Facciamo un passo indietro. L'ambito territoriale ottimale (Ato), è un territorio su cui sono organizzati servizi pubblici integrati, ad esempio quello dei rifiuti o quello idrico, appunto. Tali ambiti sono individuati dalle Regioni con apposita legge, e su di essi agiscono le Autorità d'ambito, strutture con personalità giuridica che organizzano, affidano e controllano la gestione del servizio integrato.
Gli Ato vengono istituiti nel '94 con la legge Galli, che ha ristrutturato il modello di gestione della risorsa idrica, tenendo fermo l’impianto pubblicistico, ma aprendo anche al privato. La legge ha sancito il principio del full recovery cost, la cui ratio legislativa è la seguente: la tariffa deve garantire un’adeguata remunerazione del capitale investito e pertanto ognuno paga in bolletta il 7% di quanto il gestore ha investito. Inoltre, di fronte all’eccessiva frammentazione dei gestori, ha attribuito ai Comuni e alle Province, organizzati in Autorità d’ambito territoriale ottimale, il compito di riorganizzare i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione in un servizio idrico integrato.
Altro punto cardine del sistema Galli concerneva, più specificatamente, l’apertura alla privatizzazione dell’acqua attraverso l'affidamento: in altre parole, la legge stabiliva che per ogni Ato doveva essere scelto un unico soggetto gestore cui affidare le chiavi dell’acquedotto per un lasso di tempo non superiore a 30 anni e che l’assemblea dell’Ato, composta dai sindaci di tutti i comuni riuniti in un solo ambito, doveva decidere le modalità dell’affidamento. Questo poteva essere di tipo diretto, a favore di una società per azioni a totale capitale pubblico (e in tale caso prende il nome di “affidamento in house”) oppure poteva fondarsi su una gara aperta a concorrenti europei al fine di scegliere un partner privato da affiancare al vecchio gestore pubblico.
La legge Galli è stata il primo passo verso la privatizzazione del bene pubblico acqua. E' su quella iniziativa legislativa che si innesta la legge Ronchi del governo Berlusconi che, nel novembre 2009, con la motivazione di dover emanare “disposizioni urgenti per l’attuazione degli obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità Europee”, ha provato a mandare in soffitta tutte le gestioni in house entro il 31 dicembre 2011, a meno che entro quella data le società che gestivano il servizio non erano per il 40% affidate a privati.
Gli italiani, però, hanno bloccato la privatizzazione: il referendum abrogativo della legge 66, nel giugno del 2011, ha ottenuto uno straordinario successo.
In Abruzzo gli enti d'ambito sono sei, così come le società di gestione a totale capitale pubblico e sotto il controllo dei sindaci: l'Aca per il pescarese e parte del Chietino e del teramano, la Sasi per il chietino, la Ruzzo Reti per il teramano, la Gran Sasso Acque per l'aquilano, la Saca per l'area peligna e la Cam per la Marsica. Per economizzare la gestione pubblica dell'acqua, anche in accordo e nel rispetto della volontà dei cittadini italiani espressa nel referendum, si è deciso di far confluire le sei società in un unico ente regionale, l'Ersi- Ente regionale per il servizio idrico integrato, entro il 1 luglio 2013.
E' qui che nascono i problemi. Con la conclusione dei lavori dei commissari liquidatori degli Ato e con la Delibera della Giunta regionale del 3 dicembre 2012 (n. 812), trasmessa alla Commissione Consiliare, si è avuta certezza della gravità dei rischi cui è esposto il settore. Le relazioni rimesse a fine 2012 dai direttori degli Ato ai fini della costituzione dell'Ersi, in merito alla situazione economico finanziaria dei soggetti gestori, non lasciano dubbi: gli Ambiti territoriali sono in una situazione di gravissima impossibilità a portare avanti le attività di competenza a causa dei mancati rimborsi e pagamenti da parte dei soggetti gestori.
L'Ersi sta nascendo con debiti per 25 milioni di euro.
Come è possibile? Semplice, le società sono state gestite in maniera poco trasparente. Il quadro è desolante: debiti complessivi per 300 milioni, crediti per 200 milioni e ricavi totali per 145 milioni. Ma nei bilanci sono impropriamente patrimonializzate le reti, per oltre 300 milioni, beni demaniali che come noto non possono essere utilizzati a garanzia per i creditori. In particolare, la Cam spa ha accumulato debiti per 51 milioni di euro, la Ruzzo spa per 65 milioni, l'Aca ha debiti per quasi 100 milioni. L'unica eccezione, virtuosa, è rappresentata dalla Gran Sasso Acque. D'altra parte, i consigli di amministrazione di queste società, negli anni, sono stati un serbatoio di posti di lavoro in mano alla politica. Le società sono state lottizzate e sfruttate.
Cosa accadrà ora? Il commissario Caputi ha escluso la possibilità di un aumento delle tariffe del servizio idrico per mettere a posto i conti della nascente Ersi. Il rischio vero è un altro: l'Abruzzo potrebbe vedere andare in fumo i 75 milioni di investimenti e fondi Fas destinati al servizio idrico integrato. Un quadro a tinte fosche, confermato dai lavori interrotti bruscamente dai soggetti gestori per mancanza di copertura finanziaria. Lavori importanti, per il futuro della Regione: il disinquinamento del fiume Aterno-Pescara, per dirne una.
Non si sono fatte attendere le reazioni politiche: la Cisl e la Femca hanno chiesto le immediate dimissioni di Caputi per non aver denunciato per tempo la situazione: "E' giunta l'ora -si legge in una nota- che la Regione metta insieme i Comuni e costituisca un'unica società pubblica, se ancora siamo in tempo, radicata sul territorio, gestita con efficienza ed economicità, con l'individuazione di manager all'altezza". Il presidente della Regione, Gianni Chiodi, ha immediatamente chiesto la convocazione di un consiglio straordinario che affronti "la seria problematica del sistema idrico integrato della Regione. A dare soluzioni non bastano più le azioni del governo regionale nè tantomeno quelle di un commissario, perché occorre che le assemblee dei sindaci, presiedute dai presidenti delle Province e soprattutto dai Comuni, proprietari delle società, abbiano consapevolezza del punto di non ritorno cui siamo giunti".
Quel che non si capisce, nel solito gioco della presa di distanza da qualsiasi responsabilità, è come si sia arrivati a questo punto senza che nessuno intervenisse. Il Pd regionale sembra avere chiare le responsabilità: "Se ci sono ritardi nell'attuazione della legge sul servizio idrico, questi sono da attribuire al centrodestra, dove forse si cova il desiderio dell'ingresso dei privati da accogliere come salvatori della patria in un momento di emergenza". La replica non è arrivata dal centrodestra, ma da Rifondazione Comunista: "Il Pd farebbe meglio a riunire i suoi organismi per intimare ai suoi esponenti di dimettersi dai vertici delle società e ai propri sindaci di smetterla di usare le spa pubbliche come strumento clientelare", ha detto il capogruppo in Regione, Maurizio Acerbo, "Se l'Aca e il Cam sono le società che stanno peggio, è evidente che stiamo parlando di società targate Pd".
La guerra dell'acqua, in Abruzzo, è appena cominciata. E, ne siamo certi, ci si giocherà una buona fetta della prossima campagna per l'elezione del nuovo Governatore. Con equilibri tutt'altro che chiari.