Giovedì, 27 Gennaio 2022 11:25

L’Aquila città insicura (di sé)

di  Tommaso Cotellessa

Quest’anno Umberto Eco avrebbe compiuto 90 anni, e proprio in questi giorni mi è capitato di leggere un suo articolo pubblicato nella celebre rubrica “La Bustina di Minerva”.

L’articolo risale al 1996 ed è intitolato “Brevi cenni di psicologia urbana”; leggendolo ne ho colto l’estrema attualità ma la cosa che più mi ha impressionato è stata l’enorme rilevanza che quelle righe hanno per la nostra città e il nostro territorio.

Nel testo, Eco divide le città in due tipologie: le città sicure di sé e le città insicure di sé. Una città sicura di sé è una città che non ha nulla da dimostrare, che conosce la sua importanza, la sua rilevanza e la sua bellezza a tal punto da non stupirsi di essa. Questa tipologia di città conosce i propri punti di forza tanto da non doverseli ricordare ogni giorno; una città che non ha bisogno di dirsi quanto è brava e quanto è bella perché di ciò non dubita. In maniera dialettica, però, possiamo contrappore a questa ipotetica città un’altra tipologia, che, come su scritto, è la città insicura di sé. Potrete ben capire che una città insicura manca di quell’autostima granitica che invece appartiene alla sua diretta opposta.

Ma soprattutto una città insicura è una città in crisi d’identità, che è in perenne ricerca di sé stessa, tanto da giungere ad una sorta di disturbo della personalità.

Purtroppo, un po' a malincuore e con un po' di senso di colpa, non ho tardato a collocare la mia città natale nella seconda categoria di quelle sopraelencate. Infatti, superando ogni tipo di provincialismo, campanilismo e ogni smielata retorica, credo sia necessario tentare di riflettere su questo tema, ponendosi in una posizione critica e costruttiva nei confronti del passato, del presente e di un possibile futuro.

L’Aquila come ogni città ha punti di forza e punti di fragilità, è lapalissiano sottolinearlo; sciorinare un elenco esaustivo dei primi e dei secondi sarebbe quasi impossibile o comunque significherebbe abbandonarsi ad un discorso tecnico-compilativo che non susciterebbe alcuna attrazione per il lettore, a meno che stia leggendo questo articolo un feticista di liste ed elenchi ma mi sembra improbabile. Mi limiterò dunque a quelli più lampanti ai miei occhi. La nostra evidentemente è una città di montagna, è altrettanto evidente però che non sfrutta appieno questa sua caratteristica, come potrebbe avvenire investendo maggiormente su questo settore. L’Aquila è una città universitaria, ma basta parlare con un fuorisede per rendersi conto che non è una città a misura di studente.

L’Aquila spesso viene definita una città per i giovani, ma il modo in cui è stato trattato il mondo della scuola di certo non ha dimostrato veritiera questa affermazione. L’Aquila si professa una città dello sport, ma qualunque sportivo o qualunque società sportiva smentirebbe un’affermazione del genere mettendo in luce la difficilissima condizione in cui vertono le infrastrutture dedicate a questo settore

L’Aquila è e non è molte cose, raccoglie in sé numerosissime contraddizioni, ma ciò non vuole assolutamente dire che tutto è perduto; anzi, molte sono le potenzialità, è necessario però decidere cosa si vuol fare da grandi. Potremmo azzardare la classica frase da docente scolastico: “la città è brava, ma non si applica…”. Non resta che applicarci e individuare quasi scientificamente cosa è realmente nelle nostre corde e un passo alla volta intraprendere il cammino, non fare ciò vorrebbe dire continuare a ricostruire una città con il rischio di non avere cittadini disposti a viverla.

Eco nel suo articolo scrive: “Se una città è insicura di sé, nelle pubbliche occasioni definisce sé stessa come nobilissima città”; non so se qualche nostro concittadino aveva letto prima di me questo articolo ma verrebbe da dire che ogni riferimento a persone o fatti è puramente casuale. Ma nel testo viene anche indicata come spia del grado di insicurezza di una città il ripetersi di una domanda, che sembra di una banalità inaudita ma che racchiude in sé l’intero significato del discorso finora portato avanti; la domanda in questione è: “Cosa ne pensa della nostra città?”. Sembra una normalissima domanda, quasi dettata dalla buona educazione, ma in realtà vuol dire abdicare la scelta dell’identità della propria città d’appartenenza a qualcun altro, la maggior parte delle volte ad un visitatore, quasi a dire che per mancanza di coraggio di decidere si voglia subappaltare tale presa di responsabilità ad un ente esterno.

Non mi resta che domandarvi, anzi domandarci: cosa ne pensiamo noi dell’Aquila? Cosa vogliamo farne? Conosciamo il passato della nostra città, e nessuno lo mette in discussione, ma sta a noi scriverne il futuro ed ora più che mai è il momento di aprire un serio dibattito sul tema. L’agenda dei prossimi mesi ce lo impone.

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