Sabato, 11 Aprile 2015 11:32

"Zungzwang": lo spettacolo che racconta le scelte inevitabili

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E' andato in scena ieri sera, nella sua prima aquilana, "Zungzwang", il nuovo spettacolo degli Artisti Aquilani. Dopo il successo di Palermo, Cristiana Alfonsetti, Cecilia Cruciani e Giulio Votta salgono per la prima volta sul palco della Casa del Teatro (spazio gestito dalla compagnia fin dalla sua creazione nel 2009 post-sisma), sotto la regia di Simone Morosi e con la drammaturgia di Barbara Innamorati.

Negli ultimi anni, la città dell'Aquila è stata invasa da un fermento di idee che si sono spesso tramutate in progetti teatrali, grandi e piccoli. Che "Zungzwang", però, sia uno spettacolo diverso si evince già dalla modalità di produzione: una scelta coraggiosa e (forse) obbligata quella di affidarsi al crowdfunding. Una scelta che sintetizza anche l'essenza dello stesso spettacolo.

Zugzwang in tedesco significa "obbligato a muovere". Negli scacchi, in particolare, definisce una mossa inevitabile: quando si è costretti a muovere, anche se questo comporterà la perdita di un pezzo importante o addirittura lo scacco matto. Questo è Zugzwang e questo è ciò che ieri gli attori hanno ricreato sul palco: la sensazione di stallo che ci pervade prima di compiere una scelta obbligata, quella scelta dolorosa ma indispensabile affinché lo stallo non diventi la prigione di noi stessi.

I personaggi si muovono in uno spazio definito ma mutevole: una scenografia che si avvale di una sorta di camerino da cui si possono intravedere gli attori prima di entrare in scena e che poi diventa anch'esso un arredamento del sogno. Dall'alto di una sedia, il custode del teatro apre gli occhi degli spettatori, introducendo dei quadri, fatti di movimenti, luci e suoni. Gli altri due personaggi si lasciano guidare e poi prendono una propria strada: ricreano coreografie che si avvalgono di elementi clowneschi e vegamente circensi che, anche se non perfettamente pulite e in sincronia, mirano a delineare ulteriormente l'atmosfera decadente del dark cabaret.

Lo slancio poetico si rifà ai grandi del passato, muovendosi con maestria da Robert Kennedy a Giorgio Gaber fino a Wislawa Szymborska. I testi riportano alla luce un passato che sentiamo dentro di noi come presente e che definisce i contorni di un sogno da cui dobbiamo necessariamente risvegliarci. La presenza massmediatica si fa incombente: dalla pubblicità, all’uso dei quotidiani come elemento di scena, gli attori ne padroneggiano l’uso per portare il pubblico dentro e fuori ciò che conosce e che gli è familiare. Il giornale viene letto, strappato, ricomposto, usato per creare ombre, per costruire ali ed ogni volta è un altalenare tra sogno e realtà.

Gli abiti di scena, dalla maschera dello scheletro fino al costume del custode del teatro, un circense con gli occhiali da sole e le orecchie da coniglio, appaiono come una rielaborazione trash che confonde e tocca le corde più nascoste della nostra visione macabra della realtà.

La totale dedizione dei corpi dei performer nelle mani della regia si esprime in una danza metropolitana, sotto l'influsso di una musica assordante e di luci stroboscopiche, e si alterna a scene di poetica commemorazione dei corpi e delle movenze. Tra un quadro e l’altro si inseriscono elementi inaspettati, come una canzone popolare o una commovente danza con un pupazzo, ostacolata dalle catene imposte dalle altre due figure.

Alla fine rimangono in scena solo le maschere dei personaggi: arriva il momento in cui la scelta va compiuta. Resta però il dubbio che sia troppo tardi.

[...Non c'è vita che, almeno per un attimo, non sia
immortale
Ed io sono sempre in ritardo in quell'attimo.]

Wislawa Szymborska

Ultima modifica il Sabato, 11 Aprile 2015 13:08

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