Il Coronavirus sta avendo un importante impatto negativo sull’economia del paese, facendo registrare un rallentamento dei traffici commerciali pari a quello della crisi economica mondiale del 2008. Tale rallentamento, dapprima giustificato dai comportamenti posti in autotutela dai cittadini, ha successivamente beneficiato di una “copertura” normativa con l’adozione dei d.P.C.M. dell’8 e del 9 marzo 2020, recanti nuove misure per il contenimento e il contrasto del diffondersi del virus Covid-19 sull'intero territorio nazionale.
Tra queste, v’è il divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico ed il divieto generale di spostamenti non giustificati da motivi di salute, situazioni di necessità o esigenze lavorative. I decreti, inoltre, estendono a tutta l’Italia l’obbligo di chiusura di bar e i ristoranti entro le ore 18 con rispetto, durante l’apertura, delle norme sulle distanze di sicurezza. Infine, è previsto uno stop per le discoteche, le sale gioco, le sale bingo, i musei, i teatri ed i cinema, oltre ad una vasta serie di inibizioni e divieti riguardanti, tra l’altro, le celebrazioni, le attività didattiche e quelle sportive.
È lecito, dunque, domandarsi se e fino a che punto possa invocarsi il Coronavirus quale causa legittima di inadempienza dei contratti di locazione commerciale, per esempio, i quali più di altri subiscono, per propria natura, l’impatto degli accadimenti che possono verificarsi nel corso del tempo. Ed è lecito farlo in una città come L’Aquila, dove la maggior parte delle attività commerciali sono in affitto, in centro storico in particolare, laddove sono stati previsti persino incentivi pubblici - il bando ‘Fare centro’ - per ‘spingere’ i piccoli imprenditori ad investire sulla rinascita post sisma.
Lo abbiamo fatto intervistando l’avvocato Andrea Piermarocchi del Foro dell’Aquila.
“Occorre dire che l’ordinamento italiano non prevede una soluzione specifica al problema”, chiarisce Piermarocchi; “anzi, occorrerà muoversi sulla sottile linea che demarca il confine tra due disposizioni che disciplinano non già il contratto di locazione nello specifico, bensì il rapporto obbligatorio in generale. Gli articoli 1256 e 1467 del codice civile, difatti, contemplano l’incidenza del fattore tempo sul rapporto obbligatorio regolando i casi, rispettivamente, della sopravvenuta impossibilità e della eccessiva onerosità della prestazione".
Spiega l'avvocato: "L’impossibilità sopravvenuta (1256 c.c.) è una causa di legittima estinzione dell’obbligazione oppure, a seconda delle circostanze, di giustificazione del ritardo nell’adempimento. Secondo l’impostazione preferibile il concetto di impossibilità, per essere giuridicamente rilevante deve avere a riferimento un evento eccezionale ed imprevedibile, del tutto estraneo alla sfera del debitore, che sia idoneo a provocare un impedimento obiettivo ed insormontabile allo svolgimento della prestazione. C’è chi fa riferimento, in questo senso, alla nozione di ‘causa di forza maggiore’, che spesso viene richiamata dal codice civile pur senza essere mai compiutamente definita. Soccorre in questo senso la prassi internazionale per la quale le epidemie, così come le catastrofi, le guerre e le insurrezioni, rientrano a pieno titolo tra le cause di forza maggiore idonee a giustificare l’inadempimento o a ritardare l’adempimento”.
L’eccessiva onerosità sopravvenuta, invece, presuppone non già l’impossibilità di adempiere – aggiunge Piermarocchi – “bensì una grave alterazione dell'equilibrio tra il valore delle prestazioni corrispettive causata da eventi straordinari, imprevedibili e successivi all’assunzione dell’impegno. In questo caso il rimedio previsto dal codice è quello della risoluzione del contratto, ma il creditore può evitarla offrendo una equa modifica delle condizioni”.
Pertanto, ed in conclusione, “occorrerà verificare se, nel caso concreto, le restrizioni imposte dalle autorità causa Coronavirus siano tali da compromettere l’adempimento del conduttore così da giustificare l’esenzione da responsabilità per causa di forza maggiore o per sopravvenuta eccessiva onerosità della prestazione. In questa complessa valutazione rivestiranno un ruolo-chiave vari elementi, tra cui il momento della sottoscrizione del contratto di locazione, l’ammontare del canone, la capacità di provare in via obiettiva la riduzione degli affari nonché, infine, una adeguata e tempestiva comunicazione alla controparte della causa che si intende invocare”.
Non è possibile, ovviamente, dare conto in questa sede di tutte le casistiche e delle soluzioni possibili, ma è come sempre consigliabile rivolgersi ad un esperto che sia in grado di condurre le parti ad una soluzione conciliativa secondo criteri di solidarietà, buona fede e trasparenza imposti, in un caso come questo, dalla logica e dal buon senso, ancor prima che dal diritto.