Contro quel progetto uomini di lettere, artisti, storici, critici d’arte, urbanisti si cercarono e si unirono a difesa del nostro patrimonio artistico e delle nostre bellezze naturali sempre più minacciate. Da allora, le attività di volontariato culturale organizzate da Italia Nostra hanno contribuito a diffondere nel Paese la “cultura della conservazione” del paesaggio urbano e rurale, dei monumenti, del carattere ambientale delle città. Per proteggere i beni culturali e ambientali. Dal febbraio 2013, Paolo Muzi è presidente della sezione aquilana dell’associazione. E’ passato a trovarci in redazione per raccontarci gli obiettivi di Italia Nostra in città e i progetti per una ricostruzione di qualità.
Quali gli obiettivi vi siete posti per i prossimi anni?
Ci siamo dati degli obiettivi per il 2013, alcuni speriamo di realizzarli pienamente quest'anno, per gli altri inizieremo a porre le basi. Tra questi ultimi, il recupero, la riqualificazione e il restauro dei centri storici, anche di quelli minori. Con la filosofia di fondo che è quella del riuso dell'edilizia esistente, in particolare la rifunzionalizzazione di strutture pubbliche abbandonate da tempo. Intendiamo condurre un'esperienza pilota a Pagliare di Sassa, nel manufatto ex Sercom, ospitando attività sociali, assistenziali, culturali e formative. E' un progetto presentato nel 2005, lo riprendiamo ora per dargli sostanza progettuale, sperando di coinvolgere anche altre associazioni. C'è, poi, il centro polifunzionale di Paganica, mai entrato in funzione, prezioso se restaurato ai fini dell'attività sociale e culturale.
Strutture abbandonate nel cuore di due zone, ad est e ad ovest della città, che stanno assumendo una nuova centralità visto il frazionamento del post terremoto.
Si, le trasformazioni della città sono sotto gli occhi di tutti. Italia Nostra si è posta, sin dall'inizio, il problema della ricostruzione qualificata del tessuto insediativo, nell'ambito del contesto urbano e, più in particolare, di quello storicamente determinato dai Castelli fondatori della città. Come disse l'urbanista Marcello Vittorini, in un convegno sugli archivi dell'architettura, non si può non tenere conto del tessuto connettivo dei centri storici, del sistema di relazioni che abbracciano l'intera vallata aquilana se si vuole immaginare una vera ripianificazione di tutta la comunità, intesa in senso lato. Mi ha colpito molto un messaggio di Ugo Centi, pessimista sul futuro della città perché non ha più il centro, l’espressione della sua identità culturale. L'Aquila, però, non ha più neanche un confine. E' una macchia d'olio in cui i cittadini fanno difficoltà a riconoscersi.
Il valore identitario del centro storico, e di quelli minori, è fondamentale per la rinascita. Solo curando quel tesoro si riqualifica un territorio che si sta irrimediabilmente dequalificando, con mille casette di legno che spuntano ovunque e con le new town, un episodio di urbanistica selvaggia che ha radicalmente degradato il nostro paesaggio. Nell'immediato post sisma si è accentuato il disordine, che sta facendo perdere qualità all'habitat in cui viviamo. E’ sul paesaggio, però, che bisognerebbe investire perché solo così si garantisce una migliore qualità della vita ai cittadini, e una nuova qualità del lavoro. La cura del paesaggio, infatti, può diventare un importante fattore attrattivo di risorse e attività produttive. E’ per questo che ci siamo sempre posti il problema di una ricostruzione di qualità capace di avere anche una valenza economico-sociale. Abbiamo un'altra iniziativa, in questo senso, che speriamo di portare avanti quest'anno ed è il concreto restauro di un affresco di inizio cinquecento, ospitato nella piccola chiesa rurale di San Pietro Celestino. Rischia il distacco. Bisogna intervenire immediatamente con il consolidamento e il restauro dell'opera pittorica, altrimenti perdiamo un’importante testimonianza del rinascimento aquilano.
Dovremmo, insomma, riscoprire il bello che ci circonda. Curare le bellezze del nostro paesaggio.
Certo. Tra le attività in programma quest'anno ne abbiamo anche alcune di socializzazione e di fruizione di beni culturali, visite guidate alla Murata del diavolo tra Cansatessa e Arischia, una visita alla costa dei trabocchi, in estate poi saremo a Santa Maria in Polcraneta. Dobbiamo riscoprire i beni culturali che insistono nel nostro territorio, per conoscerli e valorizzarli così da essere in grado anche di offrirli a fini turistici. Certo, la cultura non è destinata solo alla speculazione turistica. L'idea di Italia Nostra è di sviluppare un'economia della cultura e della conoscenza. L'economia turistica è preziosa, ma a monte deve esserci la conoscenza dei beni, lo studio, il restauro, attività che a L'aquila potrebbe portare sapienza ed economia.
L'iniziativa di cantiere aperto per il soffitto ligneo di San Bernardino ha avuto un grande successo.
E' stata una bellissima iniziativa, andrebbe ripetuta. I cittadini hanno avuto modo di apprezzare non solo l'opera d'arte da un punto di vista privilegiato, ma la qualità dell'intervento, le tecniche di restauro e di recupero. Questa è economia della conoscenza. Una economia preziosa se vogliamo davvero ricostruire e rilanciare il nostro territorio.
La ricostruzione, però, sembra avere ben altri problemi. E' stato finalmente approvato un cronoprogramma d'intervento, manca però la copertura finanziaria. E' preoccupato?
Il fatto che finalmente si sia arrivati ad un cronoprogramma è conquista apprezzabile. Fino ad ora c'era stata solo nebbia: prima gli organi governativi commissariali che dicevano che i soldi c'erano ma che non sapevamo spenderli, ora i sindaci che denunciano di non avere responsabilità di cassa. Il cittadino dinanzi a questo ping pong resta disorientato. Oggi, per fortuna, c'è un cronoprogramma che indica quante risorse verranno impiegate, in quanto tempo, per quali obiettivi. Sappiamo che le pubbliche amministrazioni, a cominciare dal Comune, avranno la piena responsabilità degli interventi. Sta a tutte le associazioni che hanno a cuore la rinascita dell'Aquila, dei centri storici minori indissolubilmente legati alla vita della città intesa entro le mura trecentesche, controllare e stimolare con occhio vigile e critico il rispetto del cronoprogramma, le modalità degli appalti, le effettive spese per i singoli interventi e l'uso delle risorse pubbliche.
Il 5 maggio, in città, si riuniranno per la prima volta gli storici dell'arte. Un appuntamento che avete contribuito ad organizzare. Un'occasione di respiro internazionale, importante per discutere di ricostruzione di qualità.
Beh, si. Gli storici dell'arte, Tomaso Montanari in primis, hanno ritenuto che la situazione dell'Aquila e del suo territorio fosse un po’ la metafora dello stato di salute di questo paese. L'Italia vive una profonda schizofrenia: il patrimonio storico artistico non viene curato, anzi è addirittura considerato un onere. Di converso, c'è l'aggressione al paesaggio, la violenza delle grandi opere, la speculazione edilizia. E' un paese, il nostro, lanciato in maniera deforme verso la modernità e rischia, così, di perdere il suo patrimonio identitario: l'arte e il paesaggio. L'Italia non ha altre risorse se non i beni storici, artistici e architettonici. Ha anche, però, un tessuto urbanistico fatto di piccoli centri storici che sono, spesso, una vera e propria opera d'arte. Gli storici dell'arte, riproponendo il loro ruolo nell'ambito di una coscienza civile, intendono prospettare qui a L'Aquila la necessità di un nuovo ruolo per alcune importanti discipline, la storia dell'arte appunto e la storia dell'architettura, al fine di una ricostruzione civile della città e, così, del paese. Che sul piano politico e istituzionale si sta cacciando in una situazione di avvitamento nefasto.
L'Aquila come paradigma di quanto sta accadendo in Italia. La città potrebbe, però, essere anche un modello di rinascita e di nuovo sviluppo.
Italia Nostra, sin dai primi convegni organizzati ad inizio del 2010, si è posta proprio questi obiettivi: cogliere l'occasione di un intervento così importante per sviluppare modelli di ricostruzione qualitativa. Adesso, come sappiamo, si è aggiunta tutta la problematica, analoga per alcuni versi e assai diversa per altri, del terremoto dell'Emilia Romagna. Il discorso sui tessuti urbani e sulle emergenze architettoniche deve essere portato avanti in parallelo. Lì si è deciso per gli abbattimenti, lo abbiamo visto con alcuni campanili pericolanti, qui a L'Aquila al contrario si è deciso di puntellare tutto. Un confronto tra questi due momenti c'è stato il 5 aprile, nell'ambito dell'incontro "Se quattro anni vi sembran pochi": sono due emergenze che pongono la necessità di scegliere una linea di recupero qualitativo dei tessuti urbani. Bisogna comprendere che non esistono solo le singole nostre abitazioni che aspettano di essere recuperate, non esistono solo le chiese, esiste un tessuto fatto di piazze, di chiese, di scuole, di abitazioni, di quartieri con una loro identità storica. C'è da recuperare questa dimensione tradizionale e identitaria e L'Aquila, con il suo centro storico così vasto, potrebbe essere un modello. Il problema è che riesci a porti come modello se hai una alta progettualità, di ampio respiro. C'è da noi questa alta progettualità o va ancora costruita? Abbiamo due esempi che fanno riflettere: c'è l'obiettivo di far riconoscere come bene culturale dell'umanità la Perdonanza Celestiniana, il progetto iniziale era far riconoscere dall'Unesco l'intero centro storico, poi si è deciso di semplificare e chiedere almeno il riconoscimento di una tradizione secolare. Questo è un obiettivo, identitario. L'altro è quello di ottenere il riconoscimento di Capitale europea della cultura nel 2019. Anche lì si sta lavorando, tante cose dovranno essere approfondite però, altrimenti non si raggiungono gli standard di qualità, di sostanza, di lungo respiro richiesti. E' un'occasione importante per conquistare una vocazione, una economia della città basata su conoscenza e cultura. Ci tengo a sottolinearlo, come funzionario dell'archivio di Stato che conserva, nelle sue sale, la documentazione dei beni culturali del territorio, dagli affreschi rinascimentali fino agli ultimi edifici del centro storico: la cultura non può essere ancora e solo riproposta in termini di attività di spettacolo, seppur importanti. Dovrebbe essere declinata in termini di beni culturali e paesaggistici su cui investire e da rendere, appunto, pilastri per una solida economia della conoscenza.