C'è una data cerchiata in rosso sull'agenda del Presidente della Repubblica: giovedì 15 dicembre; per quel giorno è fissato, infatti, il Consiglio Europeo e Sergio Mattarella vorrebbe si arrivasse all'appuntamento con un premier in carica e, se possibile, con la fiducia al nuovo Governo di almeno una Camera. Dunque, sul tavolo ci sono due ipotesi: la prima, incarico esplorativo a Matteo Renzi per verificare se ha ancora la fiducia e, quindi, una maggioranza; la seconda, incarico affidato ad una figura di alto livello politico indicata dal Partito Democratico, e si fanno i nomi di Pier Carlo Padoan e Paolo Gentiloni.
L'ultima mossa è in mano al premier dimissionario. Stando a fonti vicine al Nazareno, Renzi continua ad avere molti dubbi su un reincarico di Governo: "Non accetto il bis o una nuova fiducia; non faccio il capro espiatorio", avrebbe confidato al suo cerchio magico. Eppure, la porta non è completamente chiusa e per almeno due motivi: un eventule ritorno a Palazzo Chigi, infatti, reggerebbe su un "patto istituzionale" con le altre forze politiche, sull'impegno condiviso dalle forze parlamentari di andare presto a elezioni anticipate, già in primavera, appresa la sentenza della Corte costituzionale sull'Italicum che potrebbe riscrivere una legge elettorale immediatamente utilizzabile o, comunque, che necessiterebbe di un ritocco o di una semplice armonizzazione delle regole del voto per Montecitorio e Palazzo Madama; e così, il premier dimissionario gestirebbe la partita da Palazzo Chigi, mantenendo l'incarico per il disbrigo degli affari correnti. Renzi, però, teme di perdere la 'faccia' innanzi agli italiani e, dunque, resta più probabile che il Pd indichi un altro nome, Padoan o Gentiloni appunto, per guidare un governo di scopo nella cornice della medesima maggioranza parlamentare, e con l'accordo istituzionale degli altri partiti, così da traghettare il Paese alle urne.
Una via o l'altra, è chiaro - oramai - che si voterà in primavera, con le amministrative. Scenario destinato a 'sconvolgere' anche il difficile percorso del centrosinistra aquilano verso le elezioni. Proviamo a spiegarvi il perché.
Come noto, i congressi nazionali del Partito Democratico si tengono ogni quattro anni: l'ultimo si è svolto nel 2013, a seguito della 'mancata vittoria' di Pier Luigi Bersani alle elezioni politiche. Dunque, il prossimo dovrebbe tenersi nel 2017 e, si andasse alle urne in primavera, la segreteria dovrebbe fissarlo per i primi mesi dell'anno. Perdonerete il condizionale, ma coi tempi che corrono è d'obbligo la prudenza.
Scontato che Renzi correrà per la segreteria, e pare più che probabile una sua rielezione da parte dell'assemblea del partito seppure, in seno al Pd, la minoranza abbia ripreso vigore a seguito del risultato referendario; si muovono in molti, più o meno nell'ombra, da Dario Franceschini che ha la maggioranza sia nei gruppi parlamentari che in direzione, a Enrico Rossi, governatore della Toscana, che si è candidato mesi fa, fino a Andrea Orlando che potrebbe raccogliere intorno a sé il dissenso alle politiche del segretario uscente. Favorito resta Renzi comunque, che, dal Nazareno, inizierebbe la campagna elettorale per tornare a Palazzo Chigi.
Ecco, qui sta il nodo: che volto darà il premier uscente al Partito che verrà? Proseguirà la via centrista, rinnovando il 'patto' con Denis Verdini e Angelino Alfano, isolando ancor di più le minoranze interne di sinistra col rischio concreto, a quel punto, di una sanguinosa scissione? Oppure, al contrario, invertirà la rotta volgendo lo sguardo a sinistra, all'antico spirito 'ulivista', porgendo la mano a chi, come i democrat che si stanno ritrovando intorno ai sindaci arancioni, vorrebbe rinnovare la coalizione di governo ancorandola a sinistra? E' chiaro che una scelta, o l'altra, orienterà anche gli equilibri politici territoriali.
Non è un mistero che il Partito Democratico guardi, con particolare attenzione, a tre città italiane che andranno al voto in primavera: Parma, per strapparla a Federico Pizzarotti e decretare, così, la fine della prima esperienza amministrativa a 5 Stelle, seppure il sindaco uscente abbia rotto presto con i vertici del Movimento; Genova, guidata per 5 anni da Marco Doria che, da sinistra, vinse a sorpresa le primarie del 2011 conquistando la candidatura ai danni di Roberta Pinotti e Marta Vincenzi, candidata dal Pd; e L'Aquila, per le vicende del terremoto. In queste città, l'attenzione della segreteria nazionale sarà alta e il Nazareno dirà la sua, orientando le scelte su alleanze e candidati.
Stando a L'Aquila: se il Pd - a livello nazionale - dovesse virare a sinistra, si rafforzerebbe il percorso intrapreso dalla giovane segreteria cittadina del partito, "tra i più a sinistra d'Italia" come hanno riconosciuto gli alleati dell'ultima amministrazione davvero ulivista sopravvissuta al rottamatore fiorentino, una specificità nel panorama politico italiano; dunque, si potrebbe immaginare un raggruppamento largo, da Rifondazione e Sinistra Italiana e fino ai centristi moderati, con un candidato sindaco di mediazione, capace di tenere insieme le diverse anime della coalizione.
Al contrario, se il Partito Democratico dovesse perseguire la strada 'centrista' è chiaro che gli scenari muterebbero sensibilmente: a quel punto, infatti, votando insieme per politiche e amministrative, non si potrebbe più sostenere il 'mantra' della specificità locale rispetto alle dinamiche nazionali. In parole più semplici: diverrebbe impossibile fare campagna elettorale per le politiche sostenendo un partito con una chiara identità di centro e, contemporaneamente, sostenere, a livello locale, un'esperienza ancorata a sinistra; diverrebbe improponibile proporre una coalizione con forze politiche che, a livello nazionale, farebbero campagna elettorale avverso il Pd. Dunque, anche a L'Aquila i democrat dovrebbero dar vita ad una coalizione orientata al centro, con un candidato sindaco capace di dare volto, al livello locale, al Partito della Nazione, o del Si come è stato definito in queste ore, e con le forze di sinistra che, da par loro, perseguirebbero una via altra, autonoma. Col rischio, concreto, di una dolorosa scissione anche dentro il Pd aquilano: non è un mistero che, dovesse andare così, pezzi di base e persino della segreteria farebbero un passo indietro, sbattendo la porta.
Con conseguenze imprevedibili, al momento.