Martedì, 10 Febbraio 2015 13:36

Lo Stato di Palestina alla Camera dei Deputati: l'Italia non risponde

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di Jacopo Intini - Sulla scia di quanto già avvenuto in Europa, in Italia i gruppi parlamentari di SEL, PSI-PLI, ma anche Movimento 5 Stelle hanno elaborato e presentato diverse mozioni sul riconoscimento dello Stato di Palestina, discusse in aula lo scorso 16 gennaio. Le mozioni invitano il governo italiano ad impegnarsi a "riconoscere pienamente e formalmente lo Stato di Palestina nei confini del 1967 secondo le risoluzioni delle Nazioni Unite e a proporre, nelle sedi internazionali, un atto analogo da parte di tutti i Paesi membri dell'Unione europea e della Nato". La votazione di quest'ultima è stata calendarizzata ed inserita nell'ordine del giorno parlamentare per venerdì 23 gennaio, giornata in cui la Camera dei Deputati si sarebbe dovuta impegnare ad approvarla. La votazione però è stata rinviata a data da destinarsi e rimossa dall'ordine del giorno.

Da settimane si vociferava un rinvio negli ambienti di Forza Italia, richiesto dalla deputata Maria Stella Gelmini a seguito dei tristi eventi parigini. La Lega Nord invece ha presentato una mozione contraria al riconoscimento. Bufera anche in casa Pd che, già perseguitato dai suoi conflitti interni, ha rimandato la questione a dopo l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. La posizione del governo Renzi è stata esplicata dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni durante un'interrogazione parlamentare del novembre scorso, in cui attesta la necessità di andare oltre l'atto simbolico e rimandare il riconoscimento a quando sarà utile per la pace di entrambi i popoli.

Il ritardo nel riconoscimento potrebbe comportare una forte variazione nelle condizioni e compromettere irreversibilmente il corso dei negoziati con conseguente normalizzazione della situazione. Un grave errore che, secondo la deputata PSI Pia Locatelli, potrebbe svuotare il principio, insito nel riconoscimento, del suo significato propedeutico.

L'appuntamento del 23 gennaio è stato anticipato da una giornata di discussione preventiva che ha avuto luogo a Roma il 21 gennaio scorso nella Sala del Mappamondo della Camera dei Deputati. L'incontro, promosso dal gruppo parlamentare PSI/PLI e intitolato Due Popoli, due Paesi, la Pace, si è svolto proprio nel giorno in cui la triste cronaca israeliana ha riportato di un attentato avvenuto in un autobus di linea di Tel Aviv, per mano di un ragazzo palestinese di 22 anni di Tulkarem. Il bilancio dell'azione è stato di dodici vittime e la responsabilità politica è ricaduta sul presidente palestinese Abu Mazen, accusato da Netanyahu di incitare il suo popolo all'odio ed alla violenza.

I relatori palestinesi ed israeliani presenti hanno fermamente condannato l'attacco definendolo una conferma delle ormai ovvie difficoltà che la diplomazia, anche quella internazionale, sta affrontando. "La violenza è un ostacolo per la pace. Urge una svolta politica che ponga la questione al centro delle discussioni parlamentari di tutti i paesi", questo quanto affermato da Locatelli, che ha invitato a guardare ad una pace che tenga conto dei migliori interessi delle parti e che mantenga la specificità delle identità in questione: "E' necessario superare l'impasse garantendo pari dignità sia sul piano giuridico che su quello diplomatico, e puntando alla convergenza di quei principi propri di una pace costruita su un modello bi-nazionale".

Shaath Nabil, capo negoziatore ai colloqui di pace nonché esponente del gruppo politico palestinese di Fatah, invita l'Italia a guardare ad una pace basata sulla giustizia seguendo il modello approvato in parlamento dalla Svezia, tacciata spesso di unilateralismo: "Quella svedese, secondo molti, altro non è stata che una presa di posizione prematura. Io credo invece che oggi sia già troppo tardi - afferma Nabil che però si definisce un inguaribile ottimista - L'operazione Protective Edge ci ha portato via 2400 persone di cui 680 bambini. Ma le lacrime non bastano più, bisogna fare qualcosa per fermare la violenza, consapevoli che questa, nel mondo, è strettamente legata a questioni economiche e che può esser vinta con un processo politico".

Dopo 48 anni di occupazione, sono 6 milioni i palestinesi rifugiati, 4,5milioni in Cisgiordania e a Gaza dove un terzo della popolazione è sfollata. I palestinesi oggi sono stanchi di essere rifugiati, ma più il tempo va avanti e più il loro status diviene una condizione permanente. Il diritto al ritorno dei profughi è sancito nella Risoluzione 194 dell'Onu, punto centrale all'interno dei negoziati. L'Europa come l'ONU ha la responsabilità di far rispettare questo vincolo, ampiamente violato dallo Stato israeliano.

Infatti i processi di pace, sottolinea Nabil, hanno avuto inizio proprio in territorio europeo e gli accordi stipulati ad Oslo, 22 anni fa, sono ancora in voga: "Bisogna rinegoziare il riconoscimento dello Stato Palestinese e con esso le condizioni relative ai rifugiati, ai confini, a Gerusalemme per arrivare alla gestione dell'acqua e della sicurezza, ma non senza una garanzia da parte del Consiglio di Sicurezza Onu. I negoziati vanno portati avanti interloquendo non più solo con gli Stati Uniti, ma con l’intera comunità internazionale". Nabil, insomma, invita i deputati presenti a riflettere sull'enorme responsabilità dell'Italia e dell'Europa nella diplomazia. Siamo giunti agli sgoccioli e "in caso il voto in parlamento sarà negativo, ciò rappresenterà una forte battuta d’arresto per la Palestina. Questa è l’ultima chance", sottolinea il negoziatore.

Infatti, lo Stato israeliano continua a far confluire popolazione russa, polacca e slovena in terre sottratte ai palestinesi di Cisgiordania, nonostante gli insediamenti costruiti siano stati dichiarati illegali dalla Quarta Convenzione di Ginevra, dal Consiglio di Sicurezza Onu e dalla Corte Penale Internazionale. Al momento sono circa 250mila i cittadini israeliani risiedenti in Cisgiordania. La presenza delle "colonie" nei territori occupati rappresenta il primo grande ostacolo al processo di autodeterminazione della popolazione palestinese ed alla costruzione di uno Stato, e molte delle inchieste effettuate in Israele attestano che se il numero di popolazione israeliana in West Bank dovesse continuare ad aumentare, svanirà la prospettiva di uno Stato palestinese a causa dell'impossibilità di evacuare le aree occupate.

Il governo israeliano ha investito molto nella costruzione delle colonie. A settembre scorso ha dichiarato l'intenzione di costruire circa 3mila unità abitative tra Betlemme e Hebron; a queste, oggi si aggiunge la costruzione di 200 alloggi a Gerusalemme Est. Tutti gli insediamenti rientrano nella cosiddetta Area C, sotto il controllo militare ed amministrativo israeliano, che comprende circa il 72% della West Bank, ma che è in aumento. Inoltre, il 30 gennaio scorso è stato emesso un bando per edificare altri 450 alloggi, azione fermamente condannata persino dagli USA, oltre che dalla comunità internazionale.

L'Europa ha sempre ritenuto che la gestione dei negoziati fosse data in mano statunitense, afferma Alon Liel, ex ambasciatore israeliano e promotore dell'appello degli intellettuali israeliani per lo Stato di Palestina, ma ora, non più cheerleader degli americani, deve fare pressione sullo Stato Israeliano affinché quest'ultimo non venga più contraddistinto dall'apartheid. Questo potrebbe essere un forte segnale per la società israeliana, che gradualmente sta perdendo la fiducia nel modello bi-nazionale. Alon Liel spiega, però, che una soluzione monostatuale non può trovare consensi in una comunità in cui la componente palestinese rappresenta il 22% della popolazione poiché, approvandola, la società israeliana perderebbe la connotazione democratica che lo Stato di Israele, nonostante le sue contraddizioni, deve far propria.

Il riconoscimento da parte dell'Italia potrebbe esercitare enormi pressioni verso il forte alleato israeliano che oggi si vede impegnato nella campagna elettorale e sia avvia verso le elezioni del 17 marzo prossimo, la cui novità è rappresentata da una storica coalizione tra i partiti arabo-israeliani. "Se lo Stato Palestinese non verrà riconosciuto, l'anno prossimo ci si ritroverà a discutere della cittadinanza israeliana per i palestinesi - afferma Liel - il coinvolgimento morale dell’Europa ora è indispensabile".

"L'Europa sostiene i diritti umani, l'equità, la giustizia e le pari opportunità", continua Abdullah Abdullah, capo della commissione politica del consiglio legislativo palestinese, "come anche l'Italia, da sempre ferma sostenitrice del diritto all'autodeterminazione. Lo ha dimostrato a Beirut nel 1982 come lo fa oggi impegnando le sue forze a Rafah, nella Striscia di Gaza. L'Italia è presente e deve schierarsi dalla parte della giustizia e della pace; solo così è possibile sradicare le cause profonde degli estremismi. Il diritto all'autodeterminazione palestinese, che gli Stati Uniti non accettano, non è negoziabile e ciò porta a due soluzioni: la dipendenza o l'appello alla comunità internazionale. Nessuno può continuare a morire per il bene di una campagna elettorale".

Bisogna dare risposta alle aspettative del mondo, afferma Ester Levanon Mordoch, membro dell'Executive board di Meretz ed esponente del movimento femminista israeliano e delle "Donne in Nero", che oggi conta in Israele circa 7mila adesioni. Mordoch invita a guardare al modello adottato in Sud Africa e alle pressioni che la comunità internazionale ha esercitato sul regime di apartheid che lo ha contraddistinto: "Bisognerebbe istituire una commissione sulla verità e la riconciliazione che porti sia la popolazione araba che quella israeliana a riconoscere reciprocamente l'Olocausto come la Nakba. Il sostegno esterno è fondamentale". Presente all’incontro anche Mali Al Kaila, ambasciatrice palestinese in Italia, che ha concluso invitando i parlamentari italiani a riflettere: "Senza il riconoscimento, non ci sarà pace in Medio Oriente".

Molti parlamenti europei, negli ultimi mesi, hanno approvato mozioni per il riconoscimento dello Stato di Palestina: otto solo a dicembre, rappresentando, in questo modo, uno slancio fondamentale verso la costruzione di un processo di risoluzione pacifico che veda la coesistenza di due Stati, uno Israeliano ed uno Palestinese.

Oggi i paesi nel mondo che hanno adottato questa posizione risultano essere più di 130. Con una politica estera spesso accusata di inefficienza ed immobilismo, e che debolmente adempie alle proprie responsabilità nel Mediterraneo, l'Italia, oggi, non risponde all'appello.

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