Domenica, 24 Febbraio 2019 19:08

Psicologia dei luoghi, il perturbante nell'espansione urbana

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Uscirà il 7 marzo prossimo, in libreria, Il perturbante nell’espansione urbana – Elementi di psicologia dei luoghi, il nuovo libro di Enrico Perilli, psicologo e psicoterapeuta, docente di psicologia dinamica e psicoanalisi presso l'Università degli Studi di L'Aquila, edito dalle Edizioni Magi; un libro che “viene da quattro anni di lavoro di un gruppo di ricerca congiunto tra Ordine degli psicologi e Ordine degli architetti d’Abruzzo”, spiega l’autore a NewsTown, “che si è interrogato sulla ricostruzione dei luoghi a seguito di una calamità naturale. Da lì ho preso spunto, andando oltre e riprendendo un lavoro del 2012, su come le idee dominanti della nostra epoca influenzino le nostre modalità di vivere”.

Ne è venuto fuori un excursus storico che dimostra come le città, dall’antica Grecia passando per Roma, fossero fondate sul culto di un eroe o di un santo, organizzatore di senso che restituiva un ordine: “c’erano zone preposte al godimento, altre destinate al negotium, laddove si svolgeva il commercio, altre alla politica – l’agorà greca, per intenderci – e poi c’erano le aree residenziali; nelle società classiste, c’erano zone dove vivevano i ricchi e altre dove vivevano i poveri. C’era un ordine, comunque”. Che viene meno con l’avvento della rivoluzione industriale, e quindi della società capitalistica. “La città diventa, innanzitutto, un luogo del commercio e poi, in epoca moderna, del consumo. Succede che viene meno il centro: la città non è più quella contenuta all’interno delle mura, diventa estesa. Con l’urbanizzazione forzata, con le masse di operai richiamati in città dalle campagne per lavorare nelle fabbriche, la città perde le dimensioni. Il ‘fuori le mura’, storicamente considerato selvaggio – già nei miti greci, il dio Pan (nella letteratura cristiana diventerà l’immagine del demonio) era l’abitante di fuori le mura – viene ripensato in funzione del lavoro industriale e, quindi, del profitto”.

Il perturbante-cover-la prima 1E così, l’epoca ipermoderna finisce per caratterizzarsi - anche e soprattutto - per la presenza di città enormi, chiamate, nelle diverse fasi della loro smisurata crescita, dapprima metropoli, poi aree metropolitane, megalopoli e infine aggregati metropolitani. La caratteristica di questi luoghi è sicuramente la numerosità degli individui che li vivono, ma non sempre lì abitano. “Si definiscono non luoghi – spiega Perilli – per intendere luoghi enormi, senza identità, senza forma, votati esclusivamente all’ammassamento delle persone che finiscono per diventare anonimi consumatori. D’altra parte, chi abita un non luogo non ha una identità, non ha una storia, non vive una comunità che si fonda su valori, storie e battaglie condivise, aspettative comuni: in queste aree si ritrovano ammassati milioni di individui che sono funzionali al lavoro in fabbrica, prima, e al consumo poi. Se ci pensate, i non luoghi per antonomasia sono i centri commerciali”.

Queste città così grandi finiscono per rilevarsi alienanti. “Gran parte del tempo si trascorre in macchina: la cura gli affetti, della famiglia, è residuale rispetto ad altre priorità. Non è un caso che, in alcune città, la priorità si pone sulla creazione di spazi in comune: la diffusione dell’area bimbi nei bar risponde proprio a questi bisogni, per fare un esempio”.

In questa sterminata crescita trova spazio l’apparizione del perturbante urbanistico, periferie degradate che, anche quando divengono oggetto di progetti di riqualificazione e ricostruzione, finiscono per mostrare il loro doppio, il lato oscuro e minaccioso dei luoghi: abbandono, miseria, sovrappopolamento, assenza di servizi e condizioni di vita difficili. “Freud sosteneva che in ogni cosa che appare dolce, familiare, domestica, prima o poi si manifesta il suo doppio che è angoscioso, terrifico, pauroso; non è un caso che i film horror siano ambientati nei boschi o in casa, il luogo familiare per eccellenza. Ebbene, il perturbante si manifesta anche nella costruzione delle città. Alcune riqualificazioni urbane, come Scampia a Napoli o Corviale a Roma, erano delle grandi utopie negli anni ’70: dovevano servire a restituire luoghi identitari e di vita. Sono diventanti l’esatto contrario, la manifestazione del perturbante. Il disegno non è stato portato a termine come doveva. A Corviale era prevista la costruzione di palazzine destinate a servizi culturali che non sono mai state realizzate; a Scampia, c’era la necessità di praticare politiche di reinserimento sociale, con distretti sanitari e di controllo: di nuovo, non sono mai stati realizzati. Dunque, questi luoghi abbandonati a sé stessi sono diventati dei dormitori, trasformandosi nell’esatto contrario di ciò che dovevano essere: si è manifestato il loro doppio, tornando a Freud”.

Altro aspetto del perturbante dei luoghi, paradossalmente, è l’abbandono dei centri montani e rurali, le cosiddette aree interne del nostro Paese, svuotati di vocazione, servizi e quindi abitanti. “Come accade nelle grandi città, anche chi vive in campagna passa metà del suo tempo in macchina: la differenza è che in città si sta fermi in coda, in campagna si percorrono lunghe distanze. Nelle grandi città soffriamo l’ingolfamento dovuto ai grandi numeri – si sono ammassate persone e costruiti palazzi senza pensare alla dimensione umana – le campagne, invece, sono state private di tutti i servizi, è venuta a mancare la comunità che si fonda, come abbiamo detto, su valori, culture, tradizioni e storie condivise oltre che su occupazioni per il presente. Essendosi urbanizzato il mondo, questi luoghi sono rimasti privi di comunità e il tentativo di rianimarli portandovi masse di turisti va nella stessa direzione che ha causato lo spopolamento, cioè qualcosa di funzionale al profitto ed al lavoro: la comunità, però, è qualcosa di più. Ecco perché si dovrebbero riportare servizi, piuttosto, scuole ed attività che le persone possono praticare rimanendo lì”.

In questo scenario, L’Aquila offre spunti di riflessione interessanti, patendo, a seguito del sisma, i problemi delle grandi città pur essendo un centro di piccole dimensioni. “Ciò che è accaduto qui sarebbe accaduto comunque, ma c’è stata una accelerazione dovuta alla ricostruzione”, sostiene Perilli; “si sono ricostruiti tantissimi luoghi da abitare, per gran parte vuoti, e si è persa l’identità del luogo. L’Aquila ha un potenziale abitativo per 136 mila persone - tra progetti Case, Map, casette della delibera 58 e un avanzo di piano regolatore – ma i residenti, sulla carta, sono meno di 70 mila. Questa crescita sproporzionata ha frammentato la città e l’ha resa piena di non luoghi. Prima L’Aquila non era così: anzi, il centro storico era un luogo che restituiva identità e senso di comunità. Pensiamo a viale della Croce Rossa: è un esempio emblematico di non luogo, organizzato sul bisogno del negotium, dell’affare, del commercio. Nelle altre città è accaduto lo stesso”.

D’altra parte, nell’epoca ipermoderna il consumo, e così la scienza e la tecnologia, è un organizzatore di senso, come era la religione. Un modello di sviluppo socioeconomico che mostra il suo lato d’ombra e, nel suo procedere inarrestabile, finisce per snaturare idee come quelle di civiltà, sviluppo e progresso che si manifestano nel loro perturbante. E così l’uomo moderno dovunque viva, è come sospeso in un ambiente scorporato, inumano, snaturato. “Le emozioni che vivono i cittadini della città e della campagna, che abitino a Tor Bella Monaca o a Santo Stefano di Sessanio, sono le stesse: senso di abbandono, sradicamento, frammentazione; questo porta ad una condizione di solitudine, di isolamento sociale. Altre epoche erano animate da passioni e slanci vitali, la nostra è animata da passioni tristi. Ecco il motivo per cui dovremmo rimettere in discussione i concetti finora praticati di sviluppo, di progresso, che non possono essere intesi soltanto come crescita economica”.

Ultima modifica il Mercoledì, 27 Febbraio 2019 23:16

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