di Ersilia Verlinghieri e Federico Venturini - L'anno scorso, mandati dalla nostra università per un periodo di ricerca, abbiamo vissuto diversi mesi a Rio de Janeiro, Brasile. Fortuna ha voluto farci arrivare nella città in una fase cruciale della storia del Brasile, in cui le proteste popolari sono esplose, insieme alle contraddizioni dell'ennesimo paese che si appresta ad accogliere mega-eventi: quest'estate la Coppa del Mondo della FIFA sarà ospitata proprio in 12 città brasiliane, mentre nel 2016 le Olimpiadi si svolgeranno a Rio de Janeiro.
Forse grazie al momento speciale che Rio de Janeiro sta vivendo e all'esserci avvicinati, per empatia e curiosità, ai movimenti sociali, abbiamo scoperto una città diametralmente diversa da quella normalmente raccontata ai turisti. Giorno per giorno ci siamo resi conto di come non solo i postumi della recente dittatura non sono ancora passati (per esempio la polizia militare in carica è la stessa del golpe), ma anche che i processi di sfruttamento coloniali sussistono ancora.
In questo articolo vi raccontiamo la Rio de Janeiro che abbiamo scoperto seguendo i movimenti sociali fioriti dopo la 'Rivolta' di Giugno 2013 e le contraddizioni imponenti di un paese che, nonostante sia in pieno boom economico e prossimo ad entrare nel club dei potenti, rimane ancora tra i primi al mondo per gli indici di disparità economica.
Abbiamo esplorato luogo per luogo i punti famosi della città meravigliosa o, come riportato da uno dei report della commissione diritti del municipio, del nuovo laboratorio di città ribelle (in riferimento al famoso geografo David Harvey). Una sorta di guida, sperando che, se questa estate andrete anche voi in Brasile per la Coppa, potrete guardare la realtà con occhi differenti.
Muoversi in giro. Per cominciare. Prima di esplorare i luoghi più importante della città, è d'obbligo qualche accenno sui trasporti pubblici cittadini. Rio de Janeiro si estende su un'area complessiva di 1,182.3 km quadrati, con una geografia unica di mare e montagne che rende la mobilità in una metropoli di 6 milioni di abitanti un vero problema. Le classi più ricche ricorrono all'uso imprescindibile dell'auto privata (o dell'elicottero), generando imponenti problemi di traffico. L'alternativa, per chi non può permettersi mezzi privati, è un servizio pubblico dal congenito malfunzionamento, sovraffollamento e costo elevato legati alla privatizzazione selvaggia e alla cosiddetta "mafia delle compagnie di autobus". Ed è proprio questo problema la "goccia che ha fatto traboccare il vaso".
Tutto comincia all'inizio dell'estate 2013. O forse prima. Da diversi anni esiste in Brasile un movimento su scala nazionale che si batte per il trasporto pubblico e gratuito: il Movimento Passe Livre. A Giugno 2013 il già caro biglietto dei trasporti pubblici viene nuovamente aumentato in tutto il paese. Le piccole proteste locali iniziali crescono esponenzialmente, anche aiutate da una inaspettata violenta repressione poliziesca che provoca profondo sdegno di tutta la popolazione. Alle richieste per un trasporto gratuito e di qualità ben presto si affiancano rivendicazioni che cominciano ad abbracciare tutti i problemi della società e a mettere, finalmente, insieme tutto il lavoro di base portato avanti dai movimenti sociali da anni nell'educazione popolare, la lotta alla salute, la rivendicazione del diritto alla terra e alla casa, etc.
Ed è da qui che comincia il nostro viaggio.
Maracanã (o di quando i brasiliani smisero di amare il calcio). Partiamo da qui, lo stadio globalmente famoso per le glorie calcistiche del paese del pallone, entrato in una nuova fase di splendore dopo la famosa sconfitta della Seleção nel mondiale del 1950. Imponente costruzione degli anni '90, nel pieno cuore della città, ai limiti di Vila Isabel, quartiere delle scuole di samba più famose al mondo, e anche ai limiti della legalità. Al Maracanã ci siamo tornati più volte, e non per ragioni prettamente calcistiche.
Il Brasile, in vista della Coppa, si sta facendo bello, investendo imponentemente per rinnovare o costruire nuovi stadi, alloggi e infrastrutture per sportivi e turisti. A Rio de Janeiro (come tutte le altre città che ospiteranno il mondiale) tutto questo sta avvenendo in un contesto in cui sono ancora enormi i problemi di alfabetizzazione, sanità pubblica, diritto alla casa (tra i 6 milioni di abitanti, più di uno vive in precarie condizione nelle favelas). Nella stessa città dove è normale passare accanto a persone che vivono e si cibano di spazzatura, milioni di euro pubblici vengono spesi per rinnovare gli stadi e poi privatizzarli, mentre scuole e ospedali cadono a pezzi e subiscono attacchi di una privatizzazione selvaggia che peggiora il servizio e aumenta il divario sociale.
Per queste ed altre ragioni, si è cominciato a sentire per tutto il paese lo slogan "Não vai ter Copa!" e si è sviluppata, dentro il movimento di giugno, una forte mobilitazione nazionale contro la Coppa delle Confederazioni della FIFA (15-30 giugno 2013), prova generale della Coppa del Mondo. Il Brasile amante del calcio si è rivelato profondamente critico nei confronti delle speculazioni dietro al pallone: la Coppa del Mondo viene attaccata come chiaro esempio di uno sviluppo insostenibile e contrario alle necessità della popolazione.
In risposta ad ogni gioco della Coppa delle Confederazioni, si sono sviluppate massicce proteste, culminate nel giorno della finale: mentre i riflettori di tutto il mondo erano puntati sul campo da calcio, un imponente dispiego di forze militari violentemente reprimeva la colorata sfilata di buona parte della società carioca chiedere "Mas dinheiro pra saúde e educação!". Così, davanti al Maracanã, a fine giugno 2013, abbiamo conosciuto la polizia brasiliana da vicino, la sua violenta repressione, gli arresti arbitrari, le cariche e il lancio inspiegato di lacrimogeni.
Al Maracanã, come dicevamo, ci siamo tornati altre volte. A pochi passi dall'imponente stadio, infatti, c'è un vecchio edificio, abbastanza malridotto, ma di alta fattura architettonica. è la sede dell'Università Indigena Aldeia Maracanã, luogo di divulgazione e conservazione della cultura indigena, abitato dagli indio e dai loro allievi, situato su territorio indigeno. Abbiamo visitato più volte questo spazio, accolti sempre da un'umanità splendida. Gli alberi sacri degli indigeni, quei pochi che sono sopravvissuti alla cementificazione dell'area circostante, si fondono nella struttura: si respira un'aria magica e il ritmo frenetico della città si ferma per dare spazio a canti tradizionali intorno al fuoco sacro.
A Dicembre 2013 la polizia militare invade illegalmente la struttura (in territorio indigeno è autorizzata ad intervenire solo la Polizia Federale che, però, si lava ben presto le mani della vicenda), prendendo con violenza le persone che dormono dentro (tranne l'indio e amico Guajajara, che resiste per quasi 48 ore sul suo albero sacro), e occupa l'edificio. E' chiaro che gli interessi della FIFA giocano anche qui: il progetto è creare un centro commerciale per soddisfare le necessità dei tifosi di turno, magari che venda anche del finto artigianato indigeno. Per un'Università che insegna la riscoperta della natura, della donna e dello spirito non sembra esserci più posto.
E se gli interessi della FIFA non si fermano neanche di fronte a territorio indigeno protetto, c'è davvero poca speranza per chi una terra non ce l'ha e vive nei cosiddetti insediamenti informali. Nella sola regione metropolitana di Rio, in vista dei mega-eventi, più di 3mila famiglie sono state infatti cacciate dalle loro case per far posto a nuove infrastrutture, complessi edilizi, commerciali o sportivi. Anche vicino al Maracanã c'è una favela, chiamata Favela do Metro Mangueira, sotto minaccia di sgombero da anni. Anche qui, a Gennaio 2013, la polizia entra senza preavviso e comincia a demolire le case, mentre la gente che era ancora dentro fugge spaurita. Andiamo a portare supporto, trovando una popolazione traumatizzata dalla rapidità e violenza degli eventi. Da aquilana, l'odore delle macerie non mi è nuovo. Tuttavia questa volta non è un cataclisma naturale a lasciare case sventrate e bambini scalzi senza più nulla: solo speculazione edilizia, poteri forti, gentrificazione e capitalismo.
Zona sud. La città cartolina per gli amanti della spiaggia. Questa è la Rio de Janeiro che tutti conosciamo: Copacabana, caipirinha, sole, spiaggia e bella musica. Il Cristo Redentore, dalla cima del Corcovado si staglia all'orizzonte e veglia sulla zona più ricca della città, dando letteralmente le spalle alla zona più povera, la zona Nord. Se siete amanti della natura, in ogni caso, vi conviene muovervi ben lontano: il mare è fortemente inquinato e la foresta, sebbene unico luogo dove respirare un po' di fresco e dalle viste suggestive, è una pura creazione artificiale, interamente ripiantata dai portoghesi nel 1800. Se volete salire a vedere il Cristo, ricordatevi che centinaia di alberi centenari sono stati tagliati e molte persone sgomberate dalle loro case per far spazio al trenino dei turisti.
La zona Sud è composta da tre principali quartieri, Copacabana, Ipanema e Leblon, quest'ultimo uno dei quartieri più ricchi al mondo. Gli edifici, per lo più edilizia della seconda metà del '900, sono posizionati in un'ordinata griglia tra la spiaggia e la prima linea di montagne, vialetti alberati e acciottolato bianco/nero tipico collegano le case lussureggianti ai vari ristoranti, locali, negozi.
Nel Leblon, nello scorso giugno e luglio si sono susseguiti vari scontri tra polizia e manifestanti, spesso riunitisi davanti alla casa del governatore Cabral, nel Leblon, a criticare una classe politica corrotta, serva degli interessi di grossi investitori e mafie locali. Per la prima volta i manifestanti sono stati capaci di portare per le strade dei luoghi più ricchi della città una critica aperta alle ingiustizie e alle contraddizioni quotidiane.
Eppure, a pochissimi metri delle ricche dimore, al limitare della parte pianeggiante, si trovano alcuni dei quartieri più poveri al mondo: Rocinha, Cantagalo, Babilonia, e altre favela storiche della città che, ininterrottamente, dalla fine della schiavitù (e nel proseguo del modello lasciato dalla stessa), provvedono manodopera locale e a basso costo che sorregge tutta l'economia cittadina. In tutta Rio de Janeiro ciò si ripete senza sosta: la città formale è nella pianura, mentre sulle alture, colline, montagne, dove l'accesso e la fornitura di servizi è più difficile, ci sono le favela. Qui non solo spesso mancano tutte le infrastrutture sanitarie di base, ma la violenza congiunta di narcotraffico e polizia è all'ordine del giorno. Una delle soluzioni proposte è stata negli ultimi anni la cosiddetta "pacificazione": la polizia militare occupa la favela, spesso con scontri armati e parecchi morti, e si colloca a quotidiana sorveglianza del territorio. A tale occupazione militare non si accompagna tuttavia alcuna forma di progettualità sociale. I trafficanti sono così obbligati a mantenere un basso profilo; tuttavia traffico e violenza continuano, ora anche per mano della polizia che spesso uccide deliberatamente in retate o si fa corrompere dallo stesso traffico.
Ultimamente nella zona va di moda anche il Rolezinho: gioiosa manifestazione antirazzista di invasione dei centri commerciali, che sempre più spesso discriminano i clienti per il colore della pelle, dimostrando come il razzismo sia ancora un problema profondo della società.
Il centro, nel cuore della città. Non troppo nota ai viaggiatori, la zona centrale della città sta per essere riscoperta proprio in vista dei mega-eventi. Un enorme progetto di riqualificazione (e gentrificazione) edilizia prevede infatti il rifacimento della zona portuale, vecchio centro storico della città, ricco di simboli di un passato troppo spesso dimenticato, fatto di schiavitù e sfruttamento. Come in ogni città, il centro è anche il centro politico e degli scontri.
E' qui che le proteste di cui parlavamo prima prendono si sviluppano in maniera più corposa: dopo le prime mobilitazioni per il biglietto degli autobus, nel viale Presidente Vargas, il 20 giugno 2013 manifesta un milione di persone. Allo stesso tempo, il movimento comincia ad attuare non solo nelle strade, ma a scoprire il potente mezzo delle assemblee popolari, che arrivano ad accogliere fino a 3mila persone nel largo São Francisco de Paula nel giugno del 2013.
Dallo scorso anno, in tutta la società si comincia a respirare un clima di cambiamento: i discorsi finalmente si concentrano nel capire l'origine della violenza delle favelas, si iniziano ad analizzare le carenze strutturali dell'educazione, della salute, le ragioni della precarietà; sorgono assemblee settimanali di quartiere, si organizzano nuovi collettivi in ogni dove.
La Camara, sede delle istituzioni locali, nel cuore della città, diventa il luogo centrale del conflitto: luogo di assemblee popolari continue, accampamenti stile occupy e innumerevoli scontri con la polizia. In agosto, alle proteste si aggiungono numerosi gli insegnanti, che entrano in sciopero per due mesi, a criticare un nuovo modello di educazione privatizzata e controllata e sono fortemente supportati dal movimento. In ottobre, durante un'altra manifestazione oceanica, proprio davanti alla Camara, i manifestanti vengono nuovamente attaccati dalla polizia; più di 200 persone vengono arrestate senza alcuna ragione. Alcuni di loro rimarranno in cella per mesi con accuse ridicole o false che cadranno nei processi seguenti. Del resto, le pratiche violente della polizia non sono nuove, per un corpo militare addestrato ancora ad uccidere ed a far sparire i corpi impuemente nella favelas (vedi per esempio il caso dell'Amarildo). La tattica della repressione, iniziata con il più brutale uso di gas lacrimogeni, pallottole di gomma (e non solo), getti d'acqua e laser, nel tempo si è affinata, diventando meno scenica, ma più sottile: arresti, infiltrazioni e falsificazione delle prove sono all'ordine del giorno. Insieme a questo la polizia lavora fianco a fianco con i media 'di regime', nella corsa contro il tempo per delegittimare la protesta, dividendo buoni e cattivi, giusto e sbagliato, vandali e buoni manifestanti. Tuttavia, se tale lavoro sta pian piano riuscendo ad allontanare dalle strade parte della classe media ben pensante, il popolo più povero, abituato a subire la violenza dello stato quotidianamente, rimane sempre più spesso dalla parte delle proteste. Inoltre la controinformazione di movimento ha giocato un ruolo fondamentale fin di primi giorni: una rete fitta di giornalisti e fotografi, con una visione diretta da dentro il movimento testimonia soprattutto sui social media quello che succede nelle strade, con un tono spesso satirico, incredibilmente efficace e diretto.
Souvenir consigliati e qualche conclusione. Come abbiamo visto, dopo il luglio del 2013, le proteste sono calate di intensità, ma continuano quasi su base settimanale, pronte ad esplodere in qualsiasi momento: enormi manifestazioni, scontri con la polizia, occupazioni permanenti di fronte agli edifici pubblici strategici e scioperi di categoria (i netturbini per esempio hanno paralizzato la città per 8 giorni durante il carnevale) sono andati avanti per mesi sino ad ora.
Tutto è sintomo di continuità per un movimento capace di abbracciare le più variegate lotte e metterle finalmente insieme, riconoscendone una matrice comune nella critica al sistema capitalistico a al corrente modello di sviluppo. Allo stesso tempo, godendo di un forte supporto popolare, con la sua forte critica ai partiti politici, la totale orizzontalità e la sua strategica assenza di leader, ha potuto sperimentare nella pratica nuove forme di autogestione e cambiamento sociale.
In un paese dove da anni non si vedeva una mobilitazione sociale per le strade, narcotizzato dal supposto governo di sinistra, milioni di persone sono scese per le strade e ci sono rimaste per quasi un anno. Tutto ciò è reso possibile da un minuzioso lavoro di base costruito negli anni da collettivi, associazioni, sindacati, che giorno dopo giorno affiancano la lotta del più debole. La sinistra vera non è solo una voce critica che si leva ogni tanto, ma è fortemente presente all'interno del tessuto sociale, dove è capace di costruire un'alternativa concreta e visibile al sistema dominante. Lo è nelle occupazioni abitative Sem-Teto, nelle occupazioni di terre Sem-Terra, nei gruppi di supporto nelle favela, nei gruppi di educazione popolare, nei sindacati (veri) in tutti i posti di lavoro, nei centri sociali a servizio dei quartieri, nelle reti di solidarietà, negli svariati gruppi studenteschi, ...
Quello che noi ci siamo portati a casa dal Brasile è il vedere, nonostante il tasso di violenza, disuguaglianza e ingiustizia al di fuori del nostro immaginario, la volontà ferrea di cambiamento da parte soprattutto dei più giovani e il supporto costante di buona parte della popolazione. Abituati ad un paese vecchio, stanco, ossessionato dalla paura della crisi e di cambiare, l'energia sprigionata dai nostri coetanei, in un contesto ben più difficile, ci ha ridato tanta voglia di lottare ogni giorno e la speranza che un altro mondo è veramente possibile. Nonostante anche loro sperimentino ogni giorno forme di sfruttamento e precarietà, non sono complici di un immobilismo sociale e culturale che sta strozzando l'Italia.
Insieme a questo c'è il pensiero di come il nostro modello di sviluppo, esportato come vincente in ogni angolo di mondo, stia ancora lentamente distruggendo tanti modi diversi di vivere che forse meritano ancora la pena di essere scoperti e salvati. E forse, invece di guardare asettici i prossimi mondiali, potremmo continuare a chiederci quanta sofferenza e ingiustizia si nasconde dietro il prossimo campionato.
Per noi, quest'estate, não vai ter Copa!
Ersilia Verlinghieri e Federico Venturini
rioprarua.noblogs.org
Per saperne di più:
Bem vindos à Copa do Mundo Real [inglese]
Il dossier del Comite Popular da Copa e Olimpìadas do Rio de Janeiro [portoghese]
Rioonwatch - Community Reporting on Rio [inglese]
Rio na Rua em Facebook [portoghese]