"Se si dimette vuol dire che non è più un magistrato democratico". Lo scrittore Erri De Luca ha inteso commentare così la notizia delle dimissioni di Gian Carlo Caselli, procuratore capo di Torino, da Magistratura democratica. "Al di là di un’avversione personale nei miei confronti, mi pare un gesto incomprensibile. Se si tratta di applicare a Md una censura sulla scrittura siamo fuori dalla grazia democratica e civile”, ha sottolineato lo scrittore all'Ansa. E alla domanda se, dunque, ritenga che Caselli non sia democratico, ha risposto: “Caselli non si è dimesso dalla magistratura, ma da Magistratura democratica. Cioè si è dimesso non dal sostantivo ma dall’aggettivo".
Il clamoroso gesto del magistrato, che ha rifiutato qualsiasi commento sulla vicenda, è legato alla pubblicazione sull'agenda 2014 di Md di un articolo firmato proprio da De Luca, da tempo protagonista di dichiarazioni di solidarietà nei confronti del movimento 'No tav' della Valle di Susa e soprattutto dei protagonisti della contestazione della linea Torino-Lione inquisiti e arrestati dalla procura guidata da Caselli.
Nel suo testo, lo scrittore rievoca gli anni di piombo con parole che sono state giudicate gravi dal procuratore capo torinese. "Si consumò una guerra civile a bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici...".
La notizia delle dimissioni sta creando molto imbarazzo tra le file di Md e nel mondo della giustizia torinese. "La scelta di Gian Carlo Caselli di lasciare Magistratura democratica ci addolora profondamente. Gian Carlo è una parte importante della storia del nostro gruppo e un uomo cui il paese intero deve gratitudine per il coraggio, la rettitudine, il rigore e le straordinarie capacità che ha dimostrato in tutta la sua carriera di magistrato, anche in tempi in cui ciò costava, oltre che fatica e sacrificio, gravissimi rischi personali". Così, in nota pubblicata sul sito online, l'esecutivo nazionale di Magistratura democratica.
"Siamo altrettanto profondamente convinti, però, che la sua scelta, motivata dalla pubblicazione sull'Agenda 2014 di un brano dello scrittore Erri De Luca, non sia giustificata", prosegue la nota. L'Agenda "è andata in stampa il 15 luglio 2013, allorché De Luca non aveva ancora rilasciato le interviste sul 'Notav' del 1° e dell'8 settembre, delle quali dunque nulla si poteva sapere. E in merito alle quali Md non può che rifiutare qualsiasi aggressione a chi opera negli uffici giudiziari e ribadire vicinanza e solidarietà a coloro che sono impegnati nell'esercizio della giurisdizione".
"Del brano pubblicato su Agenda che, peraltro, si riferisce agli anni Settanta e non alle recenti vicende della Val di Susa - conclude l'esecutivo di Md - è giusto che ognuno dia la valutazione che ritiene più adeguata. Ma non si può certamente attribuire a Magistratura Democratica la paternità - e dunque la responsabilità - del contenuto di esso per il solo fatto di averlo ospitato in una sua pubblicazione, tanto più in presenza della esplicita presa di distanza pubblicata a margine del medesimo".
Vi proponiamo il testo di Erri De Luca che ha scatenato la rabbia di Caselli.
"Euridice alla lettera significa trovare giustizia. Orfeo va oltre il confine dei vivi per riportarla in terra. Ho conosciuto e fatto parte di una generazione politica appassionata di giustizia, perciò innamorata di lei al punto di imbracciare le armi per ottenerla. Intorno bolliva il 1900, secolo che spostava i rapporti di forza tra oppressori e oppressi con le rivoluzioni. Orfeo scende impugnando il suo strumento e il suo canto solista. La mia generazione è scesa in coro dentro la rivolta di piazza. Non dichiaro qui le sue ragioni: per gli sconfitti nelle aule dei tribunali speciali quelle ragioni erano delle circostanze aggravanti, usate contro di loro.
C'è nella formazione di un carattere rivoluzionario il lievito delle commozioni. Il loro accumulo forma una valanga. Rivoluzionario non è un ribelle, che sfoga un suo temperamento, è invece un'alleanza stretta con uguali con lo scopo di ottenere giustizia, liberare Euridice. Innamorati di lei, accettammo l'urto frontale con i poteri costituiti. Nel parlamento italiano che allora ospitava il più forte partito comunista di occidente, nessuno di loro era con noi. Fummo liberi da ipoteche, tutori, padri adottivi. Andammo da soli, però in massa, sulle piste di Euridice. Conoscemmo le prigioni e le condanne sommarie costruite sopra reati associativi che non avevano bisogno di accertare responsabilità individuali.
Ognuno era colpevole di tutto. Il nostro Orfeo collettivo è stato il più imprigionato per motivi politici di tutta la storia d'Italia, molto di più della generazione passata nelle carceri fasciste. Il nostro Orfeo ha scontato i sotterranei, per molti un viaggio di sola andata. La nostra variante al mito: la nostra Euridice usciva alla luce dentro qualche vittoria presa di forza all'aria aperta e pubblica, ma Orfeo finiva ostaggio. Cos'altro ha di meglio da fare una gioventù, se non scendere a liberare dai ceppi la sua Euridice? Chi della mia generazione si astenne, disertò. Gli altri fecero corpo con i poteri forti e costituiti e oggi sono la classe dirigente politica italiana. Cambiammo allora i connotati del nostro paese, nelle fabbriche, nelle prigioni, nei ranghi dell'esercito, nella aule scolastiche e delle università. Perfino allo stadio i tifosi imitavano gli slogan, i ritmi scanditi dentro le nostre manifestazioni. L'Orfeo che siamo stati fu contagioso, riempì di sé il decennio settanta.
Chi lo nomina sotto la voce 'sessantotto' vuole abrogare una dozzina di anni dal calendario. Si consumò una guerra civile di bassa intensità ma con migliaia di detenuti politici. Una parte di noi si specializzò in agguati e in clandestinità. Ci furono azioni micidiali e clamorose ma senza futuro. Quella parte di Orfeo credette di essere seguito da Euridice, ma quando si voltò nel buio delle celle dell'isolamento, lei non c'era. Ho conosciuto questa versione di quei due e del loro rapporto, li ho incontrati all'aperto nelle strade. Povera è una generazione nuova che non s'innamora di Euridice e non la va a cercare anche all'inferno".