Lunedì, 26 Giugno 2017 11:35

L'Aquila si sveglia con un sindaco di centrodestra. Una prima analisi del voto

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Dieci anni dopo, L'Aquila si sveglia con un sindaco di centrodestra.

A meno di 12 ore dalla chiusura dei seggi, è difficile provare ad analizzare i motivi di un risultato elettorale assolutamente inatteso. Iniziamo, dunque, dai freddi numeri: alla metà di maggio, un sondaggio Piepoli per Rai dava Pierluigi Biondi 34 punti sotto Americo Di Benedetto (con una forbice tra il 23 e il 27%); sia chiaro, parliamo di una proiezione attendibile, se è vero che aveva già delineato il flop dei 5 Stelle, l'inconsistenza elettorale delle proposte di Giancarlo Silveri e Nicola Trifuoggi e il risultato, sotto le aspettative, della Coalizione sociale. A dire che il risultato del primo turno, paradossalmente, doveva suonare già come un campanello d'allarme per la coalizione civico progressista: l'11 giugno, il candidato di centrodestra era arrivato al 35%, poco più di 11 punti sotto Di Benedetto. In rimonta, e trainando le liste: Biondi, infatti, è andato sopra la coalizione di centrodestra che si era attestata al 33%. Al contrario, Di Benedetto ha fatto peggio delle forze civico progressiste che hanno sforato il 51%.

Non è un dato irrilevante, anzi. Paradossalmente, aver costruito una coalizione così ampia e variegata, più che favorire il candidato sindaco, l'ha azzoppato. Aver messo insieme pezzi di mondo che non hanno, e non possono avere, un linguaggio comune, sensibilità tanto diverse da parere inconciliabili, aver 'imbarcato' campioni di preferenze che, fino a ieri, stavano nel centrodestra, se ha permesso alla coalizione 'Vivendo L'Aquila' di sfiorare la vittoria al primo turno l'ha 'sciolta' alla prova del ballottaggio. E d'altra parte, se non c'è un progetto politico chiaro, delineato, un universo valoriale condiviso capace di dare senso e significato al voto, si rischia - come accaduto a L'Aquila - che al primo turno il traino delle preferenze ai singoli candidati cancelli il voto d'opinione che, invece, si esprime al ballottaggio, nel 'corpo a corpo' tra candidati.

Si prenda il caso della lista civica 'Il Passo Possibile', costruita pezzo a pezzo da Americo Di Benedetto; al primo turno, ha ottenuto l'8,5% delle preferenze, attestandosi come terza forza della città. Ebbene, la maggior parte dei candidati più votati veniva da un mondo vicino al centrodestra: gli elettori che li hanno scelti, votando le persone e non il progetto politico, al ballottaggio, nel confronto tra centrodestra e centrosinistra, sono semplicemente tornati a casa. E d'altra parte, la bravura di Pierluigi Biondi è stata d'averci creduto fino in fondo, interpretando una candidatura fortemente identitaria, sui temi e nei linguaggi, capace di rinsaldare le forze di un centrodestra che, fino a due mesi e mezzo fa, pareva destinato a spaccarsi in mille rivoli e, così, di restituire un senso di comunità politica all'elettorato. Sul punto, torneremo.

Ora, ci preme sottolineare come questo aspetto sia stato assolutamente sottovalutato; un errore che era già stato fatto all'indomani delle primarie del 10 aprile scorso che, senza dubbio, erano state 'drogate' da un'importante affluenza di elettori di centrodestra che si sperava di non 'perdere' per strada, che al primo turno avranno pure votato candidati in seno alla coalizione civico progressista ma che al ballottaggio, tra Di Benedetto e Biondi, senz'altri condizionamenti, hanno votato l'ex sindaco di Villa Sant'Angelo. Piuttosto comprensibile, col senno di poi. Più in generale, è stato sottovalutato il dato sul voto disgiunto che, l'11 giugno, ha interessato la maggior parte delle liste di coalizione.

Un errore politico determinante.

Non si spiega soltanto così, però, la sconfitta di Americo Di Benedetto. Innanzitutto, c'è un dato nazionale che, da Avezzano a Genova, racconta di un ritorno importante del centrodestra e di un crollo, generalizzato, del Partito Democratico che, dopo lo schiaffo del 4 dicembre, non ha ancora saputo ritrovare la strada, frantumando, così, i resti di un centrosinistra da ricostruire. E ancora, c'è un sentimento di cambiamento, di rottura rispetto al passato, che la città ha voluto esprimere: comprensibile, dopo dieci anni di governo di centrosinistra, ancor di più all'Aquila, considerato che hanno rappresentato il momento più doloroso e complesso nella storia - quella moderna, almeno - della città; il centrosinistra, il Partito Democratico in particolare, hanno politicamente occupato i posti di governo, i cda delle partecipate, la sanità, la cultura, il mondo dei sindacati e dell'economia, portandosi dietro un codazzo di staffisti, borsisti, consiglieri d'amministrazione e presidenti, manager, sedicenti esperti che, da anni, si occupano - male - di questioni dirimenti per il futuro della città. Preferendo troppo spesso la logica dell'appartenenza alla qualità delle persone. Succede ovunque, sia chiaro: ad un certo punto, però, l'elettorato rompe certi meccanismi. Per crearne di nuovi.

E qui, arriviamo ad un altro aspetto della vicenda elettorale.

Pierluigi Biondi, pur avendo raccolto intorno a sé alcuni dei protagonisti del governo decennale di Biagio Tempesta, è stato capace di rappresentare e raccontare il cambiamento, il rinnovamento. L'ex sindaco di Villa Sant'Angelo non ha sbagliato un colpo: sin dall'inizio, ha messo in piedi una 'potente' macchina di marketing e comunicazione, con una regia politica chiara e definita; ha 'costretto' le forze di centrodestra a confluire sulla sua candidatura, ha restituito dignità ad un elettorato spaesato sedendo accanto a vecchi volti del berlusconismo e cavalcando il sentimento di rivalsa per l'opera svolta dal governo d'allora a seguito del terremoto del 6 aprile 2009. Recuperato terreno e costruito un solido 35% di preferenze personali al primo turno, negli ultimi quindici giorni ha interpretato come meglio non si poteva il 'corpo a corpo' che richiede il ballottaggio, portandolo all'estremo del confronto con una sedia vuota in mezzo ad una rotatoria di periferia, e svincolandosi da lacci e lacciuoli mostrandosi, per davvero, come il granello capace di rompere un meccanismo soffocante, per molti. E' stato tra la gente, ha 'battuto' le frazioni più popolose, ha parlato un linguaggio chiaro e diretto, populista a volte, capace di colpire alla pancia l'elettorato, con le giuste parole che una cittadinanza spaesata aspettava di sentire.

Americo Di Benedetto, invece, non è riuscito a svincolarsi dalla presenza, ingombrante, del sindaco uscente e dei maggiorenti del Partito Democratico; ha voluto accanto a sé Giovanni Lolli nelle occasioni pubbliche più partecipate, sebbene il vice presidente della Giunta regionale, alle primarie, avesse sostenuto con decisione Pierpaolo Pietrucci. E' parso molto vicino a Stefania Pezzopane sin dalle consultazioni del 10 aprile. Non è stato capace di spiegare i motivi, veri, che l'hanno spinto a non dimettersi dalla presidenza della Gran Sasso Acqua, scelta che non ha pagato e che l'ha esposto, inevitabilmente, al fuoco incrociato degli avversari avendo avuto accanto a sé, tra l'altro, imprenditori impegnati nel maxi appalto pubblico per la realizzazione dei sottoservizi. E' rimasto 'distante' dalla città, vestendo i panni dell'amministratore preparato con la presunzione di poter cambiare le regole del gioco elettorale: ha preferito incontri tematici dettati alla stampa a confronti col candidato di centrodestra, appuntamenti politici nell'elegante comitato di Via Vicentini alle piazze della periferia, utilizzando un linguaggio 'tecnico' che non ha fatto breccia tra gli aquilani. Ha sofferto, inoltre, la diffusa sensazione di una candidatura altra rispetto alle principali forze di coalizione, quasi imposta, un malcelato senso di diffidenza tra sé e alcuni esponenti politici di centrosinistra, persino del suo stesso Partito, che i cittadini hanno percepito chiaramente. E torniamo così all'elettorato che ha 'drogato' le primarie, alla decisione di costruire una lista civica che fosse un contrappeso alla forza del PD, fatta di esponenti altri rispetto all'universo valoriale progressista, e che ha finito per scatenare il corto circuito di cui abbiamo accennato.

Ci sarà tanto da scrivere, molto di cui discutere. E l'analisi che avete letto, è soltanto una delle chiavi di lettura possibili per spiegare un risultato così inatteso.

Torniamo ai numeri, dunque, al punto di partenza: Pierluigi Biondi ha vinto ovunque, da Preturo a Paganica, passando per Pettino, ha ottenuto 16.410 preferenze, 2.268 in più del primo turno; Americo Di Benedetto si è fermato a 14.249 voti, 2.161 in meno dell'avversario, addirittura 4.327 in meno delle preferenze che aveva ottenuto l'11 giugno. E sebbene il dato sull'affluenza sia stato più basso, com'era prevedibile, il numero di voti ottenuti dai contendenti al ballottaggio si è attestato ai livelli delle preferenze raccolte, due settimane fa, dalle coalizioni di centrodestra e centrosinistra. Si può presumere, dunque, che - rispetto al primo turno - dentro le urne siano mancati i voti dei simpatizzanti le altre forze in campo, a dire che Biondi e Di Benedetto non hanno saputo 'muovere' altri pezzi d'elettorato. Significa che i voti si sono mossi da una parte all'altra.

Ultima modifica il Lunedì, 26 Giugno 2017 19:10

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