Venerdì, 01 Agosto 2014 11:25

E' possibile riconoscere il trust nell'ordinamento italiano?

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Nei mesi passati, su NewsTown, è apparsa la notizia secondo la quale il 76% delle quote della società Accord Phoenix, che si dovrà insediare nel polo elettronico dell'ex Italtel, sia di proprietà di un trust cipriota.


Ci chiediamo a questo punto: ma che cosa è il trust? E quale fondamento può trovare nel nostro ordinamento?

Il Trust è un istituto di matrice anglosassone in forza del quale un soggetto (detto settlor) trasferisce uno o più beni ad un soggetto fiduciario (detto trustee), il quale si obbliga a gestire questi beni nell'interesse di un terzo (detto beneficiario). Il trasferimento potrà avvenire tramite atto inter vivos o anche mortis causa.

Il trust è disciplinato dalla Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985, recepita nel nostro ordinamento soltanto con legge n. 364/89. I vantaggi di tale istituto sono alquanto indiscussi: infatti, esso dà luogo ad una vera e propria destinazione del patrimonio ad uno scopo, con la contestuale segregazione tra i patrimoni del trust e quelli del trustee e settlor, cioè i beni entrano nel patrimonio del trustee, senza che questi sia proprietario degli stessi, ma esso diventa amministratore o gestore dei beni sotto le direttive del costituente.

Le conseguenze del fenomeno segregativo sono almeno due: la prima è che vi è un'effettiva separazione tra i beni oggetto di trust rispetto agli altri beni del settlor e trustee, ed in secondo luogo, i beni oggetto del trust sono sottratti all'aggressione dei creditori del trustee e del settlor, quindi il patrimonio separato può essere aggredito soltanto dai creditori del trust.

Sono molteplici le applicazioni pratiche di tale istituto: ad esempio, i genitori per garantire una vita dignitosa ad un soggetto diversamente abile, potranno costituire un trust che sarà amministrato e gestito da una persona di fiducia (il c.d. trustee), e gli stessi genitori, in caso di morte, potranno attribuire a trustee l'obbligo di garantire al proprio figlio cure ed aiuti ovvero di vigilare sull'istituto di cura.

Così anche il professionista, per evitare le richieste di risarcimento danni da parte dei clienti per la sua attività, potrà istituire un trust, raggiungendo una concreta separazione tra il patrimonio del professionista e quello del  trust, regolando, all'uopo, le modalità con cui il disponente possa utilizzare i beni conferiti.

Infine, l'imprenditore, volendo cedere l'attività ad uno solo dei suoi figli, potrà costituire dapprima una società, alla quale saranno trasferite le quote dell'azienda, e successivamente tali azioni saranno conferite ad un trust con amministratore il figlio designato, mentre gli altri eredi potranno soltanto beneficiare degli utili di impresa.

Diciamo che l'applicazione preminente del trust si trova in ambito familiare per regolamentare i complessi rapporti patrimoniali tra i coniugi (esempio fondo patrimoniale), per disciplinare i rapporti delle coppie di fatto e per stabilire accordi in vista di separazione o divorzio, al fine garantire ad esempio l'esigenza abitativa di un figlio minorenne.

Inoltre, l'applicazione dell'istituto può trovare collocazione nell'ambito di procedure fallimentari, con la quale il curatore può farsi autorizzare dal giudice a costituire un trust, al fine di recuperare alla massa i crediti fiscali che normalmente vengono abbandonati dai curatori, oppure nel caso di omologazione del concordato preventivo, può essere costituito un trust al fine di soddisfare i creditori.

L'istituto appena descritto può trovare cittadinanza nel nostro ordinamento, attesa la mancanza di una norma che lo disciplina?

Su tale problematica, giurisprudenza e dottrina si sono divise.

Mentre non vi è alcun tipo di problema al riconoscimento del trust internazionale, cioè di quello costituito tra due cittadini stranieri (es. due soggetti inglesi) con beni situati in Italia che chiedono applicarsi la legge straniera (es. inglese), poiché in tal senso soccorrono le norme non solo della Convenzione dell'Aja, ma anche delle norme di diritto internazionale privato, non è così scontato e pacifico il riconoscimento del trust interno, cioè quello costituito tra due cittadini italiani con beni situati in Italia che chiedono applicarsi la legge italiana o straniera (esempio legge inglese).

Il riconoscimento o meno del trust è collegato a doppia mandata con la trascrivibilità dello stesso nel nostro ordinamento.

Sebbene alcune pronunce di taluni Tribunali di merito del 2012 e 2014 abbiano ritenuto inammissibile un trust interno, e perciò non suscettibile di trascrizione, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che il nostro ordinamento può riconoscere il trust sulla base di due motivazioni.

In primo luogo, la Convenzione dell'Aja è stata recepita con legge del 1989, e quindi per tale motivo l'ordinamento italiano ha voluto riconoscere a tutti gli effetti il trust, poiché l'art. 11 l.364/1989 recita che "un trust costituito in conformità alla legge dovrà essere riconosciuto come trust..", in secondo luogo il trust è sempre fonte di autonomia privata così come disciplinato dall'art. 1322 c.c., in terzo luogo, ai sensi dell'art, 13 della Convenzione, gli Stati potrebbero introdurre delle norme, volte ad escludere il riconoscimento del trust e ciò non è avvenuto nel nostro ordinamento: infine, non vi è alcuna norma che impedisce la trascrizione del trust, infatti l'art. 2645 ter c.c. stabilisce la possibilità di trascrivere altri atti soggetti a trascrizione "al fine di rendere opponibile a terzi il vincolo di destinazione".

In sintesi, secondo la giurisprudenza maggioritaria il trust trova piena cittadinanza nel nostro ordinamento e perciò potrà essere trascritto nel quadro "D" della nota di trascrizione, nella quale si possono inserire indicazioni integrative.

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