Giovedì, 08 Settembre 2022 15:48

Massimo Prosperococco: sogno una Città a misura di tutti

di  Giustino Masciocco

Massimo, grazie per aver accettato di rispondere alle nostre domande riguardanti la disabilità, sia come condizione personale, sia come aspetto più generale che riguarda anche il confronto con gli Enti pubblici. Attualmente sei membro del Senato Accademico dell’Università dell’Aquila e portavoce dell’Associazione “Scuole Sicure”, ma da sempre in prima linea per difendere i diritti di coloro che hanno difficoltà, in generale.

Siamo rimasti colpiti ma, riflettendo, non possiamo che condividere il fatto che tu, le persone che hanno difficoltà o che si muovono (come te), su di una sedia a rotelle, le chiami disabili. Non diversamente abili come si usa nel linguaggio comune, potresti spiegarci il perché?

Certo che vi spiego, però dobbiamo fare un discorso più ampio. Negli ultimi anni si è discusso molto sui nomi al femminile, di professionalità, funzioni pubbliche o di presidenze, arrivando ad un genere narrativo che ne riconosceva la valenza. Anche nel campo della disabilità c'è un grosso problema dell'uso dei termini, si sta cercando di arrivare a delle definizioni linguistiche ma, il nostro lavoro è ancora l'inizio. Quello che attualmente fa testo, è la convenzione ONU sui diritti delle persone disabili, emanata il 13 dicembre 2006 , diventata legge dello Stato nel 2009. Nella legge è chiaramente espresso il fatto che, quando ci rivolgiamo ad una persona con disabilità, la prima cosa che sta al centro è la persona con le sue disabilità, non è diversamente abile, perché per me questa terminologia è discriminatoria, vi faccio qualche esempio: vi sentireste di dire che un cieco è un diversamente vedente? Oppure una persona muta, è una persona diversamente parlante? Quindi non si tratta di avere delle diversità, ma si deve aprire , invece, il discorso sull’abilismo, ovvero il modo con cui le persone abili si rivolgono a quelle con disabilità, sta nascendo ora come linguaggio. Infatti, io non sono un diversamente abile, ho le stesse possibilità di tutti, la disabilità non è una malattia, è una condizione ambientale. Se tu mi elimini le barriere architettoniche divento una risorsa per la società. Nel mio Ateneo, privo di barriere, sono autonomo ecco perché, se mi definisci un diversamente abile, mi sento discriminato, perché non sono diverso, mi muovo solo in modo diverso.

Nella ricostruzione post-terremoto, la nostra città è stata oggetto di scavi per i tunnel intelligenti, tutti gli edifici pubblici hanno ancora bisogno di essere ricostruiti oppure restaurati. Si poteva certamente fare di più, si sarebbe dovuto pensare, nella fase di emanazione delle regole della ricostruzione, ad una città che permettesse ai disabili di usufruirne in maniera completamente autonoma. Come è stata l’esperienza di pianificazione con la disability manager, Chiara Santoro, figura istituita nella precedente amministrazione?

L'errore, se c'è un errore, lo troviamo nelle premesse della legge Barca. Infatti, è scritto che, la ricostruzione, doveva avvenire in maniera accessibile. Nell’emanare la norma però, il legislatore, ha voluto vincolare la ricostruzione alla vecchia legge sull'abbattimento delle barriere architettoniche. Per chi la conosce bene, quella legge, interessa tutte le città italiane, serviva come punto di riferimento per abbattere le barriere in una situazione di normalità amministrativa. Nel nostro caso, L’Aquila doveva essere ricostruita di sana pianta, quindi necessitava di norme specifiche e particolari. Nella nostra città, infatti, non è stata nemmeno prevista la possibilità di aumentare la cubatura degli edifici, per l’installazione degli ascensori, pochi metri quadrati che avrebbero permesso, non solo alle persone disabili, ma anche ad una persona anziana, piuttosto che una mamma con il passeggino, oppure ad un atleta con le stampelle di usufruirne. Queste nostre battaglie, però, non sono risultate vane, proprio grazie a Chiara Santoro, abbiamo avviato diverse attività, costituito un tavolo con le associazioni che ha lavorato su diverse iniziative, sensibilizzando tanti tecnici e funzionari pubblici al progetto inclusivo, alla diffusione della cultura dell'accessibilità, che già nella normativa della ricostruzione 2016 - 2017 trova più spazio, forse non è un caso. Torniamo a noi, gli edifici pubblici devono e sottolineo devono, essere accessibili a tutti, non è pensabile che i cittadini non possano accedervi liberamente. Devo dire, ad onor del vero, che i tecnici delle varie amministrazioni, condividono questa impostazione ma, spesso, si trovano il diniego della Soprintendenza. Come sapete in Italia esiste il concetto del bene storico in modo conservativo, mentre in altri paesi da tempo hanno perso questa attenzione. Certo io condivido questo tipo di impostazione ma, sicuramente, dovrebbe essere tenuto in conto anche i bisogni delle persone che, con le barriere architettoniche, non riescono ad avere quello che la Costituzione sancisce, ovvero, la liberta di movimento.

Nella nostra città, esistono una miriade di associazioni che assistono le persone disabili. Il loro lavoro, meritorio, riguarda l’assistenza e la gestione delle problematiche, anche familiari, di tutti coloro che le frequentano. Secondo noi, le varie amministrazioni, comuni, provincie, regioni, dovrebbero investire di più sui loro centri diurni, per strutturarsi in modo più armonico e collaborativo. Dico questo, perché, nel dopo terremoto, le associazioni hanno avuto il bisogno di interessarsi al loro specifico tipo di handicap, perdendo di vista l’handicap di fianco, Non pensi che una maggiore sinergia tra loro, possa avere una massa critica tale, da obbligare le istituzioni a sedersi ad un tavolo per risolvere le problematiche di tutti e non solo di una parte?

Per quanto riguarda la mia esperienza, posso dirti che ci sono state due fasi, quella post-sisma, ed è verissimo quello che hai sottolineato, dove ogni associazione ha pensato ai propri disabili. Ad un certo punto però, questo lo abbiamo capito e seguendo anche l’esempio nazionale, con la nascita della FISH Onlus (Federazione Italiana Superamento dell’Handicap), abbiamo cercato anche a L’Aquila di costruire un coordinamento di associazioni che assistono i disabili, con la piena e convinta collaborazione di Adriano Perrotti che, spogliandosi da qualunque appartenenza politica, portava avanti con determinazione il bellissimo progetto del “Dopo di Noi”. Per me, nella diversità delle vedute politiche, Adriano è stato ed è un grosso esempio di come si affrontano, con gli Enti interessati, le questioni. Portammo avanti quel suo progetto (oggi ancora sono stanziati un finanziamento di un milione e duecentomila euro finanziato dalla Protezione Civile) ma, per pastoie burocratiche, non si è ancora riuscito a portarlo avanti. Purtroppo bisogna dire che molto dipende dalla sensibilità che le varie amministrazioni hanno nei confronti delle associazioni dei disabili. Qualche volta ti vedono come una controparte politica, altre volte come un interlocutore credibile e rappresentativo. Per esempio: con l’amministrazione Cialente avevamo tracciato un programma per facilitare l’iter burocratico che ci avrebbe portato, rapidamente, alla realizzazione del “Dopo di Noi”. Con l’avvento della nuova amministrazione l’entusiasmo iniziale si è raffreddato, comunque nei prossimi mesi, proveremo a riprendere in mano il dossier. L’amministrazione Biondi, invece, non appena insediatasi, è riuscita a realizzare quello che chiedevamo con insistenza, per cinque anni, senza successo al governo Cialente: un sollevatore da posizionare alla piscina comunale Ondina Valle, che permettesse alle persona disabili di entrare e uscire dalla vasca, comodamente ed in piena sicurezza, prontamente realizzato da Biondi. Vedere oggi, la fila delle carrozzine, vuote, al fianco della vasca, non ha prezzo. L’acqua per noi è un toccasana, ci rende leggeri, ci sentiamo avvolti in una dimensione che avevamo dimenticato, con la libertà di potersi muovere.

Secondo te, le politiche sociali del comune dell’Aquila, soddisfano l’esigenza delle categorie di handicap che abbiamo? come siamo messi nella redazione del PEBA, Piano Eliminazione Barriere Architettoniche?

Negli ultimi cinque anni, seconde me, le politiche sociali nella nostra città, non hanno assolutamente funzionato. Soltanto con la volontà dei tecnici del comune si riesce a fare qualcosa (per lo scivolo di Collemaggio ci sono voluti 4 anni). Il comune dell’Aquila, come il 60% dei comuni italiani, nonostante una legge del 1988 che prevedeva la redazione del PEBA - Piano Eliminazione Barriere Architettoniche, ancora non ha effettuato alcuna predisposizione. Questo strumento è indispensabile per la programmazione di opere pubbliche come strade, marciapiedi, ciclabili. Averlo, vuol dire che, nel momento della progettazione, il Rup è a conoscenza di quello che bisognerebbe fare per eliminare le barriere architettoniche in quella zona. Capisci che è un formidabile strumento di conoscenza. Anche le pensiline attrezzate con la pedana, per permettere di entrare in un autobus, urbano oppure extraurbano, in piena autonomia, sono uno strumento di libertà. Guardate i marciapiedi nella nostra città, già è una fortuna tornare a casa senza essersi slogata una caviglia per una persona normale, immaginate solo di fare lo stesso tragitto con una sedia a rotelle oppure aiutandosi con un bastone da cieco.

Come si muoverà, prossimamente, il coordinamento delle associazioni che assistono le persone disabili?

Devo fare una premessa. Con la pandemia ci siamo visti poco, viste le difficoltà di spostamento dettate dalle norme anti Covid. Adesso cercheremo di recuperare, abbiamo già convocato una riunione per la prossima settimana. Porremo la questione riguardante l’aumento dei finanziamenti ai Centri diurni. Di fatto, si sostituiscono al comune nell’attività di assistenza, le somme stanziate a volte, nemmeno bastano per coprire le spese vive. Loro hanno a cuore le persone, anche se vanno sottocosto, non battono ciglio, però qualcuno dell’amministrazione comunale, dovrebbe porsi il problema. Dobbiamo avere il coraggio di guardare avanti, io penso che sia necessario, tra qualche anno, un centro diurno gestito, direttamente, dall’amministrazione comunale, come se fosse un distretto sanitario. Per adesso, l’aumento delle risorse, mi sembra il minimo da chiedere per dare maggiore ospitalità alle persone e alle famiglie che vivono, quotidianamente, i problemi legati all’handicap.

Siamo arrivati alla fine di questa lunga intervista, d’altronde gli argomenti toccati hanno in se una valenza sociale molto importante, per chiudere che altro ci vuoi dire?

Nei prossimi anni, terminerà la ricostruzione della Città, quello che sarà fatto oggi, resterà per centinaia di anni. Il mio sogno è quello di poter interagire con le varie amministrazioni, per vedersi riconosciuto uno slogan “niente su di noi, senza di noi” che, tradotto in parole semplici vuol dire, fateci vedere prima i progetti perché il nostro colpo d’occhio, da persone disabili, coglie aspetti che, normalmente, non vengono considerati, dai progettisti. Porto come esempio l’invito a cena di amici. Spesso succede che ci troviamo a fare baldoria e quando chiedo se esistono, in quel locale, barriere architettoniche, mi rispondono, tranquillo tutto a posto. Arrivo li, con la mia carrozzina, e trovo uno scalino, la risposta: non lo avevamo visto. Con Chiara Santoro, l’allora disabily manager, era stato fatto questo grosso percorso, abbiamo testato la validità della nostra proposta, con la visione del progetto di ristrutturazione del parco del Castello e parco del Sole, prima di renderlo esecutivo. Abbiamo suggerito di togliere alcuni micro scalini, di ridurre alcune tratte di rampe, con il risultato che entrambi i parchi, oggi, sono completamente accessibili, in piena autonomia, dalle persone disabili. In fase di ristrutturazione, bastava prevedere tale necessità e con poche migliaia di euro (peraltro spese oggi) trovarsi da subito, un accesso privo di barriere architettoniche. Altro esempio, la battaglia delle battaglie, lo “scivolo” della Basilica di Collemaggio, insieme al compianto amico Adriano Perrotti. In fase di ristrutturazione, bastava prevedere tale necessità e con poche migliaia di euro (peraltro spese oggi) trovarsi da subito, un accesso privo di barriere architettoniche. Comunque una gran bella soddisfazione vedere il Papa che ha potuto usufruire di una pedana posta a fianco degli scalini, dove entrano tutti dobbiamo entrare anche noi. Un desiderio: Palazzo Margherita sia privo di qualsiasi tipo di barriere architettoniche, è la casa degli aquilani, quindi anche la casa di noi disabili.

Ultima modifica il Venerdì, 09 Settembre 2022 08:07

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