Siamo nei giorni che seguono la Giornata della Memoria.
Viviamo in un presente ingombrante, quasi ipertrofico, nel quale sembra non ci sia spazio né per fare memoria del passato né per guardare alle prospettive future. Costantemente in balia della notizia dell’ultimo minuto annaspiamo nell’infodemia, fra Quirinale e vaccini, contagi e Sanremo. Credo però che sia doveroso ritagliare degli spazi, squarciare per un attimo la cappa dell’oggi per fare luce sulle vite degli altri, su una realtà vissuta che deve aiutarci a costruire quella da vivere.
Non si capisce se la storia sia maestra di vita, i pareri sono discordanti, ma credo che quella sulla storia sia come la “scommessa di Pascal”, perché che sia un qualificato docente o una sterile voce del passato, guardando alla storia ci si guadagna sempre.
Nel nostro territorio sono presenti tre pietre d’inciampo che sono lì a fare da baluardo, da monito per tre persone, due uomini e una donna che avrebbero voluto condurre la loro normale vita fra gioie e difficoltà e invece così non è stato, ma questa volta non per colpa della storia bensì per colpa della mano dell’uomo.
Giulio Della Pergola, Annina Santomarrone e Luigi Santomarrone, avrebbero potuto essere dei vecchi che avremmo visto passeggiare sul marciapiede o che avremmo incontrato mentre compravano il giornale all’edicola. Avrebbero potuto essere parte della nostra comunità invece ne sono stati deportati fra la complicità, la connivenza e l’omertà dei loro concittadini.
Giulio era un ebreo, l’unico ebreo deportato dalla nostra città. Era nato a Firenze il 6/08/1895 ma la vita lo portò a L’Aquila; qui infatti si sposò con Ada Coen e prese a lavorare nel negozio di stoffe dei suoceri. Viveva e lavorava al civico 62 di piazza Duomo, faceva infatti la spola fra casa e bottega. Il 13/01/1944 viene arrestato e trattenuto nel carcere dell’Aquila per poi essere trasferito nel carcere di Milano, allora utilizzato come centro di raccolta. Il 30/01/1944 fu deportato ad Auschwitz da Milano con il convoglio numero 6. Morì nel campo di concentramento il 6/02/1944. Questa è la storia di Giulio, un aquilano di adozione che di colpo sparì dalla città in cui era stato accolto. Eliminato, espulso dagli assassini nazi-fascisti ma anche dal silenzio dei più. Un commerciante di stoffe che aveva la sua bottega nella piazza centrale della città era di certo un personaggio noto a molti; eppure, è così difficile che qualcuno ne parli.
Luigi e Annina invece erano fratello e sorella vivevano a Roio pur essendo nati a L’Aquila. Nel paese erano ben integrati, Annina era una sarta molto apprezzata. Quest’uomo e questa donna non furono deportati a causa della loro “razza” o a causa di loro ideali, ma semplicemente per un puro gesto di umanità, o per dirlo meglio di carità. Annina con suo marito Nicola e con Luigi ospitò dentro casa loro un soldato inglese, nascondendolo e proteggendolo da morte certa. Il loro gesto gli costò caro, mentre fu molto meno cara la ricompensa che fu data ai compaesani che li vendettero per sole 2000 lire ai nazi fascisti. Inseguito alla spiata furono prelevati con la forza, imprigionati, processati e condannati a cinque anni di carcere e infine deportati nei campi di sterminio nazisti.
Nicola, il marito di Annina, si salvò dopo l’arresto mentre i fratelli Santomarrone vissero la tragedia dei lager. Annina fu deportata a Ravensbruck, principale campo di sterminio femminile, dove le fu tatuato il numero di matricola 83844 e fu classificata come prigioniera politica. Luigi invece fu deportato a Dachau il 28 aprile 1944 dove gli fu tatuato il numero di matricola 67249 e fu classificato come deportato per motivi di sicurezza.
Le fonti riportano che le ultime parole di Annina, di cui abbiamo contezza, furono: “Non li ho aiutati perché sono inglesi, ma perché sono una cristiana e anche loro sono cristiani”. Queste parole testimoniano un gesto d’amore di cui essere orgogliosi, e ci danno la certezza che il sangue di cui sono macchiate le due mila lire che valsero la consegna dei Santomarrone è lo stesso di cui furono intrisi i trenta denari.
Abbiamo raccontato tre vite, tre storie intrise di vita quotidiana ma lacerate dalla malvagità umana. Non ci resta che proseguire il nostro cammino non dimenticandoci mai di inciampare nelle vite degli altri, perché la frase “nessuno si salva da solo” è retroattiva. Lasciamoci salvare dalle storie e dalle vite di chi ci ha preceduto.