Giovedì, 30 Giugno 2016 19:22

Riorganizzazione ospedali, Paolucci: "Questione politica più che sanitaria"

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E' una questione squisitamente politica.

Ai microfoni di NewsTown, l'assessore regionale alla Sanità Silvio Paolucci - audito nel pomeriggio dal Consiglio comunale - ha inteso ribadire come l'ospedale di secondo livello, a massima specializzazione, per le aree interne sia questione politica, più che sanitaria. "Se si vuole realizzare un ospedale di secondo livello a L'Aquila, è necessario trasferire al San Salvatore la cardiochirurgia che, al momento, è al nosocomio di Teramo. Al contrario, se si vuole trasformare il 'Mazzini' in un ospedale ad alta specializzazione, andrà trasferita a Teramo la neurochirurgia aquilana".

Come noto, il cosidetto decreto Lorenzin, varato nel 2013, stabilisce una riorganizzazione sanitaria generale, volta a "ottimizzare le risorse" e diminuire la parcellizzazione dei servizi su base territoriale. Gli ospedali vengono classificati in ordine crescente, in base al bacino di utenza e alle funzioni: ospedali di base, di primo livello e di secondo livello, veri e propri hub, ad alta intensità di cura.

"Il fattore temporale - ha spiegato Paolucci - è tra i parametri fondamentali per l'individuazione degli ospedali di secondo livello". A dire che le specialistiche tempo-dipendenti - la rete dell'ictus celebrale, quelle dell'emergenza cardiologica e del trauma grave - "dovranno essere concentrate in un'unica struttura, perché possa configurarsi un hub ad alta specializzazione".

Ad oggi, al San Salvatore - come detto - mancherebbe la cardiochirurgia; al Mazzini, invece, la neurochirurgia. E dunque: chi assume la responsabilità politica di spostare l'unità operativa complessa da un ospedale all'altro? E cosa accadrebbe, si dovesse arrivare a decidere per una via o per l'altra? Eccolo, il nodo politico: si scatenerebbe una vera e propria rivolta, a Teramo o all'Aquila. D'altra parte, le reti tempo-dipendenti sono frammentate sui quattro ospedali delle città capoluogo e smuovere certi equilibri - radicati negli anni - sarebbe politicamente assai complicato.

La domanda è un'altra, tuttavia: come mai il Piano sanitario regionale 2016-2018 prevede la sperimentazione di un ospedale di secondo livello - un hub funzionale, così è stato definito - tra Chieti e Pescara? Anche i nosocomi dell'area costiera, infatti, scontano gli stessi problemi, almeno sulla carta: per realizzare un hub di alta specializzazione, andrebbe spostata la cardiochirurgia da Chieti a Pescara o, al contrario, la Stroke unit, l'Unità emergenza Ictus, dall'Ospedale civile dello Spirito Santo al Santissima Annunziata.

Stante la situazione, come mai - ribadiamo la domanda - il Piano triennale prevede la sperimentazione di un ospedale di secondo livello con collegamento funzionale tra Chieti e Pescara e deroga, invece, la stessa possibilità di fusione operativa tra L'Aquila e Teramo ad un 'futuro' studio di fattibilità?
Ancora, "è una questione di tempi" sottolinea Paolucci. "Gli ospedali di Chieti e Pescara distano tra loro circa 15 minuti; al contrario, i nosocomi delle aree interne sono distanti 40 minuti. Per questo, sulla costa la sperimentazione partirà prima: anche lì, tuttavia - ribadisce l'assessore alla Sanità - entro la fine di giugno 2017 si dovrà assumere una scelta precisa. Il decreto Lorenzin, infatti, stabilisce chiaramente che le reti dell'ictus celebrale, dell'emergenza cardiologica e del trauma grave insistano in una stessa struttura. Voglio vedere cosa accadrà al momento di prendere una decisione".

E' una risposta accettabile? Davvero possiamo accettare che la sperimentazione venga avviata tra Chieti e Pescara per una questione di meri tempi di percorrenza? E' davvero impensabile istruire un percorso simile tra L'Aquila e Teramo, seppure gli ospedali siano un poco più lontani? E così fosse, come si potrebbe giustificare, allora, la chiusura del punto nascita di Sulmona che pure costringe le partorienti a lunghi spostamenti?

A leggerle così, le motivazioni addotte dall'assessore regionale alla Sanità sembrano davvero risibili. A leggerle così. Se si prova ad andare oltre, tuttavia, oltre le parole, le polemiche e le schermaglie politiche, è chiaro che le scelte che si stanno assumendo sottendono ben altro. Non possono che tornare alla mente le parole del governatore Luciano D'Alfonso che, a gennaio 2015, a margine di un incontro organizzato a Pescara, accennò alla possibilità di costruire un nuovo ospedale, a metà strada tra Chieti e Pescara. "Abbiamo trovato una 'striscia di Gaza' che consente ai pescaresi di vederlo pescarese e ai chietini di vederlo chietino", disse D'Alfonso.

Tradotto: investimento da 450 milioni di euro per realizzare un presidio unico, ad alta intensità di cura, a servizio di un bacino di oltre 600 mila abitanti e che risponderebbe, guarda il caso, alle prescrizioni del decreto Lorenzin.

Ecco il senso della sperimentazione che si sta avviando con la connessione funzionale del Santissima Annunziata e dell'Ospedale civico dello Spirito Santo: potrebbe trattarsi del primo passo verso la realizzazione di un hub di secondo livello che - nei faraonici progetti di D'Alfonso - dovrebbe sorgere, appunto, "laddove i pescaresi lo vedano pescarese e i chietini, invece, chietino".

E le aree interne? Tra L'Aquila e Teramo, è impossibile immaginare la costruzione di un nuovo ospedale ad alta intensità di cura. Oltre lo studio di fattibilità, dunque, appare chiaro che l'orientamento della Giunta regionale è di mantenere il San Salvatore e il Mazzini come ospedali di primo livello. A meno che non si arrivi ad una presa di posizione 'forte' del commissario ad acta Luciano D'Alfonso, che assuma la responsabilità di avviare una interlocuzione con il Governo - una battaglia politica, se necessario - perché il decreto Lorenzin, considerata la particolare connotazione morfologica e orografica della nostra Regione e, in particolare, delle aree interne, possa essere modulato sulle esigenze dei cittadini abruzzesi. Così, si potrebbe strutturare un hub di secondo livello con la condivisione funzionale tra gli ospedali di L'Aquila e Teramo. Una condivisione funzionale reale, non sperimentale.

Non accadrà.

E' emerso, infatti, che il Piano Sanitario Regionale è stato già validato e approvato a Roma, al Ministero della Sanità. Per i prossimi tre anni, dunque, non sarà emendabile. E resta da chiedersi che senso abbia avuto discuterne in Consiglio comunale: era già accaduto con il Masterplan, una presa in giro insopportabile, per la città. "Nessuno scippo al San Salvatore, né di reparti e tantomeno di posti letto che, in realtà, rispetto al 2014, aumenterebbero di 14 unità", ha tentato di garantire Paolucci. Aggiungendo, poi, che hub di secondo livello, in realtà, altro non sarebbe che "un’etichetta: dal punto di vista funzionale e organizzativo, rispetto ad un ospedale di primo livello, per gli utenti non cambierebbe nulla".

Non è vero. E' chiaro che un ospedale ad alta intensità di cure finirebbe per attrarre finanziamenti e professionalità. E non si può certo escludere che, in futuro, anche la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Univaq possa risentire della scelta, svantaggiata, in questo senso, rispetto alla Facoltà di Chieti che garantirebbe ai futuri medici di confrontarsi con un ambiente a maggiore specializzazione.

Scenario che dovrebbe preoccupare, e molto, i rappresentanti istituzionali delle aree interne d'Abruzzo che, in realtà, sono sembrati fino ad ora piuttosto 'pigri' nell'affrontare la vicenda, se è vero, tra l'altro, che i sindaci di L'Aquila e Teramo, le assisi consiliari delle città, non hanno ancora avviato un ragionamento politico, d'insieme, capace di spingere la Giunta regionale a cambiare verso.

Questione squisitamente politica, dicevamo.

Ultima modifica il Venerdì, 01 Luglio 2016 19:21

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