di Veronica Valerio* - Nel corso degli ultimi anni c'è stata una grande rivoluzione in ambito sessuale, sia in generale che nei singoli contesti, riguardante le persone con disabilità. Le famiglie e i servizi hanno acquisito una maggiore consapevolezza della sfera affettiva e sessuale e delle problematiche ad essa correlate. Si è giunti a maturare l'idea secondo la quale dietro un disabile non ci sia il "volto di un angelo", bensì quello di una persona, nella sua unicità.
Fino ad alcuni decenni fa il discorso relativo alla sessualità nei soggetti portatori di handicap veniva considerato tabù, censurato sia dalla letteratura, sia dalle strutture e sia dai familiari delle persone coinvolte e questo a causa di una serie di fattori, soprattutto etici e culturali. Da un punto di vista sociale, il tipico atteggiamento che si rivolge al disabile è quello assistenzialista, quello del proteggere e prendersi cura di una persona "difettosa", sensibile, fragile, sfortunata rispetto agli altri, dimenticando il concetto di individualità, ruolo sociale e identità e l’insieme di caratteristiche e tratti di personalità che da sempre caratterizzano l'essere umano.
In generale, la società si pone spesso nei confronti della disabilità in una posizione di non accoglienza: pensiamo alla questione delle barriere architettoniche. Non accoglienza che consegue anche rispetto alla sessualità, nascondendo che dietro la persona disabile ci sia una richiesta di inclusione anche e soprattutto in termini affettivi. Una società realmente inclusiva ed accogliente riconosce l'identità sessuale di ogni persona, con o senza disabilità, nel rispetto della libertà individuale in quanto accettazione di diverse modalità di libera espressione e supporta, accompagna e facilita gli interessi e i bisogni sessuali ed affettivi per superare lo stigma sociale associato alla condizione di disabilità, considerata ancora oggi sinonimo di inferiorità.
Il peso di questi pregiudizi influenza notevolmente la vita del disabile e di tutte le persone da cui è circondato, influenza i metodi, il lavoro e l'approccio di tutti quegli operatori che restano con le mani legate, incapaci e spesso spaventati dalla possibilità di fare di più. L'incertezza, la paura, l'enorme resistenza culturale apre un varco tra la sessualità della persona disabile e della persona senza disabilità, senza tener conto che la disabilità, soprattutto quella fisica, non rappresenta una condizione a sé stante, ma una condizione in cui ognuno nella vita può rischiare di ritrovarsi a causa di un trauma o di una patologia. Tuttavia, cancellare una parte del corpo non significa eliminare la sfera emozionale e affettiva, la voglia di amare e di essere amati.
Contribuisce a ciò anche il modello su cui si fonda la nostra società, un modello perfetto in cui la bellezza riveste il primo posto e fa da precursore a qualsiasi tipo di relazione; di fatto un disabile secondo questi canoni, non rappresenta la bellezza, il fascino e l'attrazione, e di conseguenza è molto raro che riesca a provare piacere per sé stesso, e a suscitarlo negli altri. Ma la perfezione è un concetto arbitrario e non dovrebbe essere utilizzato per definire la soggettività di una persona né tantomeno per sentirsi parte integrante di un mondo che è imperfetto nelle sue mille sfaccettature.
L'unico fattore che distingue una persona con handicap dal cosiddetto normodotato può essere la disfunzionalità dal punto di vista fisico o la difficoltà di apprendimento dovuta ad un deficit intellettivo. Il piacere, l'innamoramento, il sentimento, l'emozione, il contatto, l'istinto, l'affettività, la corporeità, sono tutti ingredienti propri del nostro Sé e della nostra personalità. La sessualità è un elemento centrale nella vita degli esseri umani, è il modo di esserci dell'uomo, parte integrante del suo sviluppo psico-evolutivo, aspetto vissuto e manifestato attraverso pensieri, fantasie, credenze, valori, pratiche e comportamenti che influenzano il nostro essere e il rapporto che stabiliamo con gli altri.
Si parla esattamente di sessualità in maniera molto più ampia rispetto a quello che di solito sentiamo dal senso comune, poiché essa è una dimensione ricca di molteplici aspetti, non limitata alla parte fisica e genitale, ma arricchita di amore, empatia, emozione, piacere, espressione e consapevolezza di sé; è gesto, parola, carezza. È fonte di piacere, amore, benessere e salute e, se quest'ultima è un diritto fondamentale, anche la salute sessuale è un diritto umano basilare. Eppure quando ci si trova di fronte ad un disabile veniamo sopraffatti da una serie di interrogativi: "Possono due persone con handicap condurre una vita normale? Possono innamorarsi? È giusto che abbiano dei figli? Sono in grado di provare emozioni e bisogni come tutti gli altri?".
E' un continuo interrogarsi, come se noi fossimo dei giudici e loro degli imputati, come se noi avessimo il potere di decidere e interferire sulle loro vite. Ma se forse riuscissimo ad aprire la nostra mente e ad entrare nell'ottica del disabile come persona, qualcosa potrebbe cambiare. Per anni il diritto di amare ed essere amato è rimasto intrappolato nella vita di chi è considerato l'eterno bambino in un corpo asessuato, figlio o uomo da proteggere da quel mondo così crudele e ingiusto che è chiamato vita. Il disabile, il diversamente abile o handicappato, e potremmo utilizzare così altri sinonimi, altro non è che una Persona con un corpo, un cuore e un sesso, un individuo portatore della sua storia e dei suoi vissuti, tesoro unico nella sua specie, uomo o donna con il proprio bagaglio di esperienze colorate di affetti ed emozioni, con i propri obbiettivi da perseguire e con i propri sogni da realizzare.
Di fronte ai nostri diritti dovremmo essere tutti uguali, anche quando l'unica cosa che ci divide è una carrozzina oppure in presenza di un quoziente intellettivo più basso rispetto alla media. Le nostre vite si reggono su una dimensione emotiva molto profonda, ogni cosa, ogni aspetto delle relazioni umane assume una connotazione affettiva molto forte, dalle mille sfumature che rispecchiano la nostra personalità; è ingiusto e opprimente non poter esprimere l'unicità di noi stessi, l'intensità del nostro essere e la forza vitale delle nostre passioni, semplicemente perché viviamo in una società rigida, fobica e difensiva, che ci intrappola nei suoi idealismi.
Riportare alla luce un diritto significa lottare a favore dei disabili, permettere loro la maggiore autonomia possibile, contribuire a determinare la loro vita e ad orientare le loro scelte; significa dare voce ai loro silenzi, importanza ai loro desideri, forma alle loro sensazioni, riconoscere ed affermare le pulsioni vitali più profonde. Significa abbattere il divario tra normalità e diversità poiché siamo tutti normali e diversi allo stesso tempo.
Concludo con una citazione brillante di Fabio Veglia: "Penso fortemente che nessun essere umano possa vivere senza amore; l’amore è fatto di mille sfaccettature, una diversa dall'altra e tutte più o meno intense. Una persona disabile non è fatta solo di sofferenza, di difficoltà o di privazioni: ha il diritto e il dovere verso sé stessa di essere felice".
*Dottoressa in psicologia