Mercoledì, 23 Novembre 2016 02:12

Referendum costituzionale, le ragioni del No: intervista a Enzo Di Salvatore

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Dopo l'intervista al professor Fabrizio Politi, docente di diritto costituzionale all’Università dell’Aquila, NewsTown, in vista del referendum costituzionale del 4 dicembre, propone un’altra intervista a un altro costituzionalista, Enzo Di Salvatore.

"Un salto nel buio, un passo indietro di quasi vent'anni".

Così definisce la riforma costituzionale Enzo Di Salvatore, professore di diritto costituzionale all’Università di Teramo.

Le critiche di Di Salvatore, da anni attivo nelle battaglie che ambientalisti e giuristi stanno conducendo per difendere il diritto dei cittadini a partecipare alle scelte decisionali riguardanti materie come l’ambiente e l’energia (è stato uno degli estensori dei quesiti del referendum sulle trivelle), si appuntano in particolar modo sulla riforma del Titolo V prevista dal ddl Boschi-Renzi, in particolare su quella dell’articolo 117, che riscrive il rapporto tra Stato e Regioni.

Professor Di Salvatore, perché questa riforma sarebbe “un passo indietro”?

Nel 2001, quando il centrosinistra mise mano alla riforma costituzionale, sembrava non si potesse prescindere dal federalismo. Erano gli anni della devolution, avevamo avuto le Bassanini prima, c’era stato il fenomeno della Lega. Il nostro sistema regionale si stava avviando verso quella strada. Con questa riforma si fa un salto indietro di molti anni perché si torna al centralismo di Stato. L’articolo 117 verrà riscritto, quindi verrano riscritti i rapporti Stato-Regioni. 26 materie passeranno in capo allo Stato. Alcune di queste sono nuove, altre derivano dalla competenza concorrente che sparirà. Il nuovo Titolo V delineato dalla riforma ha il proposito di riportare gran parte delle competenze in capo allo Stato ma contiene in sé delle contraddizioni. Il riparto delle competenze non è politicamente neutrale. Se andiamo a vedere quello che accade, per esempio, sui diritti sociali, la situazione peggiora. Faccio un esempio: la sanità. Se passa la riforma, lo Stato manterrà la determinazione dei livelli essenziali di prestazione però l’organizzazione sanitaria rimarrà in mano alle Regioni. Questo potrebbe incidere sul diritto alla salute dei cittadini perché il diritto a curarsi dipenderà dai soldi. Contemporaneamente la riforma dà allo Stato una competenza assoluta su materie come energia e infrastrutture strategiche, cancellando uno dei diritti fondamentali del cittadino, quello di partecipare ai processi decisionali. Inoltre, i problemi della tecnica di riparto sono numerosi e si potrebbero aprire nuovi contenziosi davanti la Corte Costituzionale. La Consulta in questi 15 anni aveva stabilito dei paletti e aveva dato un’interpretazione delle materie stabilendo cosa fosse dello Stato e cosa delle Regioni. Se la riforma verrà votata, toccherà ricominciare da capo. Anche qui vorrei fare un esempio, quello dei beni culturali. Oggi lo Stato si occupa della tutela dei beni culturali mentre le Regioni della loro valorizzazione. Se passa la riforma, lo Stato si occuperà della tutela e della valorizzazione e alle Regioni andrà la promozione. Ma il confine tra tutela, valorizzazione e promozione dovrà essere tracciato nuovamente dalla Consulta, il che significherà nuovi contenziosi.

E’ vero, come sostengono molti esponenti del fronte del No, che questa riforma cambia la forma di governo.

No, non incide sulla forma di governo, anche se l’ormai famoso combinato disposto, diventato uno slogan, tra legge elettorale e riforma va incidere anche su questo tema. Non vengono cambiati espressamente gli articoli concernenti la funzione del governo ma è chiaro che, se la nuova legge elettorale assegna la maggioranza assoluta a un partito e non più a una coalizione, anche il Capo dello Stato, a cui spetta il compito di formare un nuovo governo,  dovrà pescare per forza da lì e avrà margini di manovra molto ridotti.  

Si dice che questa riforma abbia due vizi di origine: l’essere stata votata da un parlamento eletto con un sistema elettorale dichiarato incostituzionale e l’essere stata proposta dal governo.

Su questo potremmo discutere, ci sono posizioni differenti. Ormai è inutile ragionare se il parlamento eletto con il Porcellum potesse o meno fare la riforma. La riforma è un fatto e su di essa voteremo. Sicuramente, al di là della questione giuridica, c’è una questione di inopportunità politica.

E’ meglio una riforma imperfetta a nessuna riforma, come dicono molti sostenitori “tiepidi” del sì?

In questi casi non può valere il principio “l’importante è che si faccia”. Le riforme si possono fare in tanti modi. Se una riforma costituzionale si fa in questo modo, sarà difficile tornare indietro. Se si riaccoglie il centralismo di Stato, difficilmente si tornerà sulla strada del regionalismo. Non bisogna dimenticare, inoltre, che la riforma vivrà solo con gli atti di attuazione, quindi con i regolamenti parlamentari, che andranno riscritti, le leggi costituzionali, le leggi ordinarie e la prassi. Nessuno può sapere come vivrà questa riforma. E’ un salto nel buio.

Ultima modifica il Mercoledì, 23 Novembre 2016 09:15

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