Dall'incontro pubblico su Porta Barete che si è svolto ieri presso l'auditorium di Renzo Piano, sono emersi alcuni punti importanti per L'Aquila e la sua ricostruzione.
Primo, si è tenuta finalmente un'assemblea ampiamente partecipata dalla cittadinanza su un tema chiave: quello della strategia di ricostruzione e, nello specifico, delle aree circostanti le mura perimetrali e le entrate nella città di fondazione.
Secondo, il Comune ha sbagliato a comunicare in ritardo la possibilità di dislocazione edilizia riguardo il condominio di Via Roma 207, coinvolto nel progetto di Porta Barete, già inserito nel Piano di ricostruzione del 2011. La pratica di ricostruzione per l'aggregato infatti era già avviata in maniera irreversibile nel momento in cui, ad inizio dello scorso luglio, si è annunciata la possibilità della dislocazione ("una campagna stampa improvvisa e violenta", l'hanno definita gli inquilini).
Terzo, all'Aquila sì, c'è bisogno di un Urban Center (o comunque si voglia chiamarlo), perché solo attraverso uno strumento simile, assemblee come quelle di ieri possono divenire la prassi per ogni progetto sensibile. Porta Barete, rimanga pure solo un capriccio di Monsignor Antonini, sta avendo il pregio di essere stato il primo tema sentito sulla strategia della ricostruzione. Un esercizio per la città che, tutto sommato, non lo sto affrontando neanche così male, dimostrando acutezza e anche una certa dose di salute democratica.
Quarto, si dovrà decidere a breve cosa fare del terrapieno (realizzato nel 1826) di via Roma, su cui c'è un infuocato dibattito (che coinvolge, in realtà, tutta la viabilità dell'area d'accesso alla città e l'intervento generale in corso su Viale Corrado IV) tra chi lo ritiene storicizzato e chi no, come Monsignor Antonini.
Quinto, il direttore Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici d'Abruzzo, Fabrizio Magani, non sottoscrive pienamente la ricostruzione su Porta Barete fatta da Antonini, ridimensionando la portata dell'intervento.
Il fatto che porta Barete non ci fosse poi, mai ricostruita dopo il terremoto del '700, non è emerso nell'assemblea ma si era già capito qualche mese dopo i confusi annunci dell'estate scorsa.
Come ha specificato nuovamente Antonini, nel progetto si parla in realtà dell'antiporta e i suoi torrioni, comunque di origine 300entesca secondo l'uomo di Chiesa, con una piccola piazza d'armi in mezzo. Uno di questi torrioni, a sentire il Monsignore, sarebbe stato inglobato nel cemento del ponte di Via Vicentini, sulla cui bruttezza tutti concordano.
Eppure, colpo di scena, Magani ha mostrato alcune incongruenze nella tessitura delle mura del torrione rimanente ("c'è qualcosa che non mi torna"), che fanno emergere dei dubbi sulla ricostruzione storica di Antonini suffragata dal Comune.
Per di più, Antonini ha aggiunto come, secondo la sua visione, l'intervento di "porta Barete" possa coesistere con la ricostruzione com'era dov'era del civico 207 di Via Roma. Allora chi parlerebbe ancora di sostituzione edilizia?
Tanto più che le contraddizioni appaiono davvero troppe. Come ha mostrato Daniela Piancatella, portavoce del 'Comitato inquilini', nella stessa area interessata dall'intervento si è data la possibilità di ampliamento del Tribunale, e si sono permessi altri interventi di ricostruzione, che andrebbero paradossalmente nuovamente abbattuti.
Inoltre, la stessa attenzione per le mura non è stata mostrata dalla Giunta nel progetto per la ricostruzione dell'edificio della dottrina Cristiana, per cui ha approvato un ampliamento proprio sotto la cinta muraria in un'altra zona della città, Porta Leone.
Quello di ieri all'Auditorium è stata forse la prima vera assemblea partecipata, in cui tra l'altro sono stati mostrati, senza timori, anche il progetto per viale della Croce Rossa e indicate le altre aree strategiche della città su cui intervenire in futuro, come quella di Collemaggio.
Il progetto di Porta Barete, e di conseguenza l'amministrazione che finora lo ha sottoscritto, è uscito ridimensionato dal confronto.
Stavolta, però, va riconosciuto alla Giunta di aver avuto il coraggio di discutere davanti la città e in maniera (tardivamente) trasparente e democratica, di un progetto controverso.
Un inizio di reale partecipazione, una speranza per il futuro di questa città.