Venerdì, 30 Agosto 2019 23:46

Ada Montellanico: il jazz militante, nel nome di Abbey Lincoln. L'intervista

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"Noi artisti dobbiamo avere il coraggio di esporci, farci paladini e promotori di determinati valori. Chi dovrebbe farlo, se non noi?".

Ada Montellanico è una delle più grandi cantanti jazz italiane. Dotata di una voce forte e intensa, nel corso della carriera ha collaborato con tutti i più grandi: da Enrico Pierannunzi a Enrico Rava (con il quale registrò in duo, nel 1996, uno dei più begli omaggi a Luigi Tenco, L'altro Tenco), da Lee Konitz a Jimmy Cobb, il leggendario batterista di Miles Davis.

Conosciuta e molto apprezzata anche all'estero, Ada Montellanico ha una concezione "militante" della musica. Militanza è una parola che molti musicisti rifuggono o davanti alla quale storcono il naso. Per lei, invece, è una condizione assolutamente inscindibile dal suo essere artista, dal suo modo di intendere e vivere la musica.

"Ovviamente miltanza non significa abbracciare questo o quel partito" spiega "ma impegnarsi affinché possano affermarsi valori che hanno a che vedere con l'integrazione e il progresso culturale".

Anche per questo, nel 2014, ha fondato, diventandone presidente, l'associazione italiana musicisti di jazz (MIDJ), un'associazione che ha, come obiettivi riconosciuti nel proprio statuto, non solo "il riconoscimento del valore artistico, culturale e professionale dei musicisti italiani di jazz, in Italia e all’estero" ma anche "il perseguimento di finalità di solidarietà sociale e beneficenza".

MIDJ è una delle associazioni che, dal 2015, organizza la maratona jazz dell'Aquila e che hanno dato vita, nel 2018, alla Federazione nazionale Il jazz italiano.

Domani, domenica 1 settembre, Ada Montellanico terrà, insieme al trombettista Giovanni Falzone, un concerto/tributo in onore di Abbey Lincoln, misconosciuta cantante jazz afroamericana che fu, per tutta la vita, anche un'importante attivista del movimento per i diritti civili.

Un'artista magari meno famosa rispetto ad altre interpreti come Billie Holiday, Betty Carter o Nina Simone ma che ha fatto comunque la storia del jazz, non foss'altro che per la partecipazione a una delle pietre miliari del genere, We insist! Freedom now suite, del batterista Max Roach, con il quale fu anche sposata.

Il concerto di domani nasce dal progetto discografico Abbey's Road del 2017.

Quello di Ada Montellanico vuole essere un omaggio non solo a una grande cantante ma anche una grande donna, nell'anno in cui il festival ha scelto di avere, nel proprio programma, più musiciste che musicisti, per sfatare lo stereotipo secondo cui il jazz sia "un affare per maschi", in cu tutt'al più le donne sono relegate al ruolo di cantanti.  "E invece no" afferma Ada Montellanico "tra di noi ci sono anche eccellenti strumentiste".  

Alle donne, alle lore loro composizioni, alla loro musica e sensibilità, già nel 2012 Ada Montellanico aveva dedicato un disco, Suono di donna. Anche in quell'occasione accanto a lei c'era Giovanni Falzone, che si occupò anche di curare gli arrangiamenti e di dirigere un'orchestra di sette elementi.

Prima di questo omaggio, si era già cimentata con un altro progetto dedicato a una grande del jazz, Billie Holiday. Cosa l'ha spinta a scegliere proprio Abbey Lincoln?

L'avevo sempre adorata ma in questa ultima fase della mia carriera, dove ho abbracciato, se vogliamo, grazie a MIDJ, un impegno sociale e politico, l'ho sentita più vicina che mai. Anzi, ero io che mi ero avvicinata a lei. Oltre a essere stata una grandissima interprete, Abbey Linconln, insieme ad altri artisti come Max Roach, Charles Mingus, Nina Simone, ha sempre voluto che la musica fosse uno strumento di lotta, un'arma politica. Attraveso la musica, questi musicisti hanno diffuso dei messaggi, hanno denunciato la discriminazione razziale. E' stata un'artista molto legata alla tradizione ma anche molto moderna. Non era una grande improvvisatrice ma ha sempre voluto far parte di progetti innovativi. Da questo punto di vista mi ritrovo molto nella sua musica.

C'erano già stati altri tributi da parte di altre cantanti?

No, al contrario, credo che il mio sia stato il secondo o terzo. E' incredibile come questa figura, scomparsa non molto tempo fa, fosse poco conosciuta. Abbey Lincoln è stata anche una donna di grandissimo coraggio, dotata di un grande carisma e di un'identità forte. A differenza di Billie Holiday e di altri artisti votati all'autodistruzione, ha avuto sempre una grande voglia di vivere, rimanendo positiva e combattiva fino alla fine.

Nel concerto canterà anche Driva Man, il brano di apertura di We insist! Freedom now suite. Una canzone di protesta, che denunciava una delle tante atrocità della schiavitù, ovvero gli stupri che i padroni bianchi perpetravano nei confronti delle schiave nere. Quel disco uscì nel pieno della stagione delle battaglie per i diritti civili. Secondo lei sono tematiche ancora attuali?

Sì, quel disco purtroppo è ancora attuale. Ho sempre pensato che la musica dovesse essere un mezzo per sensibilizzare il pubblico. E oggi bisogna dire che molte cose non sono cambiate rispetto agli anni Sessanta. Razzismo, disuguaglianza, discriminazione delle minoranze esistono anche oggi e non solo negli Stati Uniti. Tutto ciò va denunciato.

La nascita del movimento Black Lives Matter dimostra in effetti che la strada per giungere a una vera uguaglianza è ancora molto lunga.

Sì, sono stati fatti dei passi avanti, non c'è più la segregazione che separava i bagni e i posti sugli autobus ma la mentalità è rimasta la stessa e lo vediamo anche qui in Italia. Se non si parte dal pensiero, le leggi potranno anche cambiare ma le menti rimarranno le stesse.

Oggi non sono molti i musicisti che hanno il coraggio di esporsi. Voi jazzisti invece lo avete.

Credo sia un aspetto fondamentale della nostra professione. Non si tratta di abbracciare questo o quel partito ma di lavorare, come ho detto, per un progresso culturale. E se non lo facciamo noi artisti chi dovrebbe farlo? Il jazz può fare molto perché è una musica che nasce dall'incontro, dalla contaminazione tra culture diverse. Chi meglio del jazz può rappresentare e incarnare i valori di integrazione?

Come e quanto sono cambiate le cose in questi 5 anni di esistenza di MIDJ?

Sono cambiate molto e in meglio. Questi 5 anni sono serviti, per noi musicisti, ad avere maggiore coscienza di noi stessi, di quanta varietà c'è nel nostro mondo. E L'Aquila, nel compimento di questo percorso, che ovviamente non è ancora terminato, è stata fondamentale. Il Jazz italiano per le terre del sisma ci ha dato modo di ritrovarci, qui si è attivato un meccanismo che ci ha fatto crescere. Quando ho fondato MIDJ venivamo da una grande disgregazione, quasi da una guerra tra bande. La sensazione è che invece adesso ci si senta più vicini. Sembra poco ma è molto. Certo, siamo solo all'inizio.

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