La città italiana in cui si vive meglio è Parma, al primo posto del 23esimo rapporto sulla qualità della vita in Italia stilato da ItaliaOggi e Università La Sapienza di Roma.
L'Aquila si piazza al 68esimo posto sui 107 capoluoghi di provincia, tra le città che perdono il maggior numero di posizioni: l'anno passato era 22esima.
Teramo è al 60esimo posto, tre posizioni in meno rispetto al 2020; Chieti è al 67esimo posto, nel 2020 era al 58esimo; Pescara è al 73esimo posto, ma fa un balzo in avanti di 8 posizioni sull'anno passato.
Gli indicatori di benessere su cui si basa la ricerca sono nove: affari e lavoro, ambiente, disagio sociale e personale, istruzione-formazione e capitale umano,popolazione, reddito e ricchezza, sicurezza, sistema salute e tempo libero.
A scalare le classifiche sono le grandi città del Nord: non a caso al primo posto si posiziona Parma, come detto, che guadagna ben 39 posizioni; un importante balzo in avanti lo fanno anche Torino, Milano, Trieste, Bologna e Firenze. Al contrario le realtà più piccole, e non solo quelle del Sud, sembrano quest’anno scivolare lungo un piano molto inclinato. Tra le province che perdono maggiori posizioni troviamo, oltre all'Aquila, anche Como, Belluno, Udine, Varese, Rovigo, Prato, Benevento, Fermo, Rieti e Nuoro.
Il motivo di questo sconvolgimento è duplice, viene spiegato: da una parte le metropoli hanno dimostrato di saper affrontare meglio la pandemia da Covid-19, tanto che, pur essendo state nel 2020 penalizzate da questa emergenza, nel 2021 hanno saputo riprendersi con maggior rapidità, mostrando una resilienza più accentuata rispetto a quella dei centri di minori dimensioni. Il secondo motivo è metodologico: ci si è accorti infatti che la classifica degli anni scorsi finiva per sovrappesare un indicatore, quello della Popolazione (che contiene le classifiche di densità demografica, emigranti, morti in percentuale, immigrati, istruzione, nati vivi in percentuale, e numero medio dei componenti della famiglia) rispetto a tutti gli altri e si è deciso quindi di ridimensionarlo attribuendogli un peso uguale o di poco superiore ad Affari e lavoro, Ambiente, Sicurezza, Salute, Tempo libero e Reddito: probabilmente anche questo ha contributo a migliorare la posizione dei grandi centri rispetto ai piccoli.
Rimane invece costante, anzi si accentua, la distanza tra le province del Nord e quelle del Mezzogiorno. Basti pensare che tra le realtà del Centro-Sud solo Perugia, Macerata, Ascoli Piceno, Ancona, Terni, Grosseto e Fermo sono nella prima metà della classifica, mentre solo dieci province del Nord sono nella metà inferiore: Vercelli, Rovigo, Prato, Rimini, Como, Asti, La Spezia, Imperia, Pistoia e Alessandria.
Un discorso a parte meriterebbe Roma, unica tra le grandi città ad essere fuori dal gruppo uno (quelle dei migliori) e a non guadagnare posizioni, perdendone anzi quattro (passa dal 50 al 54esimo posto).
A questo punto il problema di fondo del Paese è probabilmente quello di capire come sia possibile gestire al meglio i fondi del Pnrr di fronte ad un Mezzogiorno sostanzialmente incapace di reagire alla crisi sanitaria, ma anche sociale, politica ed economica che ha investito l’Italia, evitando che queste risorse si disperdano nei soliti mille rivoli di un clientelismo ostile a investimenti e innovazione, mentre le metropoli del Nord hanno già innestato una marcia in più e si preparano a recuperare il terreno perso. Un problema politico, oltre che sociale, dal quale dipenderà il futuro prossimo del Paese.