di Jacopo Intini da Amman (Giordania) - Non sono bastati gli avvertimenti di Nicolay Mladenov, rappresentante delle Nazioni Unite in Medio Oriente, e dello stesso Ban Ki-Moon per evitare che il vaso palestinese traboccasse. Ebbene, nonostante l'invito alla calma, quella fatidica goccia è arrivata. Conseguentemente alle ennesime limitazioni imposte ai palestinesi dalla polizia israeliana sull'acceso alla Spianata delle Moschee, il 15 settembre scorso il delegato Onu Mladenov, ha intimato entrambe le parti a "ridurre le provocazioni" per evitare violenze che sarebbero potute andare molto oltre le mura di Gerusalemme.
Dichiarazioni, però, che non hanno frenato, in occasione del capodanno ebraico, l'afflusso di gruppi ultranazionalisti israeliani nel luogo sacro. Nel mese di settembre il sito ha visto per diversi giorni i suoi cancelli chiusi "per motivi di sicurezza" alla stragrande maggioranza dei fedeli palestinesi. Ma se da un lato il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu raddolcisce l'Onu garantendo il mantenimento dello status quo sulla spianata, dall'altro non si fa mancare il pugno di ferro impiegando nella Città Vecchia un numero massiccio di polizia ed esercito che conta oltre le 5mila unità.
Insomma, è una Gerusalemme blindata, invivibile a tratti anche per turisti e pellegrini, con scene che tanto rievocano le provocazioni di Ariel Sharon che nel Duemila con una "passeggiata" nella Spianata hanno acceso la seconda Intifada.
Dopo che, lo scorso settembre, il lancio dei sassi da parte palestinese ha causato un incidente d'auto in cui ha perso la vita un colono israeliano, il governo di Tel Aviv promette misure più severe per chiunque tiri pietre verso le forze di occupazione israeliane. "Abbiamo avuto la conferma che il lancio di sassi può essere letale", dichiara il premier Netanyahu. Le misure prevedono, a quanto afferma il governo, l'accusa di organizzazione terroristica e 4-5 anni di carcere per chi lancia pietre e fino a 10 anni per chi invece lancia bottiglie incendiarie.
Inoltre, il 25 novembre scorso il Parlamento Israeliano ha approvato in prima lettura una proposta di legge per l'arresto di minorenni fino ai 12 anni di età. Intanto in West Bank è lasciata carta bianca alle autorità israeliane che possono indiscriminatamente aprire il fuoco sui manifestanti e imporre la chiusura a Gerusalemme di interi quartieri palestinesi. Il centro arabo per l'assistenza legale Adalah denuncia punizioni collettive da parte dell'esercito, spesso accusato anche dalle stesse organizzazioni israeliane di attuare, nei confronti dei palestinesi, esecuzioni extra giurisdizionali a volte di massa. Esemplare è un rapporto diffuso la scorsa settimana dall'Ong israeliana Yesh Din in difesa dei diritti umani la quale denuncia ingiurie arbitrarie sui civili palestinesi. Solo nel 2014 l'organizzazione ha aperto 229 fascicoli di indagine sui 2.635 aperti dal 2000.
Si aggiungono inoltre le misure varate dal governo Netanyahu tra cui la "revoca del diritto di residenza a Gerusalemme per tutti i palestinesi responsabili di attacchi, con conseguente demolizione delle proprie abitazioni e confisca delle proprietà". Intanto ad alimentare le tensioni vi è la volontà del premier Netanyahu di promuovere la costruzione di 538 nuove unità abitative illegali nel cuore della Cisgiordania. Progetto ora in fase di stallo per via delle pressioni internazionali.
In crisi anche i rapporti tra Israele e Giordania regolati dai trattati di Oslo del 1994 e dal trattato di pace del 2004. Amman infatti ha i diritti di custodia del complesso di Al Aqsa nella Spianata delle Moschee. Negli ultimi due mesi le strade della capitale giordana sono state attraversate più volte da fiumi di manifestanti che hanno espresso la propria solidarietà al popolo palestinese. A quanto riportato dalla Jordan News Agency di Petra, venerdì scorso nella città di Zarqa, a circa 30 chilometri dal centro di Amman, attivisti giordani hanno indetto una manifestazione in supporto alla popolazione palestinese contro Israele e contro il processo di "giudaizzazione" di Gerusalemme.
Il re giordano Abdallah minaccia contromisure e invita l'Unione Europea ad "assumere una posizione ferma contro Israele". Intanto è in discussione la proposta di alcuni parlamentari giordani riguardante l'espulsione dell'ambasciatore israeliano da Amman e il ritiro del proprio da Tel Aviv; simile contromisura fu adottata già nel Febbraio 2014 come risposta ad un disegno di legge, discusso alla Knesset, che imporrebbe la sovranità israeliana sulla moschea Al Aqsa.
Mentre Hamas festeggia per le strade di Gaza i 28 anni dalla sua costituzione, a ridosso dei valichi quasi quotidianamente hanno luogo scontri tra giovani Gazawi ed esercito israeliano. Venerdì scorso Mahmoud Muhammad Saed al-Aghaun, un giovane vent'enne di Gaza, è rimasto ucciso dal fuoco israeliano, mentre 31 sono stati i feriti durante scontri con l'esercito. Inoltre di recente l'air force israeliana ha ripreso a colpire la Striscia in risposta al lancio di alcuni razzi lanciati dall'enclave e caduti in aree inabitate. L'11 ottobre scorso una giovane trent'enne incinta di cinque mesi e sua figlia di due anni sono rimaste vittime di un raid aereo delle Forze di Difesa Israeliane, mentre il 16 dicembre scorso tre missili seguiti da colpi di artiglieria hanno causato quattro feriti a Khan Younis.
In Cisgiordania, a Gaza Strip e nei territori del 1948 [attuale Stato di Israele] non si arrestano le tensioni. Dati diffusi dal Middle East Monitor, attestano che dallo scorso 14 settembre il bilancio delle vittime è salito a 121 morti palestinesi, di cui 27 minori, 89 uomini e 5 donne. Rimane preoccupante il numero sempre in crescita dei feriti palestinesi che aggiornato al 20 dicembre è andato oltre le 9.817 persone. Intanto, il 16 dicembre scorso le strade di Gerusalemme sono state teatro di forti manifestazioni da parte dei parenti di molte delle vittime palestinesi. A tutt'oggi, infatti, le autorità israeliane hanno negato la restituzione alle relative famiglie di 53 salme.
La sollevazione palestinese è una sollevazione generazionale che vede in strada per lo più giovani dai 15 ai 28 anni, vittime della crisi rappresentativa che le forze politiche palestinesi stanno affrontando. L'Intifada dei coltelli, denominata tale per via dei diffusi attacchi con arma da taglio in tutto il paese, si scontra, infatti, con le inefficienze politiche della comunità internazionale e chiarifica le evidenti mancanze diplomatiche della classe dirigente palestinese.
Per questo, la nuova Intifada, potrebbe essere figlia di anni di veti, vaghezze e bavagli e del conseguente fallimento degli accordi di Oslo, i cui limiti nelle applicazioni hanno sfamato per vent'anni le attuali generazioni palestinesi con l'esasperazione.