Lunedì, 08 Dicembre 2014 15:29

Retromania, gli anni '80 secondo Ford Prefect / 2 - Ventisette Rosso (seconda parte)

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Seconda attesissima parte della seconda puntata con "Retromania", gli anni '80 visti dalla penna raffinata di Ford Prefect. La scorsa settimana è iniziato il viaggio di ri-scoperta del mito Gilles Villeneuve. Oggi, la seconda parte. Buona lettura [leggi le puntate di Retromania]


In un mondo di statistiche, è proprio difficile raccontare con i numeri l'essenza unica, l'irripetibilità, il fascino di Villeneuve. In tutta la carriera, quattro stagioni intere più i pochi gran premi del '77 e l'inizio di stagione dell'82, il canadese colleziona sei vittorie, un totale di tredici apparizioni sul podio e solo 2 pole positions. Arriva secondo nel mondiale del '79. Niente in confronto ad altri campioni ben più blasonati.
Numerosi incidenti ne funestano la carriera, tra cui il tragico volo tra il pubblico del Gran Premio del Giappone del '77, quando la sua Ferrari in seguito ad un contatto con un'altra vettura atterra in un'area vietata al pubblico ma abusivamente occupata, uccidendo due persone e ferendone dieci.

Ma sono altri episodi, meno luttuosi e follemente spettacolari, a creare la sua leggenda.

Al Gran Premio di Olanda del 1979 completa un intero giro con una ruota staccata e il fondo piatto che scintilla come un fuoco artificiale. Arrivato ai box, se la prende con i meccanici che non gli sostituiscono le gomme, ma poi guarda meglio e si accorge di aver ridotto il retrotreno a un ammasso di lamiera fumante. Una ruota non avrebbero neanche saputo dove attaccarla.

Al Gran Premio del Canada dell'81 dopo un contatto prosegue con l'alettone anteriore ripiegato verso l'abitacolo, con visibilità zero e il rischio di restare decapitato; quando alla fine il pezzo si stacca passandogli miracolosamente sopra la testa, lui completa la gara senza alettone, con l'auto clamorosamente squilibrata dal punto di vista aerodinamico che sembra ballare sul ghiaccio, arrivando addirittura terzo per il delirio dei suoi compatrioti e di buona parte dei tifosi in genere.

Al Gran Premio di Spagna dello stesso anno, in testa con una Ferrari in nettissima difficoltà, riesce a tenersi dietro fino alla fine quattro avversari più veloci, che tagliano il traguardo in fila indiana dietro di lui. Il quinto classificato, Elio De Angelis, arriva a solo 1 secondo e 24 centesimi da Gilles. Un soffio.

Ma è soprattutto la gara a sportellate con Arnoux al Gran Premio di Digione del '79 a farlo entrare nella storia. I due percorrono l'intero ultimo giro lottando per la seconda piazza superandosi reciprocamente diverse volte e procedendo spesso appaiati come una specie di mostro ad otto ruote. Alla fine il canadese la spunta sul francese ed è secondo, consacrandosi vera divinità della Formula 1. Pochi secondi prima, nel disinteresse generale, Jean-Pierre Jabouille taglia il traguardo in testa con la sua Renault, prima vittoria di un turbo nella massima categoria. Ma il vero trionfatore è quel piccoletto in rosso che sembra non conoscere la parola "paura".

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Nel 1982 la Formula 1 è nel mezzo della rivoluzione aerodinamica. I progettisti dei team, affascinanti figure gravate dell'ingrato compito di rendere guidabili dei missili su ruote, personaggi a metà tra il topo di laboratorio e lo scienziato pazzo, hanno scoperto che dotando le monoposto di supporti laterali che ne chiudono a terra il profilo (le cosiddette "minigonne") le vetture vengono letteralmente schiacciate verso il basso con un eccezionale incremento della stabilità e della possibilità di scaricare potenza a terra. E' il cosiddetto "effetto suolo", che rivoluziona il mondo delle corse.

Controindicazione non da poco, se per accidente le stabilissime monoposto si staccano da terra in seguito ad un contatto, il muro d'aria che turba la quiete del "sottovuoto" creato dalle minigonne le scaraventa in aria come pizze, con conseguenze devastanti.

Ecco perché, quando Villeneuve tampona Mass e il suo avantreno si solleva da terra, la Ferrari numero ventisette decolla verticalmente come un proiettile, il cielo nell'abitacolo impazzisce e il canadese scompare dalle telecamere per un attimo eterno.

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Non è solo la pesantezza del piede destro a fare di un pilota un grande campione. Villeneuve nel corso della sua carriera dà più volte prova di essere in grado di correre per la squadra e per il suo compagno.

Nel 1979, quando lui e l'altro ferrarista Jody Scheckter sono in corsa per il titolo insieme ad altri piloti, Gilles sacrifica volontariamente la sua gara al Gran Premio d'Italia scortando Scheckter alla vittoria senza attaccarlo mai e permettendo al compagno e alla Ferrari di vincere il Mondiale. Se lo avesse superato, non ci sarebbe stata la certezza matematica della vittoria ma presumibilmente a fine stagione sarebbe stato Gilles ad essere campione del mondo. Un esempio di correttezza e di capacità di sacrificio di rara portata. Ma chi sa comportarsi lealmente e giocare per la squadra non sa perdonare chi non lo fa.

Ecco perché nell'82, quando Villeneuve sta conducendo il Gran Premio di San Marino ad Imola seguito dal suo nuovo compagno di squadra Didier Pironi, suo amico fraterno con cui ha condiviso anche un po' di bravate extrasportive, tipo rischiare l'arresto per aver guidato da Montecarlo a Maranello ad oltre duecento all'ora di media in autostrada, il canadese si sente ormai sicuro del successo.

Dopo il ritiro delle Renault, in un Gran Premio per altro disertato dalle scuderie inglesi in seguito ad una sorta di "sciopero" contro il regolamento, la coppia Ferrari è stabilmente al comando e dai box viene esposto il cartello slow, che indica ai due di non prendere rischi e, implicitamente, di mantenere le posizioni.

Sia stata la vertigine per avere a portata di mano la prima vittoria in Formula 1, sia stata la naturale voglia di prevalere che devi avere per forza se ti guadagni da vivere rischiando la vita su un'auto da corsa, sia stato, semplicemente, un momento di piccolezza umana di quelli che ti si appiccicano addosso e poi ti porti appresso finché muori, fatto sta che Pironi ignora il comando e a poche curve dalla fine supera un attonito Villeneuve.

Quest'ultimo a questo punto si scatena per vendicare il torto subito, ma ormai non restano che pochi chilometri e Pironi taglia il traguardo per primo. Sul podio, il gelo. Che si protrae per le due settimane che separano Imola da Zolder, nonostante un pentito Pironi provi a ricucire i rapporti. Poi, le prove di quel venerdì 8 Maggio.

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La Ferrari 126-C2 rientra nell'inquadratura da una traiettoria piuttosto insolita per un'automobile, cioè piombando dall'alto. Dalle confuse immagini del tempo si intuiscono, più che vedersi, una serie di rimbalzi in mezzo al traffico sottostante, che zigzaga per evitare di essere travolto. La vettura si flette come fatta di carta velina, perde pezzi, alla fine si affloscia in mezzo alla pista. La telecamera recupera l'inquadratura, stringe sull'abitacolo.

Vuoto.

Gilles Villeneuve non è più lì.

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Joann è rimasta a casa a Montecarlo, c'è la comunione di Mélanie. Quando la notizia dell'incidente la raggiunge ha una crisi di nervi, anche se la situazione non è ancora completamente chiara perché il cuore di Gilles batte ancora.

Ma è poco più che un riflesso meccanico. Arrivata alla clinica, Joann scopre la gravità della situazione. Non c'è più attività cerebrale, la frattura del collo lascia poco spazio alla speranza. Nell'ipotetico, miracoloso caso di sopravvivenza non ci sarebbe comunque alcuna chance di una ripresa di coscienza.

I medici sono chiarissimi, e suggeriscono il distacco delle apparecchiature che tengono artificialmente in vita Gilles. Marco Piccinini, il secondo di Ferrari, è l'unico che non riesce a farsene una ragione. Chiede un altro consulto, ad un luminare di fama mondiale. Il quale, ovviamente, conferma la triste sentenza. Joann dà il suo assenso, le macchine vengono staccate. Alle 21 e 12 minuti il corpo di Gilles Villeneuve cessa dai processi vitali.

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Quando la telecamera finalmente lo scova, sembra che dorma appoggiato alla rete sulla quale si è arrestato il suo volo. Non ha il casco né le scarpe, scaraventati a oltre cento metri. E' stato scagliato fuori dall'abitacolo dopo il decollo, strappato fuori dalla vettura da un'accelerazione mostruosa che praticamente disintegra la Ferrari. I piloti accostano, scendono, si crea un piccolo ingorgo. Arriva in pochi secondi un medico, ma capisce di avere ben poco da fare. Passa anche Pironi, che si ferma ma poi riparte. Forse non ha capito, non si saprà mai.

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Una cattiva stella accompagna il proseguimento della stagione. Pironi conquista la pole in Canada ma resta bloccato sulla griglia di partenza. Dall'ultima fila sopraggiunge velocissima l'Osella di Riccardo Paletti, alla sua prima partenza in un Gran Premio "vero" (aveva preso il via solo ad Imola, ma come già detto mancavano praticamente tutti i team inglesi).

Il giovane italiano centra in pieno la Ferrari di Didier, e resta intrappolato tra le lamiere. Pironi scende per aiutarlo, ma l'Osella prende fuoco. Per Paletti non ci sarà niente da fare.

In seguito, durante le prove del Gran Premio di Germania, mentre sembra ormai lanciato verso il titolo, Pironi ha un tremendo incidente in rettilineo, le sue gambe si spezzano, la stagione finisce e sfuma il sogno del mondiale.

Dopo una trentina di operazioni di ricostruzione ortopedica e anni di martirio, il francese nell'86 prova di nuovo una Formula 1 ma capisce di non essere più in grado di reggere le sollecitazioni per un tempo elevato, pur essendo ancora molto veloce.

Ma la fame di velocità non lo abbandona, e così si rivolge alle gare di motonautica. E proprio alla guida di un offshore incontra definitivamente il suo destino il 23 agosto del 1987 durante la disputa di un trofeo al largo dell’isola di Wight. La sua compagna Catherine è incinta di due gemelli, che nascono pochi mesi dopo.

Li chiamerà Gilles e Didier.

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Il nome Villeneuve tornerà ad echeggiare sulle piste di tutto il mondo qualche anno dopo, quando Jacques, sulle orme del padre già da appena ragazzino nel 1984, si coprirà di allori vincendo la 500 Miglia di Indianapolis del '95 e in seguito il Mondiale di Formula 1 del '97, riuscendo là dove Gilles si era dovuto fermare.

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Non ce la faccio.
Non ce la faccio a prenderli sul serio quando parlano con i box alla radio durante il giro d'onore, lanciando gridolini da sit-com adolescenziale e propinando amenità tipo "Siete stati grandi ragazzi!" "Bel lavoro!", o "Yu-uh!".

Lo so, sono velocissimi, rischiano la vita, sono dei maghi del volante, lo so. Ma non mi avranno mai, coi loro drink energetici, gli occhiali da rockstar e i guardaspalle che tengono lontani i curiosi.

Il mio pilota è alto un tappo e un barattolo, ha il ciuffo scarmigliato anche se nessun esperto di look gliel'ha suggerito. Dal sottocasco ignifugo attraverso la visiera spuntano due occhi piccoli e intensi che trafiggono la traiettoria. Gli manca una ruota ma sembra non curarsene, trascina il suo mostro meccanico quasi in fiamme ai box. Non vincerà, ma non ha veramente importanza, tutti ci ricorderemo solo di lui.

La sua macchina è rossa.

Il suo numero è il ventisette.

 

Ultima modifica il Lunedì, 08 Dicembre 2014 15:58

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