Un anno fa il sisma in Emilia, Lombardia e Veneto. Dopo il terremoto del 20 maggio, la scossa più forte (di magnitudo 5.8) avvenne il 29 maggio, nella zona compresa tra Medolla, Mirandola e San Felice sul Panaro, in provincia di Modena. Il bilancio fu di 20 vittime, 350 feriti e circa 15mila sfollati.
Caterina Roveri, 21enne di Mirandola, è una restauratrice. Due mesi fa ha scelto L'Aquila come sede di uno stage di restauro. Sta lavorando dentro uno dei tanti edifici storici del centro, Palazzo Zuzi, in via delle Bone Novelle. NewsTown ha deciso di ricordare insieme a lei il primo anniversario del terremoto emiliano, attraverso gli occhi di chi ha vissuto il sisma emiliano e che oggi vive a L'Aquila, almeno per qualche mese.
Oggi è 29 maggio, primo anniversario della seconda distruttiva scossa.
Credo che il 29 maggio sia stato il momento cruciale, quello in cui abbiamo capito davvero quello che era successo. Il 20 maggio ci fu una grande scossa ma ripartimmo subito, come se nulla fosse successo. Il 29, invece, ci ha messo davanti alla realtà: eravamo (e siamo) totalmente impotenti rispetto al futuro, è scattato un meccanismo mentale per cui ci siamo resi conto davvero cos'è un terremoto. E gli aquilani comprendono bene cosa significa.
Come sei finita a L'Aquila?
Potevo scegliere qualsiasi città per il mio stage e ho scelto L'Aquila. Ho tentato di affrontare questa realtà nonostante sia difficile per una emiliana arrivare in una zona che ha subito un terremoto, in maniera anche maggiore dal punto di vista dei danni in termini di perdita di vite umane e di beni architettonici. Molti emiliani non se la sentono di andare a L'Aquila, perché per noi è come un flash forward, una proiezione in avanti del tempo.
Qual è stata la prima cosa che ti ha colpito quando sei arrivata a L'Aquila?
Da restauratrice la prima cosa che ho notato è come fosse bella questa città prima del sisma. E' così evidente che anche ora, camminando per il centro, si percepisce la bellezza di questo luogo. Sono rimasta poi stupita del clima particolare che si respira. Da un certo punto di vista, c'è una voglia di rinnovamento, di riscossa, c'è un grande potenziale da sfruttare e almeno parte della popolazione ha deciso di ricominciare. C'è dinamismo. In Emilia, nonostante sia passato solo un anno dal sisma, c'è invece una involuzione in tal senso, anche se trarre conclusioni dopo soli dodici mesi è velleitario.
Mirandola è uno dei centri più colpiti. Ti capita mai di passeggiare per le vie del centro non ricostruito dell'Aquila e pensare a come sarà Mirandola tra tre anni?
Mirandola ha un centro storico notevolmente più piccolo e anche meno monumentale rispetto a quello aquilano. Non sono appropriati, a mio avviso, parallelismi dal punto di vista architettonico. Quello che colpisce a L'Aquila è notare che il centro è vissuto quasi esclusivamente dai lavoratori dei pochi cantieri attivi. Certo, non ci sono abitazioni né uffici, quindi è normale che sia così. Però anni di scontri con la burocrazia fanno decadere ogni speranza nei confronti di quel poco che è stato fatto. In questo senso a volte penso se noi emiliani saremo ancora in grado tra tre anni di avere la forza di informarci, attivarci e resistere di fronte alle istituzioni e alla burocrazia. Di contro, rispetto al centro storico dell'Aquila, ho notato che da noi gli anziani, per esempio, vivono tuttora quotidianamente il centro di Mirandola.
Nonostante siano situazioni del tutto diverse, ci sono analogie tra la situazione dell'Aquila e quella dell'Emilia terremotata?
Ci sono analogie dal punto di vista della comunicazione politica. L'immagine che arriva a noi del sindaco Cialente – quella del Sindaco battagliero – e gesti come quello del ritiro della bandiera tricolore, sono visti dall'esterno come atti forti di una sinistra fortemente radicata sul territorio. Anche in Emilia abbiamo sindaci radicati, complice anche la nostra tradizione “rossa”. L'emiliano, generalmente, ha nei confronti dell'istituzione e soprattutto del partito una grandissima fiducia. L'analogia che vedo è che sia all'Aquila che in Emilia la facciata positiva degli amministratori “buoni” nasconde quello che questi ultimi non mettono poi realmente in atto, dal punto di vista della semplificazione burocratica e delle richieste politiche ed economiche al Governo centrale. Anche lo stesso governatore Errani non è stato troppo incisivo in tal senso. Il problema è della mentalità emiliana stessa: lo “stakanovismo” emiliano e l'assioma del “facciamo tutto da soli”. Tutti coloro che hanno subito piccoli danni hanno ricostruito le proprie case autonomamente e di tasca propria. Questo non pretendere una ricostruzione attraverso finanziamenti dello Stato ha portato lo Stato stesso a tentare di negare questo sostegno.
E le persone che per motivi economici non possono ricostruirsi autonomamente la propria casa, come molti migranti ad esempio, come si inseriscono in questo discorso?
Molti migranti – che provengano dal sud dell'Italia o dall'estero – vivono nei cosiddetti map (moduli abitativi provvisori), prefabbricati in lamiera certamente non confortevoli, che hanno un'autonomia di abitabilità che durerà fino al prossimo anno. Molte persone economicamente disagiate se ne sono andate, soprattutto quelli (tanti) che hanno perso il lavoro. Quelli che sono rimasti però sono una vera ricchezza: sono tra i pochi che continuano a pretendere e a richiedere a gran voce il superamento dell'empasse burocratico e maggiori sforzi da parte delle istituzioni per la ricostruzione. In qualche modo mi sembrano più evidenti le differenze economiche, tra classi sociali, in Emilia rispetto alla situazione aquilana.
Tu fai parte del centro sociale Guernica di Modena. In un momento di crisi economica, con due governi (quello tecnico e quello attuale delle larghe intese) che tentano la via della pacificazione sociale, quali sono le difficoltà che avete trovato, in tema di rivendicazione dei diritti?
Da subito con il Guernica abbiamo creato un campo autogestito a Mirandola. Nei primi tempi raccoglievamo materiali utili per affrontare l'emergenza. Con il passare dei mesi l'assemblea di quel campo è diventata l'assemblea di tutta la cittadinanza di Mirandola e il progetto “Dal basso alla Bassa” si è esteso a tutto il Cratere sismico. “Dal basso alla Bassa”, progetto che riteniamo fondamentale, si è poi unito a Sisma.12, sigla sotto la quale si incontrano tutti i comitati sorti dopo il sisma. Le difficoltà sono molte, via via molte persone si sono disinteressate agli aspetti politici della faccenda, ma ora è percepibile una rabbia diffusa, dovuta all'immobilismo che viviamo quotidianamente.