglie Lgbt+ si intreccino con le lotte contro l’abilismo, il patriarcato, il sessismo, la misoginia, il razzismo, con le lotte in difesa del diritto all'aborto, dell'ambiente e del lavoro.
È stato questo senza alcun dubbio il portato più potente e più innovativo di questa stagione politica: il potere dell’intreccio, ossia il sapersi raccontare nell’intreccio delle relazioni e delle vite degli altri e delle altre. È quello che, d’altro canto, ci ha lasciato Bruner, uno dei padri della psicopedagogia (La Repubblica, 2015): per superare la crisi individualista del capitalismo, l’unica via è intrecciare l’individuo con la comunità, passare dall’Ego al We-go. Io l’ho inteso così.
Ed ho inteso in questo Pride una tensione costante verso la contaminazione, l’integrazione, il dialogo: insomma, la cura. E la cura è lo spazio politico in cui ci siamo mossi e in cui dobbiamo necessariamente tendere. Ci siamo presi cura delle differenze, dell’ambiente, dei diritti come valori. E tutto questo lo abbiamo letto in quella piazza, che è diventata lo Spazio Pubblico per eccellenza, anzi, il Luogo della Politica Eccellente: quella piazza è stata il Luogo, è stata entusiasmante modello e fulgido esempio di intelligenza e cultura politica, di un’Alleanza dei Corpi di cui oggi più che mai abbiamo bisogno. Quella piazza ha raccontato l’orgoglio dell’intreccio di vite, diritti, relazioni e valori che non hanno avuto mai un attimo di incertezza o esitazione nel sentire come propri i bisogni diversi dai propri.
Questa piazza ci ha restituito il senso vero di occupare uno spazio per stare al mondo insieme, per riconoscerci sullo stesso piano e condividere un orizzonte comune, stare insieme senza caderci addosso a vicenda, ma anzi, discutendo e rappresentandoci in una polifonia di voci. Questo siamo. E questa è la seconda conclusione.
Cultura politica. Certo è stato entusiasmante il sabato pomeriggio, ma lo è stato anche perché ha rappresentato il traguardo eccezionale di un percorso straordinario. La domenica abbiamo scalato il Gran Sasso, portando su una delle cime più alte d’Europa il nostro orgoglio nella matericità di un pantagruelico drappo rainbow; per tutta la settimana si sono alternate iniziative politiche, culturali, ricreative e sportive in ciascun capoluogo di provincia.
I contenuti di questa densa settimana sono stati tanti, ogni giorno una città d’Abruzzo si è raccontata ed intrecciata con le vite LGBTQIA+: libri, musica, personaggi straordinari, seminari. E naturalmente uno dei protagonisti è stato il DDL Zan, discusso e raccontato proprio da chi lo ha voluto, scritto e difeso.
L’esito degli eventi lo raccontano certamente le immagini e le cronache di quei giorni, ma anche e soprattutto il documento politico dell’Abruzzo Pride. Quello sì è un Manifesto: porta alla luce senza compromessi tutti i temi più urgenti e necessari che la sfera pubblica contemporanea fatica a discutere. Sono i temi che in questa società suscitano inquietudine, imbarazzo o sconcerto; è una società che siede attorno al tavolo del dibattito scomodamente, come se non riuscisse a trovare l’agio ed il conforto necessari ad affrontarli. E noi abbiamo raccontato in questo documento una parte di quell’inquietudine, abbiamo raccontato la scomodità di dirsi tolleranti e il coraggio necessario per esserlo veramente.
Abbiamo iniziato tutto questo portando i diritti, le sofferenze, le facce e i nomi con quel drappo “diritti in vetta” come a dire: “Ehi! Sì, sì, diciamo a voi! Voi che guardate da un’altra parte, voi che fate delle differenze le diversità di cui vergognarsi! Voi che percuotete con le botte del silenzio e dell’indifferenza, diciamo a voi! Noi oggi portiamo in alto questa bandiera, per dirvi che ci siamo e siamo orgogliosi di essere come siamo. Siamo Queer, siamo Gay e Lesbiche, siamo Transgender, siamo Bisex, siamo Pansessuali ed Asessuali, siamo Donne e Uomini, siamo persone con disabilità, siamo così e ve lo potete solo far andar bene. Siamo qui per concquistare parità di diritti, siamo qui perché abbiamo disertato un patriarcato per realizzare il Pari-arcato".
Questo cammino è fatto di battaglie e queste battaglie hanno un nome che ci restituisce un posto nel mondo: Pride. Su questo ultimo passaggio bisogna riconoscersi per esserci: perché chi non c’è e non c’è stat*, non è uguale a chi invece c’è: la lotta si manifesta e chi prende la parola rinuncia al silenzio. È un cammino lungo ed il tempo e lo spazio di aspettarci per raggiungerci c’è. Ma non è infinito, e non c’è e non ci sarà per gli indifferenti e i violenti; non ci saremo mai per chi vuole l’esercizio del diritto come spazio di prevaricazione e rivalsa non ci sarà per gli/le smemorate; non ci sarà per chi vuole spazio per sé; non ci sarà rainbow-washing.
E in vista delle prossime amministrative, nella nostra città, il tema dei diritti è centrale: L’Aquila si è dimostrata per ciò che è, ossia una città libera, progressista, accogliente. Nessuna forza politica può ignorare questo dato, né il messaggio che la piazza del 26 giugno ha lanciato: noi siamo pride.
Il centro sinistra è pronto? Il tema oggi è che in ciascun evento del Pride è stato assente sempre il centro destra. Se non avete ancora letto il documento politico del Pride, fatelo; andate a guardare quell’interminabile elenco le associazioni, partiti ed istituzioni che hanno aderito al Pride; ascoltate gli interventi: ogni testimonianza ha usato parole precise e concetti chiari; andate a leggere i nomi di quella entusiasmante polifonia di voci con cui abbiamo preso la parola e ci siamo raccontati: ogni parola e ogni gesto sono stati atti rivoluzionari.
Per dirla in aquilano: ardea l’aria, sì, ma di amore e orgoglio. Noi siamo Pride, noi siamo.
*Quirino Crosta, vicepresidente Pd Abruzzo e coordinatore Dipartimento diritti