Giovedì, 17 Settembre 2015 15:54

«We are the future»: le foto dei "primi adolescenti del post-sisma aquilano"

di 

Mostrare lo sguardo degli adolescenti, a sei anni dal terremoto che nel 2009 sconvolse L'Aquila e il cratere abruzzese. E' questo l'obiettivo di We are the future, mostra fotografica di Luca Bucci, che ha ritratto in 40 scatti in bianco e nero ragazzi e ragazze tra i 14 e i 18 anni nella città che cambia. Adolescenti che sei anni fa erano bambini o poco più.

Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione con la divisione italiana di Lush, impresa che produce e commercializza cosmetici naturali. L'anteprima della mostra, che grazie a Lush girerà le maggiori città italiane, sarà allestita dal 19 al 26 settembre nei locali della libreria Polarville, in via Castello, nel centro storico del capoluogo abruzzese. La mostra-anteprima sarà presentata sabato 19 settembre, alle ore 17, dall'autore assieme ad Anna Lucia Bonanni, docente all'istituto "Cotugno" dell'Aquila.

"Ho pensato di focalizzare la mia attenzione in particolare su coloro che nel 2009 erano le bambine e i bambini che noi adulti aquilani ricordiamo negli alberghi della costa abruzzese e nelle tendopoli sparse in città", afferma Bucci, fotografo aquilano, che ha realizzato il reportage nello scorso mese di luglio. In alcuni casi i ritratti sono stati scattati nei pressi delle abitazioni pre-sisma dei giovani protagonisti; in altri, nei luoghi nei quali attualmente si riuniscono. In altri ancora, poi, nei vicoli e nelle piazze del centro storico della città, tra le vie tuttora abbandonate o nei pressi dei cantieri della ricostruzione.

Vogliamo darvi un anticipo di We are the future attraverso le parole di Antonello Ciccozzi, ricercatore di Antropologia culturale all'Università dell'Aquila, che ha elaborato un contributo sul progetto fotografico di Bucci. (m. fo.)
 

"We are the future": i primi adolescenti del dopo-terremoto Aquilano

Considerazioni per la mostra fotografica di Luca Bucci


di Antonello Ciccozzi*
- Vista da una prospettiva dell'antropologia dell'abitare l'adolescenza è un itinerario di formazione di ciò che chiamiamo "senso del luogo"; una strada in cui il bambino si scopre ragazzo non solo attraverso la trasformazione del corpo ma anche nell'atto di distanziarsi fisicamente dall'esclusività dei legami della famiglia. Questo rito di passaggio riguarda concretamente l'avventurarsi, insieme a un gruppo di pari, in un lungo percorso esplorativo e di appropriazione simbolica degli spazi insediativi circostanti all’ambito domestico. Si tratta di un cammino di composizione di mappe mentali, di conferimento di significato emotivo allo spazio attraverso pratiche di esperienza vissuta. E' un processo a due direzioni: se da un lato gli individui si fanno persone dando senso allo spazio sociale, dall'altro lato gli spazi sociali si fanno e rifanno continuamente luoghi proprio grazie a questa attribuzione di senso. Poi, se l'ambiente è un ambiente urbano, l'adolescente che si forma in città ne vive la specifica geografia come una foresta di segni da comprendere, reinterpretare e ordinare nella trama della propria esperienza. Così, nella tessitura di storie di chi le abita, le città si rigenerano, di generazione in generazione. Inutile ricordare che l'adolescenza non è un percorso facile: come tutti gli attraversamenti di soglie iniziatiche, è un momento di esposizione a un rischio apicale, in cui l'onere antropologico primario per la persona, quello di costruire la propria presenza, il proprio esserci-nel-mondo, minaccia continuamente di precipitare nella dimensione perturbante dell'angoscia, dell'inessenza, del non-esserci.

Gli adolescenti del dopo terremoto aquilano vivono una condizione del tutto peculiare poiché la città che fa da soglia al loro percorso formativo (inter)soggettivo è a sua volta immersa in una soglia: quella della ricostruzione post-sismica. In questo caso, la ricostruzione può essere intesa alla stregua di un'adolescenza della città; un momento, appunto in cui la trasformazione del tessuto urbano reca in sé tanto l'entusiasmo della novità, il fermento della crescita, quanto il turbamento dato dal rischio esiziale di un fallimento storico. Mai come in una città-cantiere disseminare di senso gli spazi urbani può avere una funzione enzimatica: i segni che questi ragazzi raccolgono e le esperienze che fanno oggi formeranno il serbatoio dei loro ricordi di domani; il serbatoio di significati da cui viene la linfa che chiamiamo senso d'appartenenza, la struttura collettiva di sentimento che rende un mucchio di edifici una città.

Non sappiamo che succederà, ma possiamo dire che il senso d'appartenenza di questi ragazzi – la loro città – non sarà velato dalla nostalgia che spesso promana dal ricordo del "prima" degli altri abitanti, per un motivo semplice: L'Aquila pre-sismica non l'hanno vissuta; la soglia tra "prima" e "dopo" combacia in modo pressoché esatto con quella tra la loro infanzia e la loro adolescenza. Il "prima" non ha che sfiorato le loro esistenze, e resta un luogo in cui non hanno abitato; niente più che un'ombra intorno all'infanzia. Sono usciti di casa per la prima volta da soli a cercare la loro città e hanno trovato un cantiere, simile al loro cantiere interiore. Perciò We are the future è appropriato; stando appena di là dalla quasi surreale ma concretissima soglia urbana tracciata dal terremoto, loro sono il futuro per un motivo potentemente elementare: non sono il passato.

*ricercatore di Antropologia culturale presso l'Università degli Studi dell'Aquila

Ultima modifica il Giovedì, 17 Settembre 2015 16:48

Articoli correlati (da tag)

Chiudi