E' passata già qualche ora. Un paio di giorni, per riflettere su quanto accaduto venerdì sera tra le strade del centro storico dell'Aquila, e dirsi che sì, forse è proprio da lì che bisogna ripartire.
15mila persone, si è scritto, hanno partecipato alle attività di Sharper - La Notte dei Ricercatori. Un numero indicativo, sia chiaro. Impossibile contarsi: dal pomeriggio e fino a tarda sera, le strade si sono riempite di gente, di famiglie, di bambini e ragazzi.
In trecento città europee, le comunità scientifiche e culturali hanno esteso la loro azione verso la società locale, così da popolare quella 'terra di nessuno' che si apre, sempre più estesa, tra ricercatori e di cittadini. Per condividere i frutti del loro lavoro. A L'Aquila però, è accaduto qualcosa di più, e di diverso.
Forse per la prima volta, si è fatto davvero sistema: la manifestazione, coordinata dai Laboratori Nazionale del Gran Sasso in partnership con l'Università degli Studi dell'Aquila e il Gran Sasso Science Institute ha portato in strada studenti, direttori di dipartimento, filosofi, scienziati, medici, ingegneri, fisici, professori ordinari, ricercatori precari, informatici, medievalisti, studenti Erasmus, archeologi, studenti delle scuole superiori con i loro insegnanti, tecnici, amministrativi e amministratori, compagnie teatrali e psichiatri. La vera ricchezza della città, su cui costruire il futuro.
"Non ci aspettavamo un tale successo", confida la Rettrice dell'Università dell'Aquila, Paola Inverardi. "Mi ha colpito la quantità di persone che hanno attraversato il centro storico e, in particolare, il livello di partecipazione alle tantissime iniziative che abbiamo organizzato. Mi ha davvero commosso".
La Notte dei Ricercatori esiste da tempo, ricorda Inverardi, "a L'Aquila però, ha assunto una valenza maggiore perché era nostra intenzione renderci finalmente visibili alla città, il più possibile, rendere manifesto quel fermento culturale che c'è, seppure un pò nascosto. Se l'interesse per la cultura, per la ricerca, per la scienza, non fosse stato nelle corde di questo territorio, nella sua storia, direi nel suo codice genetico, non avremmo avuto tante iniziative e un livello di partecipazione così diffuso e per nulla elitario. Abbiamo toccato con mano, seppur per una notte, il futuro della città per come lo stiamo immaginando, nel segno della innovazione, della ricerca, dello spirito critico. Esiste e c'è, basta saperlo cogliere".
E' la sfida che la città dovrà vincere, per ri-costruirsi. "Stiamo già lavorando per dare continuità alla notte di venerdì", sottolinea la Rettrice. "L'occasione formale è stata fornita dalla partecipazione al bando europeo che abbiamo vinto e che ha permesso all'Aquila, con Perugia, Ancona e altre 300 città europee, di avere i fondi per organizzare la Notte europea dei ricercatori, un progetto di due anni che prevede un altro appuntamento nel 2015. Ora, l'obiettivo è capire come arrivare all'anno prossimo senza dissipare il patrimonio che ci ha lasciato questa prima edizione. E magari, immaginare un futuro per la manifestazione al di là del finanziamento che abbiamo ottenuto. L'idea è di rendere evidenti le tante iniziative presentate a Sharper durante tutto l'anno, con una cadenza bimestrale o magari mensile: d'altra parte, gli eventi erano talmente tanti che in pochi hanno potuto viverli tutti".
Così, l'Università - a sistema con il Gssi, il Laboratorio nazionale del Gran Sasso e i centri di ricerca - intende riallacciare i rapporti con la città. "Siamo parte del tessuto cittadino - rivendica Inverardi - eppure c'è una divisione, una cesura quasi, tra centri di ricerca e città che deve farci riflettere: forse, in passato non siamo stati capaci di essere presenti come Istituzione nei processi che interessavano la comunità. Lo siamo stati come singoli, mai però come Università. E' l'accusa che ci è stata rivolta spesso dopo il terremoto: siamo stati poco attivi nel dibattito pubblico. Evidentemente, dobbiamo recuperare. Anche perché, come dimostrato dalla Notte dei Ricercatori, nella realtà dei fatti questa cesura non esiste affatto".
Non solo. L'Univaq intende rendersi visibile anche ai giovani, aquilani e non, che dovranno scegliere quale ateneo frequentare per i loro studi universitari: "Ci presentiamo, ci mettiamo in campo - anche se in modo divulgativo - come sistema che guarda al suo valore", spiega Inverardi. Che poi auspica una maggiore collaborazione con le Istituzioni: "Ci hanno aiutato e sostenuto moltissimo: senza l'aiuto del Comune dell'Aquila, non avremmo potuto fare nulla. Dunque, potremmo pensare di fare più cose insieme, che abbiano a che fare magari con temi più 'cittadini'. Per esempio, si potrebbe immaginare di mettere a disposizione della città, in modo divulgativo, le moltissime competenze dell'Università nei processi di ricostruzione che stanno interessando L'Aquila".