Chi ci segue sa che, da tempo, ci interroghiamo sulla città stiamo ricostruendo per le nostre figlie e i nostri figli; ci siamo posti delle domande, in questi mesi: "E' una 'questione neutra' la mancata ricostruzione delle scuole, l'occasione perduta di restituire alla comunità scolastica edifici sicuri, moderni, dotati di aule studio, biblioteche e palestre? E' una 'questione neutra' lo stato di degrado in cui versano gli impianti sportivi cittadini, l'impossibilità per molti di svolgere regolarmente attività?".
Ci siamo risposti che no, non lo è.
E ancora: "che tipo di messaggio veicola ai giovanissimi l'assenza di spazi aggregativi, di luoghi di ritrovo, formazione, crescita culturale, contaminazione artistica?".
Sono domande più attuali che mai, in una città che si sta ricostruendo nei suoi palazzi ma non nel suo tessuto sociale e che è chiamata a dare risposte a domande complesse che attengono, anche, alla dispersione scolastica, alla mancanza di opportunità e di politiche di coesione sociale, alla scarsità dei servizi essenziali ed educativi, a diritti negati e disuguaglianze inaccettabili.
Ecco perché, in questi mesi, abbiamo seguito con curiosità l'evolversi del 'Patto educativo di comunità', il primo e finora unico all'Aquila, voluto dall'Istituto comprensivo Rodari che ha lavorato spalla a spalla col Punto Luce di Sassa gestito dalla cooperativa AppStart coinvolgendo Save the Children, Solisti Aquilani, Associazione Donatella Tellini, Arci L'Aquila, Autismo Abruzzo Onlus, UNLA, L'Aquila Rugby, Viviamolaq, Nati nelle Note, Greenpeace L'Aquila, Ass. Alpini Preturo, Libera Pupazzeria, Ju parchetto con noi e Comune dell'Aquila; una iniziativa che ci è parsa straordinariamente lungimirante, che tentava di rispondere a problemi globali amplificati, a livello locale, dalla particolare situazione del post terremoto, in una città il cui tessuto sociale è sconnesso, sfilacciato su un territorio vasto, su decine e decine di frazioni non collegate tra loro e prive di servizi essenziali.
Ma che cosa sono i 'Patti educativi di comunità'? Per dirla in breve, rappresentano un nuovo modo di operare che vede un territorio, una comunità, protagonisti della propria rinascita mettendo al centro la scuola. Il 'Piano scuola 2020-2021' ha individuato nei 'Patti' gli strumenti per far operare insieme, sinergicamente, Scuole, Enti Locali, Istituzioni pubbliche e private, le realtà operative nel terzo settore, le associazioni e anche i singoli cittadini, attraverso la sottoscrizione di specifici accordi per creare un'alleanza educativa, civile e sociale. E' con queste finalità che sono stati introdotti dal Ministero dell’Istruzione: l'idea è restituire alle comunità la possibilità di un nuovo protagonismo per rafforzare non solo l’alleanza scuola famiglia, ma anche quella tra la scuola e la comunità educante attraverso l'approccio partecipativo, cooperativo e solidale di tutti gli attori in campo che, con pari dignità, si impegnano a valorizzare e mettere a sistema tutte le esperienze e tutte le risorse del territorio.
Ebbene, che risultati ha avuto il 'Patto educativo di comunità' sottoscritto su iniziativa dell'Istituto comprensivo Rodari? Ne abbiamo parlato con il dirigente scolastico Marcello Masci, con la docente Silvia Frezza e con Domenico Capanna del Punto Luce di Sassa.
Partiamo da un dettaglio, non banale: l'Istituto ha partecipato all'apposito bando pubblicato dal Ministero dell'Istruzione ottenendo un finanziamento di 6mila euro, arricchito poi da un contributo di 40mila euro a valere sul Piano Scuola Estate; in una città che, questa estate, ha speso oltre 2 milioni di euro per gli eventi estivi in centro storico, il progetto che vi stiamo raccontando è 'costato' 46mila euro.
"Abbiamo dato vita al progetto perché crediamo nell’idea di una società educante, crediamo, cioè, che la scuola non debba essere un’isola in mezzo al nulla ma debba relazionarsi con le altre realtà che hanno funzione educativa", ci ha spiegato il dirigente Masci. "I bambini hanno una vita oltre la scuola che non può essere pensata come slegata dai loro vissuti. E poi, ci sono emergenze educative che affrontiamo ogni giorno, un bisogno reale a cui lo Stato, e quindi la scuola, debbono rispondere".
L'Istituto ha aperto due scuole questa estate, una a Sassa e l'altra a Pianola che, col Punto Luce, hanno rappresentato le location in cui si sono messe in pratiche le proposte educative proposte e realizzate da Appstart. "Sia chiaro: non stiamo parlando della scuola estiva classicamente intesa, che risponde al bisogno di vigilanza e accoglienza degli alunni, bensì di una proposta educativa che è stata progettata su basi pedagogiche. Una forma di educazione sul modello della didattica laboratoriale", ha inteso chiarire Masci.
Ma non ci è limitati a questo.
In un vero e proprio "villaggio educativo diffuso sulle tre sedi del progetto - ha sottolineato Domenico Capanna - sono stati coinvolti 160 ragazzi e ragazze, per sei settimane, quattro ore al giorno, impegnati in attività laboratoriali che si sono concluse con uno spettacolo teatrale fatto da 90 bambini e proposto alla comunità".
Con le associazioni "abbiamo programmato le attività insieme centrandole sul viaggio di Penelope", ha aggiunto Silvia Frezza: "una scelta di genere, una scelta educativa forte che ha coinvolto tutta la comunità scolastica del Rodari su un percorso che ha voluto rivalorizzare un genere, quello che spesso non si trova valorizzato nei libri di scuola. Lo abbiamo fatto in vari modi: dal punto di vista musicale, linguistico, letterario, dei manufatti; abbiamo percorso il viaggio offrendo varie attività durante l’estate".
A settembre, poi, è tornati a scuola: "abbiamo continuando ad offrire, fino alla fine del mese, un servizio a largo spettro ampliando il tempo scuola in un periodo d’accoglienza in cui, per esempio, si prevedeva soltanto l’orario anti meridiano".
Non solo. "Abbiamo ripreso l’offerta della mediazione linguistica, con lo sguardo rivolto alle fragilità, per sostenere le bimbe e i bimbi appena arrivati", ha proseguito la docente del Rodari; e poi, abbiamo previsto uno sportello d’ascolto per le persone adulte della scuola. Abbiamo attivato un corso di italiano dedicato alle mamme di nazionalità altra, fondamentale soprattutto per le donne provenienti da quei paesi la cui religione, la cui cultura non facilita la socializzazione e l’integrazione. E ancora, abbiamo offerto dei laboratori: il personale qualificato del Punto Luce è entrato nelle classi laddove si riscontravano criticità in riferimento al rispetto delle regole, alle dinamiche relazioni e così via.
Masci ha voluto ribadire che l'Istituto "si è aperto all’esterno, al mondo degli adulti: la Biblioteca delle Donne, per esempio, ha proposto un cineforum estivo, nel piazzale antistante la direzione della scuola, molto partecipato e apprezzato dalla comunità. Abbiamo realizzato attività sportive con la Polisportiva L’Aquila rugby, che ha aderito al Patto, e anche questo ha risposto ad un'emergenza educativa di bambini e bambine che hanno bisogno di svolgere attività sportiva così da socializzare e condividere i valori dello sport in generale, e del rugby in particolare, rispetto, inclusione, sostegno e così via. Ciò dimostra che se la scuola fa squadra, prestando attenzione ai bisogni sociali ed educativi, oltre che alle esigenze delle famiglie, riesce a sopperire alle mancanze di altre Istituzioni che, pur non preposte all’attività educativa, dovrebbero, comunque, supportarla".
In questo senso, la riflessione di Masci è interessante e, ci sia consentito, assolutamente condivisibile: "L’Aquila ha una struttura urbana dove la periferia, troppe volte, viene considerata un territorio di serie b; non ci sono servizi, o sono carenti; la popolazione non ha spazi sociali da condividere; la scuola assolve ad un solo ruolo, impartire le lezioni al mattino. Ma le periferie non possono essere soltanto quartieri dormitorio, luoghi di degrado perché si ha un salotto buono al centro della città. Il bambino il salotto lo vuole sotto casa, così che possa avere una piena gratificazione del proprio vissuto. I servizi vanno decentrati e non accentrati; aver proposto un servizio educativo aperto, di ampio respiro, capace di accogliere e di creare spazi sociali va in questa direzione. Ed è la strada da seguire, a nostro parere. Il servizio educativo deve andare laddove vivono le persone; non sono i bambini e le famiglie a dover andare verso una Istituzione ‘lontana’, ma è l’Istituzione che deve andare verso i bambini e le famiglie".
"Quando abbiamo stipulato il patto - ha aggiunto Silvia Frezza - eravamo consapevoli che stavamo andando proprio incontro a bambini e bambine, ragazzi e ragazze, ma soprattutto alle loro famiglie. Aver alimentato questa triangolazione bellissima ha giocato a nostro favore; d’altra parte, i genitori rivestono un ruolo fondamentale: più riusciamo a coinvolgerli, più i bambini e le bambine vivono positivamente l’esperienza scolastica. E ci siamo riusciti, con un’offerta ampia di attività scolastiche ed extrascolastiche agganciandoci, col 'Patto educativo di comunità', al Piano scuola estate da cui abbiamo ricevuto finanziamenti importanti che ci hanno permesso di arricchire le attività. Lo ribadiamo: non è stata una scuola estiva ma un vero e proprio villaggio educativo diffuso".
Un villaggio che ha 'parlato' la lingua del sostegno, della collaborazione, che ha affrontato le criticità mettendo in campo azioni reale, concrete. Si pensi che il Rodari conta una presenza pari al 10% di bambini ‘stranieri’, ce ne sono altrettanti di seconda e terza generazione che non hanno ancora la cittadinanza italiana (visto che non si fanno passi avanti sullo Ius Soli).
I numeri totali sono davvero interessanti, ha voluto ribadire Domenico Capanna: "l’azione ha avuto un impatto su più di 400 persone in poco meno di tre mesi, tra bambini, adulti e famiglie, attraverso un’offerta pensata in modo organico, e questa dimensione va messa in grande risalto. I dati nazionali ci dicono che in molti territori sono stati attivati patti educativi, azioni specifiche che però non hanno avuto continuità; qui si è creato qualcosa che va molto oltre, un progetto che segna la strada. Siamo andati in continuità con l’attività scolastica, col lavoro svolto dal Punto Luce sul territorio in questi cinque anni, mettendo a sistema una serie di idee. Un percorso che non si conclude. Resta un’idea condivisa di intervento territoriale con le associazioni, resta la rete che siamo riusciti a costruire. Una modalità d’azione, un progetto importantissimo per la città, l’unico fino ad oggi e tra le esperienze più rilevanti a livello nazionale".
Un progetto che è intervenuto su tante situazioni di fragilità specifiche, in un territorio periferico; "c’è la narrazione di una parte della città che non rispecchia le dimensioni reali del territorio. Ci sono qui famiglie straniere, famiglie di lavoratori del terremoto, ci sono i quartieri Case: è un’ampia zona, quella di Sassa, potenzialmente critica in una prospettiva futura se non si lavora ad una gestione degli spazi comuni", la riflessione di Capanna. "Per questo, azioni del genere sono di immenso valore per la città".
Fa riflettere che sia proprio un Istituto a metterle in campo, "e proprio quelle scuole che lavorano ancora nei Musp - ha messo in evidenza Silvia Frezza - così fortemente penalizzate da amministrazioni esterne. Pur soffrendo la penuria di strutture, siamo stati in grado di produrre tutto ciò. Pensate se fossimo dotati di scuole ricostruite e moderne".
Ed ora? Ora c'è da pensare al futuro. "Tutto questo è stato possibile perché abbiamo avuto la capacità di accedere a fondi ministeriali. Di qui in avanti, dovremo affrontare la carenza oltre che di strutture fisiche anche di risorse per poter continuare a portare avanti questa idea. Non possiamo vivere di occasionalità. Il punto debole è l’Ente locale", le parole amare di Masci. I 'Patti educativi', a Napoli come a Padova e in altre città dove si è più avanti su questi percorsi, vengono coordinati e gestiti, in luogo della scuola, dai Comuni che hanno risorse e possono dargli continuità. Chi amministra la cosa pubblica deve crederci in questi progetti, nella necessità di colmare i bisogni educativi, di riempire le periferie di servizi; deve pensare ad una città che dal punto di vista sociale dovrebbe essere completamente diversa da quella che è".
Lo abbiamo detto, lo ripetiamo: un progetto virtuoso, come quello sperimentato a Sassa, è costato 46mila euro, a fronte dei milioni con cui si alimentano i grandi eventi estivi, centralizzati, limitati ad un breve periodo di tempo, destinati ad un numero limitato di persone. Con 46mila euro, a Sassa si è portato un cineforum, un concerto di archi dei Solisti Aquilani, "cose che non erano mai avvenute prima, momenti che fanno la comunità, creano relazioni e migliorano la qualità della vita. E’ possibile, abbiamo dimostrato che si può fare: se è possibile dobbiamo renderlo reale. Ci vuole attenzione da parte delle Istituzioni".