"Raqqa oggi è conosciuta come la capitale dell'Isis, ma moltissimi civili non si sono arressi al Califfato. Per noi è la capitale della resistenza". Hussam Eesa e Abdelaziz Alhamza, 27 e 24 anni, sono tra i fondatori di Raqqa is being slaughetered silently (Rbss), un'organizzazione giornalistica clandestina di attivisti che da Raqqa diffonde in tutto il mondo immagini e resoconti sull'Isis attraverso un sito di informazione e i social network.
Costretti a lasciare la Siria nel 2014 per sfuggire alle minacce di morte dell'Isis, ora Abdelaziz e Hussam girano l'Europa per raccontare la loro storia. La settimana scorsa lo hanno fatto a Perugia, durante la decima edizione del Festival internazionale del giornalismo.
Della resistenza siriana, i giovani giornalisti del RBSS sono diventati l'emblema agli occhi del mondo. Dall'arrivo delle forze armate del califfato, la loro piattaforma è stato l'unico canale d'informazione in grado di rompere la cortina di silenzio intorno a Raqqa. La stampa estera di tutto il mondo fa riferimento al RBSS per le notizie di prima mano riguardanti la vita quotidiana e i massacri che hanno luogo nella città siriana. Un lavoro giornalistico puntuale che, quotidianamente, squarcia il velo della propaganda jihadista, restituendo la realtà quotidiana di migliaia di persone costrette a vivere tra la povertà estrema e il terrore seminato dai miliziani Daesh.
" In alcuni video mostriamo persone costrette a lunghe file per il pane - spiega Abdelaziz - i terroristi hanno depredato il popolo siriano. Nessuno tra i civili ha più un salario a Raqqa, è difficile anche avere l'acqua. I miliziani invece vivono tra il lusso e gli eccessi". Accanto agli articoli di cronaca quotidiana ci sono i video delle esecuzioni all'ordine del giorno , delle crocifissioni e decapitazioni in piazza. I reportage diffusi dal sito web di Rbss, premiati con il riconoscimento internazionale per la libertà di stampa 2015 dal Committee to Protect Journalist (CPJ), hanno portato gli attivisti in cima alla "lista nera" dell'Isis.
Il pericolo per l'organizzazione è continuo. Dei dieci membri originari di Rbss, quattro sono stati uccisi: uno legato a un albero e finito con un colpo di pistola alla testa, uno decapitato a Raqqa e due accoltellati in Turchia. Ogni volta che l'Isis ha catturato un reporter del gruppo, ne ha dato spettacolo sui social network. "I video delle esecuzioni dei nostri amici sono state pubblicate su Twitter – racconta Abdelaziz – per dire al mondo che 'così si muore silenziosamente' (silently, come nell'acronimo del gruppo)".
Da qualche mese Abdelaziz e Hussem vivono in Germania da rifugiati. Sulla loro vita continua però a pendere il pericolo di una fine orrenda: "Siamo continuamente minacciati di morte. " L'Isis posta su Twitter messaggi rivolti a noi, 'vi troveremo' dicono. Abbiamo paura, ma non lasceremo questo lavoro perché la nostra vita non vale più di quella dei nostri compagni uccisi".
Prima della rivoluzione siriana e la successiva invasione delle truppe di Daesh, i due studiavano biologia e lettere a Raqqa. Il loro passato di studenti universitari era fatto di "serate con gli amici nei caffè e nei bar", ma il regime di Bashar al-Assad non lasciava spazio a una vita "normale". Nessuno di loro era politicamente impegnato, perché qualsiasi forma di attivismo era considerata un crimine. Una regime che Abdelaziz e Hussem definiscono "sanguinario".
"L'Isis uccide chi si ribella, Assad uccideva perché i siriani avevano bisogno di democrazia. Qual è la differenza tra i due?". Nel 2011, come gran parte dei giovani siriani, anche loro supportarono la rivoluzione partecipando alle manifestazioni anti-regime.
Con l'arrivo delle prime truppe Isis, Raqqa si trasformò in uno dei territori militarmente più congestionati al mondo. Bombardata dagli occidentali e dai russi e attaccata via terra dai jihadisti che ne fecero il loro quartier generale. Iniziarono quindi i divieti, le esecuzioni, le violenze sessuali: "Con l'arrivo dei miliziani Daesh Raqqa è cambiata - hanno spiegato nel corso dell'incontro a Perugia - Non si può fumare, non si può bere, uscire con gli amici e nemmeno andare a scuola. Per le donne la situazione è ancora più difficile, vengono bastonate per strada se indossano un velo troppo leggero. Molte sono costrette a sposare i miliziani. Sentivamo il bisogno di denunciare le continue violazioni di diritti umani. Raqqa è la nostra città, sapevamo che se non avessimo raccontato quello che succedeva, nessuno lo avrebbe fatto al nostro posto".
Dai social, lo scambio di opinioni e informazioni tra ragazzi che volevano condividere le stesse pratiche di resistenza si fece reale, dando a quel gruppo una prima forma di organizzazione. Gli account Rbss furono i primi ad aprire una finestra sugli orrori dell'Isis, e a combatterli sul campo digitale. "Sapevamo che non era un gioco - raccontano - anche durante le manifestazioni anti regime siamo stati tutti arrestati, alcuni di noi anche torturati, ma inizialmente nessuno immaginava di diventare un obiettivo dell'Isis. Postavamo foto e video. Non avevamo alcuna formazione giornalistica, né nozioni sulla sicurezza informatica. Poi il nostro gruppo è stato messo fuori legge e le truppe Isis ci hanno dichiarato guerra. I miliziani hanno messo telecamere ovunque in città e bloccato l’accesso a internet nei luoghi pubblici. Abbiamo quindi capito che era necessario organizzarci secondo modalità più sicure e meno tracciabili".
Oggi il gruppo Rbss conta 27 membri. Un equipe di 17 persone continua a lavorare dentro Raqqa, raccogliendo e inviando notizie, immagini e video. Altre 10 persone, tra cui Abdelaziz e Hussem, completano il lavoro dall'estero, postando gli articoli sul sito e organizzando interviste. Il lavoro giornalistico degli attivisti, se da un lato mostra al mondo la vera faccia dell'Is, a Raqqa è voce di resistenza all'ideologia estremista imposta dal califfato nero: "In città non ci sono più scuole - evidenziano con amarezza - I jihadisti stanno formando una generazione di fondamentalisti nei loro campi di addestramento. I bambini vengono avvicinati dai miliziani con dei regali costosi, orologi, cellulari, tutte cose che i loro genitori non possono permettersi. Poi vengono arruolati. Stiamo diffondendo una rivista a Raqqa per informare le famiglie sui rischi, in modo da non permettere che i loro figli parlino con i guerriglieri. Combattiamo la radicalizzazione delle nuove generazioni anche affiggendo manifesti in giro per la città. Combattiamo per un futuro democratico".
Nel mirino del gruppo Rbss non c'è solo Daesh. Perché, in Siria, i morti per mano dei miliziani jihadisti si aggiungono a quelli causati dai bombardamenti e dalla guerra civile. Secondo il Syrian Network for Human Rights, dal 15 marzo 2011 all'1 marzo 2016, 311 persone sono state uccise dalla coalizione guidata dagli Usa, 356 dal fronte al-Nusra, i morti sotto le bombe dell'aviazione russa sono stati, 2.196 i morti per mano dell'Is, 2.959 quelli per mano dei ribelli, e 183.827 persone sono state uccise dal regime di Assad. "Nella nostra terra ogni mese c'è un 11 settembre – dice Abdelaziz – Consideriamo l'Isis alla stregua di tutti gli altri responsabili del massacro dei siriani, e continueremo questa campagna di informazione e sensibilizzazione fino a quando non li batteremo, loro e anche Assad", affermano determinati i media-attivisti.
Sanno che ci vorrà tempo prima di vedere il loro paese libero, ma Abdelaziz e Hussem sul futuro dell'Isis non hanno dubbi: "Non è un nemico così difficile da sconfiggere come parte dei media occidentali sostengono. Solo poche persone si uniscono all'esercito del Califfato per motivi ideologici, la maggior parte lo fanno per avere soldi e potere. Soprattutto i foreign fighters. Gli europei che decisono di arruolarsi nelle fila del Califfato sono ragazzi che non hanno nulla, che restano emarginati nelle periferie delle grandi città europee. Quando l'Isis non potrà più garantire un alto tenore di vita ai miliziani, il gruppo non resterà unito".