"Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi".
L'articolo 36 della Costituzione, che sancisce il diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata e sufficiente, contiene anche importanti disposizioni finalizzate a salvaguardare l'integrità dei lavoratori e ad evitare situazioni di sfruttamento. In un mercato del lavoro sempre più flessibile. e in assenza di riferimenti nel testo costituzionale alle festività nazionali che, però, non possono causare una perdita di retribuzione per il lavoratore, è raro che il giorno di riposo coincida con la domenica. TUttavia, diverse sentenze della Corte di Cassazione stabiliscono che nessun lavoratore può essere costretto alla prestazione lavorativa nei giorni di celebrazioni civili o religiose.
Eppure oggi, il diritto al giorno di riposo in concomitanza della domenica o delle festività nazionali non è in alcun modo tutelato. Anche la festa dei lavoratori, che pareva essere uno degli ultimi baluardi, rischia di venire meno. Quasi cinque milioni di italiani, infatti, lavoreranno il prossimo primo maggio.
Secondo le elaborazioni della CGIA Mestre riferite al 2016, 4.7 milioni di occupati lavora regolarmente di domenica o durante le festività. Tra i settori dove la presenza degli occupati nei giorni di festa è più elevato, c'è quello del commercio, con il 29.6 per cento del totale dei dipendenti obbligati alla prestazione di lavoro nei giorni che figurano nel calendario festivo previsto dalla legge. E' l'effetto della liberalizzazione totale nella grande distribuzione introdotta nel 2012 dal governo Monti. Con il decreto legge 201 del 2011, noto come SalvaItalia, è stato imposto a tutto il settore del commercio un regime di totale deregulation degli orari delle attività commerciali, rendendo possibile - dal primo gennaio 2012 - l’apertura 24 ore al giorno tutti i giorni dell’anno, domeniche e festività incluse. E così, specialmente durante le festività "primaverili" come il 25 aprile e il primo maggio, sono sempre più numerose le attività commerciali che, per massimizzare i profitti o per continuare a garantire un servizio, a seconda dei punti di vista, decidono di rinunciare al giorno di riposo.
Il tema delle aperture festive è da tempo fonte di polemiche e tocca innumerevoli questioni economiche e di principio. E' innazitutto mutata la cultura del consumo, con gli utenti che, spinti dall'esigenza di rispondere al mercato, non prestano più attenzione alla conseguente compressione dei diritti dei lavoratori. Ma sono le condizioni lavorative dei dipendenti ad aver subìto maggiormente gli effetti negativi della deregulation introdotta dal governo Monti. La regressione sul terreno dei diritti si accompagna infatti a livelli minimi di protezione e sicurezza nell'ambito di un'organizzazione del lavoro sempre più frammentata. Per chi lavora nelle grandi distribuzioni, il contratto collettivo nazionale, che non prevede l’obbligo della prestazione lavorativa in occasione delle festività, è un miraggio. Le aziende, a parità di mansioni, ricorrono alle più svariate forme contrattuali, oppure, a personale esterno assunto tramite agenzia interinale.
A complicare ulteriormente il quadro, è l'organizzazione delle grandi distribuzioni. Le aziende sono oggi rappresentate da quattro sigle - Confcommercio, Federdistribuzione e Confesercenti e Distribuzione cooperativa - ognuna delle quali applica contratti diversi. Tra queste, soltanto Confcommercio, seguita da Confesercenti nel 2015, hanno siglato un contratto collettivo prevedendo una maggiorazione salariale di 85 euro ed alcuni vantaggi per i lavoratori, mentre i contratti della Distribuzione cooperativa e Federdistribuzione sono scaduti ormai da cinque anni. Rinnovarli non sarebbe importante solo dal punto di vista del reddito ma anche delle condizioni lavorative in generale. Sono sempre più frequenti casi di aziende che, in nome della flessibilità, spingono i lavoratori a sottoscrivere clausole che rendono obbligatoria la prestazione lavorativa nelle domeniche o nei giorni festivi, continuando ad assumere decisioni unilaterali nei confronti dei lavoratori, anche nell’erogazione di trattamenti economici diretti. Proprio per sollecitare un avanzamento dei negoziati di rinnovo dei contratti nazionali di lavoro e l'equiparazione tra lavoratori dello stesso settore, lo scorso 22 dicembre i sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno indetto congiuntamente uno sciopero a livello nazionale che ha coinvolto anche gli oltre 5 mila lavoratori della distribuzione moderna organizzata e della distribuzione cooperativa presenti in Abruzzo.
Gli stessi sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil Abruzzo, come successo anche in occasione del 25 aprile, sono tornati a proclamare per gli ipermercati e i centri commerciali uno sciopero regionale il primo maggio, per ribadire la "contrarietà alla totale deregolamentazione delle aperture delle attività commerciali" che non ha risolto "i problemi occupazionali delle imprese in crisi, non ha creato nuovi posti di lavoro e non ha prodotto risultati positivi per le aziende".
"Al contrario - si legge nella nota diffusa dai sindacati - la liberalizzazione ha prodotto lo svuotamento dei centri storici delle città e ha peggiorato le condizioni di vita di migliaia di addetti del settore, molti dei quali si sono trovati costretti a sottoscrivere clausole che rendono obbligatorio il lavoro domenicale e festivo".
Ma nel quadro del degrado in cui è caduta la cultura del lavoro, anche lo sciopero sembra non essere più momento di rivendicazioni politiche e sociale, ma un palliativo cui ricorrere a fronte del venir meno di diritti considerati acquisiti. "Abbiamo proclamato lo sciopero per mettere in copertura tutti quei lavoratori che hanno un obbligo alla prestazione del lavoro festivo nel contratto individuale di lavoro. In genere, sono quelli che hanno contratti più recenti che prevedono clausole che ti obbligano a lavorare anche nei festivi - ha affermato a newstown Lucio Cipollini, responsabile regionale Filcams Cgil - Per chi, invece, non ha un obbligo sul contratto individuale di lavoro la prestazione è facoltativa, quindi teoricamente, si può decidere di andare a lavorare o meno".
Teoricamente, dice Cipollini perché "le aziende ricattano e quasi mai il lavoratore ha facoltà di scelta". Per il sindacalista non c'è dubbio che, a cinque anni dalla sua introduzione, la liberalizzazione indiscriminata, un provvedimento che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto dare una spinta positiva alla crescita dei consumi, incrementando la libera concorrenza e adeguando il nostro quadro normativo a quello europeo, ha già mostrato tutti i suoi limiti. Non esistono dati univoci sui benefici ai fatturati derivati dalle aperture festive, ma, in termini occupazionali, per il responsabile regionale Filcams "la liberalizzazione non ha portato alcun beneficio. Non ha salvato posti di lavoro e le aziende che prima del decreto SalvaItalia erano in difficoltà non hanno incrementato le vendite. Lo dimostrano le tante procedure di mobilità e di esubero di personale aperte su diversi punti vendita".
Inoltre, soprattutto nella provincia di Pescara, diversi centri commerciali hanno subìto un calo importante di fatturato. "Dai livelli pre crisi del 2008 ad oggi, il ricavato di queste aziende, tra cui l'Auchan di Città Sant'angelo, è sceso di circa il 25%. Solo negli utlimi due anni si è stabilizzato e ovviamente questo ha comportato la perdita di posti di lavoro". Un quadro che, per il sindacalista, restituisce l'immagine di un "settore in difficoltà, senza alcuna prospettiva di ripresa. Non si può pensare che l'autoregolmentazione produca effetti benefici, né dal punto di vista dei fatturati, né da quello dell'occupazione e delle condizioni di lavoro - osserva il sindacalista - Se le grandi aziende hanno la possibilità di restare aperti 365 giorni l'anno, tutti vanno in questa direzione per cercare di fidelizzare la clientela, a prescindere dal fatto che, nel lungo periodo, questa si riveli una scelta conveniente o meno".
Nonostante gli effetti regressivi della liberalizzazione sui diritti dei lavoratori e sui livelli occupazionali siano resi evidenti, almeno in Abruzzo, dalle tante procedure di mobilità che interessano i punti vendita delle grandi distribuzioni e dalle nuove forme contrattuali che riducono le tutele, non si hanno certezze sul reale livello di gradimento della normativa da parte dell'utenza. "Non abbiamo dati a livello regionale - ha precisato Cipollini - dal momento che sul settore, a livello nazionale, ancora non sono state prodotte ricerche e analisi". A riguardo, esistono due rapporti, entrambi piuttosto datati. Il primo condotto da Federdistribuzione nel 2014, nel quale emerge un gradimento del 67%, sulla base di ricerche dell’istituto Ispo, e del 75%, sulla base dei dati della Nielsen. L'altra inchiesta [qui], pubblicata a gennaio del 2016 e riferita al 2015, è della Filcams Cgil e mostra, invece, come soltanto il 45% dei consumatori fossero favorevoli alle aperture festive; percentuale che si riduceva al 15% relativamente alle aperture notturne.
Per porre rimedio al caos della grande distribuzione, l'unica strada praticabile è "correggere la legge del 2011 intervenendo a livello nazionale con una regolamentazione chiara delle aperture - ha concluso Cipollini - Negli altri paesi europei nei festivi e le domeniche le attività commerciali sono chiuse. In Italia, che è un paese dove l'economia è più debole, si è introdotta questa norma per rilanciare l'economia e dare possibilità alle imprese commerciali di vendere di più. Purtroppo così non è stato, i redditi delle famiglie non sono aumentati, i consumi nemmeno e, anzi, si continuano a perdere posti di lavoro nel settore della grande distribuzione. Credo che questo sia sufficiente a mostrare il totale fallimento dell'autoregolamentazione".