“Le parole, definiscono il mondo, se non ci fossero le parole, non avremmo la possibilità di parlare, di niente. Ma il mondo gira, e le parole stanno ferme, le parole si logorano invecchiano, perdono di senso, e tutti noi continuiamo ad usarle, senza accorgerci di parlare, di niente” questa è la premessa di Giorgio Gaber alla sua canzone "Destra-sinistra".
Un brano ironico ma profondissimo, che mette in evidenza la divisione, a volte dogmatica, fra le parti politiche, interrogandosi sulla natura delle categorie che dalla Rivoluzione Francese si contrappongono nel nostro scenario politico. Il brano dopo una lunga disamina che pervade vita pubblica e privata si conclude con un fragoroso “basta” che stoppa la certosina dicotomia fra gli usi e i costumi di una parte e di un’altra.
Il mondo di oggi vive molto meno quella divisione, o meglio quell’appartenenza ad una parte ben precisa, ad una chiara area culturale, ma resta il fatto che proprio come diceva Gaber, con la compagnia dei filosofi nominalisti, le parole definiscono il mondo.
La canzone “Destra-sinistra” è uscita nel 1994, un anno molto diverso da quello che stiamo vivendo. Altri tempi e altro mondo. Destra e sinistra almeno nelle loro rappresentazioni partitiche erano ben altro rispetto a quelle di oggi, ed era molto meno frequente sentire quello che ormai è divenuto un mantra ovvero “destra e sinistra non esistono più “.
Altri mondi e altre ere. Ma qualcosa in comune c’è. Anni in cui la destra prende il potere in maniera forte e inequivocabile, sia il 1994 sia il 2022. Con personaggi molto diversi e in contesti imparagonabili ma comunque la destra sale al governo.
Ad oggi forse la profezia di Gaber tende ad avverarsi. Forse le parole “sinistra” e “destra” vanno modificandosi divenendo deifnizioni nebulose, ma dalla giornata di ieri è sicuramente più facile rispondere alla domanda “che cos’è la destra?”.
Tornado alla citazione iniziale, infatti, sono proprio le parole a venirci in aiuto. Giorgia Meloni ieri sera nel leggere la lista dei ministri del nuovo esecutivo ha utilizzato un lessico inconsueto. Abbiamo ascoltato vocaboli appartenenti ad una nuova/vecchia area semantica.
Dico questo perché sono convinto che il giudizio da dare nei confronti di un governo si debba basare su ciò che quel governo fa. Ed è proprio per questo che bisogna riflettere su quel poco che ad oggi è giudicabile.
Parole come “merito” accostate ad “istruzione”, come se “reddito”, “inclusione” e “pari opportunità” non abbiano lo stesso diritto ad essere collocate in quel posto; “sviluppo economico” che diventa “tutela delle imprese” e in barba al lessico sovranista, per un assurdo paradosso, la difesa del marchio italiano viene inserita nella nomenclatura ministeriale con la sua, ben più blasonata, accezione anglosassone: “Made in Italy”. Devo ammettere che mi aspettavo più fantasia da chi ha inventato la “sovranità alimentare”.
A tutte queste parole potremmo aggiungere numerosi sostantivi riesumati dall’odierna destra, come “patriota”, “patria”, “natalità” e tutta la retorica della nazione con annessi e connessi.
Tutto questo è dimostrazione che non è sempre vero ciò che disse Gaber. Le parole non sempre restano ferme. Le parole a volte corrono, si nascondono riemergono ma continuano a definire, ridefinire e costruire nuovi mondi. Le parole hanno una potenza incontenibile, e spesso non ci accorgiamo della responsabilità che abbiamo nel pronunciarle. Rischiamo di cadere nell’inganno di pensare che a tutti, o quasi, sono state consegnate e dunque le si possa usare senza pensare. Ma come disse Nanni Moretti “Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!”.
Proprio perché le parole sono importanti bisogna riconoscerne i movimenti e le rivoluzioni. Per questo bisogna sottolineare un altro gruppo di parole che verranno adottate grazie a questo governo, un gruppo di parole che combatte da anni, se non da secoli per emergere, per non rimanere sommerso. Sto parlando del femminile nelle istituzioni.
Che piaccia o no, di Giorgia Meloni si potrà dire LA presidente del consiglio. Per capire la portata di quello che potrebbe apparire un fenomeno banale e anche un po’ artificioso basta pensare all’immaginario di un bambino, che da oggi, sul foglio bianco, se chiamato dalla maestra a disegnare un Presidente non sarà più scontato che lo disegnerà con barba e baffi ma finalmente sarà predisposto a disegnarlo anche con capelli lunghi e rossetto. (sempre per semplificare in maniera caricaturale attraverso i nostri tanto cari stereotipi).
Perché la rivoluzione non si fa con le parole, ma le parole sono esse stesse la rivoluzione.