Mercoledì, 08 Agosto 2018 10:11

"Chi parla male, pensa male, vive male": analisi del linguaggio di Matteo Salvini

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Nell’indimenticabile Palombella Rossa, il protagonista Michele Apicella, pallanuotista comunista e funzionario del PCI in crisi di identità, si rivolge alla giornalista che lo intervistava chiedendogli il perché del trend negativo della sua squadra e con l’ormai celebre frase: “chi parla male, pensa male, vive male”, come a dire che il linguaggio svela la nostra cultura e visione del mondo.

Negli ultimi decenni, moltissime ricerche hanno collegato l’utilizzo di un certo tipo di linguaggio, un certo modo di scegliere e coniugare i verbi e la scelta delle parole con tratti della nostra personalità come l'autoritarismo, l'altruismo, l'empatia, la chiusura sociale e addirittura rilevando anche profili patologici. Ascoltando il linguaggio di una persona capiamo molto della sua visione del mondo e, dunque, quando veniamo quotidianamente sommersi da espressioni del tipo “facendo sparire i venditori ambulanti le nostre spiagge saranno più sicure e pulite” capiamo tre cose:

  • che le nostre spiagge sono pericolose (fortunatamente, così non è) e sporche (questo è vero, perché sono inquinate e non mal frequentate…);
  • che la responsabilità è dei venditori ambulanti;
  • che facendo sparire i venditori ambulanti tornerà sicurezza e pulizia.

Non c’è bisogno di spiegare quanto questa affermazione del ministro Salvini sia falsa, tendenziosa e discriminatoria.

Facciamo un altro esempio: quando l’ardito Ministro dell’Interno sostiene che il problema non è il razzismo da lui oggettivamente alimentato ma il fatto che un reato su tre viene commesso da stranieri, quello che si assimila a volte sotto la soglia della coscienza, e questi sono i messaggi più pericolosi, è che il rimanente due terzi di reati sono meno gravi. Salvini indica senza mezzi termini il nemico da colpire e anche la sua agghiacciante battuta, “contro il caldo africano non posso fare niente”, rinforza il suo messaggio sprezzante.

Il linguaggio del Ministro leghista è tecnicamente discriminatorio e fascista, discriminatorio perché non parla di criminalità ma di criminali stranieri, non parla di povertà ma di poveri italiani e stranieri, non parla di bambini ma di bambini italiani e stranieri e rom, fino a qualche anno fa non parlava di italiani ma di meridionali e padani; per sua intrinseca natura tende a discriminare tra migliori e peggiori, superiori e inferiori in base all’appartenenza etnica, religiosa, geografica e così via. Fascista perché invoca ed evoca un continuo ricorso alla forza, alla violenza, alla sopraffazione per risolvere i problemi che ha di fronte: “se entri a casa mia esci steso” (neanche fosse Chuck Norris!); in occasione dello sgombero “dolce” di una palazzina da parte della sindaca di Torino Chiara Appendino, il Viminale ha fatto sapere che “se non funziona quello dolce ci pensiamo noi…” .

In ultimo, ma potremmo continuare a lungo, la minaccia a Roberto Saviano di togliergli la scorta è un modo neanche molto criptico per dire: disponiamo della tua vita!

Che tutto ciò ecciti le folle non è affatto strano e misterioso: Gustave Le Bon, Erich Fromm, Adorno, Reich e tanti altri hanno riflettuto e scritto tanto su questo fenomeno. Psicologia delle Folle (Le Bon), Psicologia di Massa del Fascismo (Reich), Anatomia della distruttività umana (Fromm), ci spiegano come il singolo individuo, soprattutto se impaurito e spaesato, cerca una guida forte e decisa e la forza e la decisione si dimostrano indicando un nemico e colpendolo, senza dolcezza e senza indugio. Lo psicologo Milgram, nel celebre esperimento “obbedienza all’autorità”, dimostrò come basta poco per slatentizzare le pulsioni più violente e amorali presenti in ognuno di noi. Carl Gustav Jung, riflettendo sulla tragedia del nazismo, ebbe a dire che in ognuno di noi è presente un criminale in potenza!

Tornando con la memoria agli anni del ventennio fascista sappiamo, anche se tendiamo a rimuoverlo, che il popolo italiano accolse le leggi razziali passivamente e che la chiusura del negozio dell’ebreo vicino destava indifferenza e, a volte, soddisfazione per vedere un concorrente in meno. La presenza dei campi di sterminio e la deportazione in quei luoghi di morte e tortura di ebrei, zingari, rom, oppositori politici, omosessuali (casualmente tutte categorie oggetto delle minacce di Salvini…) divenne nota a gran parte della popolazione dopo qualche anno ma non tutti inorridirono e, anzi, molti trovarono ragioni di comodo a giustificazione dell’opera di morte del Duce. I docenti universitari sostennero quasi unanimemente il fascismo pur di non compromettere le loro carriere accademiche.

Nella nostra città, nel giudizio di molti concittadini in merito all’opera di Adelchi Serena, gerarca fascista, segretario del PNF nel 1940 e, dunque, consapevole di tutti gli orrori in corso, conta più la realizzazione della piscina comunale che le responsabilità politiche per avere diretto il PNF e aver chiesto ai responsabili del campo di internamento di Campagna di esercitare più restrizioni sugli internati ebrei, oppure gli attacchi contro “l’internazionale giudaica” e le sua denuncia “contro gli atteggiamenti favorevoli alle famiglie ebree” di ufficiali impegnati in Croazia.

Questo ci dice che affermare che “il popolo lo vuole” non esprime la giustezza di un atteggiamento e che slatentizzare pulsioni aggressive e violente, presenti in ognuno di noi e in ogni società , rischia di essere molto pericoloso: il rendimento elettorale non giustifica il varcare di questo limite. Governare invocando ogni giorno il popolo affamato è un espediente per avventare il popolo, caricandolo di risentimento, contro un nemico, il più delle volte debole e indifeso, per continuare a perpetrare una politica oligarchica. Così era il fascismo, profondamente classista e a garanzia dei ricchi, così è il governo Di Maio-Salvini che non parla di povertà indotta dal capitalismo selvaggio ma di poveri italiani contri poveri stranieri e mentre i poveri lottano tra loro i più agiati con la flat tax vengono garantiti.

Un’ultima riflessione va doverosamente riservata a quell’atteggiamento terzo di chi non ama Salvini ma non si indigna per i migranti lasciati in mare o rispediti nei lager libici. L’indignazione e la pietà sono classificati come buonismo, si citano violentandoli e decontestualizzandoli autori come Flaiano, Sciascia e Pasolini, di gran lunga il più abusato di tutti (ogni volta che le forze di Polizia vengono contestate per eccessivo uso di forza c’è sempre il pentito di sinistra che cita Pasolini e gli scontri di Valle Giulia, ogni volta che si pronuncia la parola fascismo c’è sempre il solito pentito che tira fuori il fascismo degli antifascisti, fuori luogo e contesto ma questo non importa). L’immigrazionismo, come viene definito e manipolato il senso di pietà e umanità verso chi soffre, non esiste in quanto nessuno crede di poter ospitare tutti i poveri del mondo nel proprio paese: piuttosto, esiste la consapevolezza che le nostre politiche (vedi le guerre in Libia e Iraq, gli interventi in Eritrea ed Etiopia) provocano flussi migratori continui e che la riflessione andrebbe fatta su questo e non sul buonismo e altre fanfaronate ad uso leghista.

Esiste il razzismo, quello verso i neri: basta chiedere ad un amico di colore, anche se non è amico è uguale, quello che ascolta al suo passaggio, gli sguardi che incontra, le battute e gli atteggiamenti sociali che subisce e come tutto questo cambia in base alle campagne di opinione che vengono lanciate. Di fronte a ciò attaccare Saviano e le magliette rosse proclamandosi terzi ma finendo per fare il gioco di Salvini e Meloni e Di Maio (si anche Di Maio) diviene davvero incomprensibile.

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