Giovedì, 08 Marzo 2018 03:14

Elezioni, Fina (Pd): "In Abruzzo candidature decise da Renzi e D'Alfonso"

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Quando chiamiamo Michele Fina, ex segretario del Pd della provincia dell’Aquila e stretto collaboratore del ministro della Giustizia uscente Andrea Orlando, per chiedergli un’analisi sulle elezioni di domenica 4 marzo, non c’è ancora stata la conferenza stampa di Matteo Orfini e Maurizio Martina con l’annuncio, dato dal presidente del Pd, delle dimissioni presentate anche formalmente dall’ex premier, dopo quelle “congelate” comunicate lunedì, che avevano generato, nel partito, sconcerto e incredulità.

Se dunque al momento della pubblicazione di questa intervista la questione delle finte dimissioni appare ormai superata, restano invece le parole pronunciate da Renzi sull’epocale sconfitta del Pd e del centrosinistra.

Un’analisi, quella fatta dall’ormai ex segretario dem, che è sembrata molto indulgente e autoassolutoria e che ha scaricato su altri - gli elettori, Mattarella - le responsabilità della disfatta.

Cosa pensa dell’analisi del voto fatta da Renzi? E cosa accadrà adesso?

Sinceramente non capisco i toni e il nervosismo di Renzi. Le dimissioni sono una conseguenza di un risultato elettorale terribile, il peggiore della storia repubblicana per le forze di sinistra. Quello che succederà adesso, in una situazione di stallo e impasse istituzionale, dipende anzitutto da quello che deciderà il presidente della Repubblica. Forse avere un atteggiamento rispettoso del lavoro che farà il capo dello Stato, e di quello che emergerà durante le consultazioni, è la cosa più intelligente da fare per un partito come il nostro che coltiva, a differenza degli altri, una cultura delle istituzioni profonda.

Renzi ha elencato i risultati positivi ottenuti a suo dire dal Pd e dal centrosinistra negli ultimi cinque anni ed è sembrato prendersela soprattutto con gli elettori che, nonostante tutto, hanno preferito votare per altri partiti.

Gli elettori non possono avere torto in democrazia, altrimenti si mina l’idea stessa di democrazia. Se gli elettori hanno bocciato la nostra proposta politica, le responsabilità sono nostre.

Da una prima analisi dei flussi fatta dall’istituto Cattaneo, il Pd, rispetto al 2013, ha perso 2,6 milioni d voti, la maggior parte dei quali sono emigrati verso il Movimento 5 Stelle e in parte anche verso la Lega. Come si spiega questo crollo secondo lei?

Ci sono molti elementi da considerare. Sicuramente c’è un quadro internazionale dove le forze politiche che cavalcano gli istinti più bassi dell’elettorato accrescono i propri consensi a scapito delle forze democratiche e istituzionali. Poi c’è stato un atteggiamento sbagliato da parte nostra. Ci ci siamo presentati con il conto delle cose fatte, come se il voto dovesse essere un premio al lavoro di governo. Ma ciò che si fa quando si governa è un lavoro compiuto in ossequio al voto che si è già ottenuto. Non ci si presenta dicendo “Siamo stati bravi, rivotateci” ma indicando una prospettiva per il futuro e su questo non siamo stati chiari. Ci siamo limitati a dire “proseguiremo quello che abbiamo fatto fin qua” e non abbiamo compreso gli errori e le mancanze. E quando un partito politico al governo perde questa capacità, significa che si presenta agli elettori come un partito di establishment.

Vi accusano di aver dimenticato le classi subalterne e le periferie e di essere diventati il partito che difende gli interessi della borghesia che abita nei centri storici.

Sì questo è un altro punto: il rapporto del Pd con le fasce più deboli. Qui c’è veramente un problema profondo di cultura politica. Un politico di sinistra che si meraviglia che una decisione che ritiene giusta non venga percepita come tale anche dall’elettorato ha sbagliato mestiere. Non può fare il politico, tutt’al più può fare il professore. Non sono i politici ad assegnare i voti all’elettorato ma il contrario. Non conta niente aver governato bene, il consenso non si costruisce dall’alto. Non si può pensare che una persona povera o socialmente emarginata voti la sinistra per una sorta di automatismo. Basta studiare la storia delle grandi formazioni di sinistra per saperlo. Una persona che si trova ai margini della società, se non la incontri, se non ti occupi dei suoi problemi facendole sentire che esisti come strumento a sua disposizione per risolverli, non sposerà mai il tuo bagaglio di valori. Quando un partito di sinistra non capisce perché un elettore ai margini sociali, culturali ed economici, lasciato solo, invece di votare per la parte che in teoria si dovrebbe occupare di lui, è preda degli istinti più immediati – xenofobia, razzismo, estremismo – significa che ha perso la bussola.

Avete sbagliato campagna elettorale?

In campagna elettorale in cui si poteva parlare di tutto, invece si è parlato solo di immigrazione. Ci siamo arrivati del tutto impreparati quando invece era prevedibile che sarebbe successo questo. Perché certe cose covavano da tempo, perché siamo un paese di giovane immigrazione ma di antiche migrazioni e perché quello che stiamo vivendo altri paesi lo hanno già vissuto e affrontato tempo fa. E’ davvero incredibile l’ignoranza storica e politica con la quale ci siamo presentati di fronte a questo fenomeno. Se abbandoni il territorio, se non hai un partito politico, cioè una comunità larga di persone presenti presenti fisicamente nelle periferie, non conta niente se hai governato bene.

Voi, come corrente interna al Pd, cosa chiedete?

Chiediamo rispetto per il momento delicato che abbiamo di fronte e per il lavoro del presidente della Repubblica e responsabilità di fronte al paese. Il paese viene prima di tutto. Per quanto riguarda il Pd, noi ripetiamo sommessamente quello che abbiamo già detto al congresso. La prima cosa è che bisogna farlo, un partito. Non è una cosa facile, non bisogna replicare modelli del passato ma occorre creare una comunità viva: segretari, militanti, amministratori locali, iscritti, devono sentirsi a casa loro e devono essere parte attiva, tenuti vicini e resi protagonisti dell’attività, come un sol uomo. Uso la parola comunità non a caso, perché è un concetto che presuppone un’unione profonda, un bagaglio di valori che consente di sentirsi parte di una missione comune. Per anni invece siamo andati in direzione contraria, applicando convintamente l’idea della disintermediazione e quella del rapporto diretto tra capo e folla. Renzi si era convinto che era possibile arrivare agli ultimi in maniera più immediata con i social e la tv. Ma se ti appigli solo a questo canale, prevale il messaggio più semplicistico e rozzo. Noi possiamo imitare i nostri avversari quanto vogliamo ma alla fine prevarranno gli originali. Ecco perché cediamo milioni di voti: perché inseguiamo gli altri sul loro terreno. Bisogna ricostruire un sistema di eguaglianza: se anche di fronte a questa ripresa, tantissimi, che erano ultimi, sono rimasti ultimi o hanno visto peggiorare le loro condizioni di vita, il racconto dell’Italia felix non funziona e non vinci le elezioni. Bisogna tornare a chiedersi come mettere in campo un bagaglio di proposte per ridurre le diseguaglianze. Spero che il nuovo congresso serva a confrontarsi su questo e non diventi il solito votificio sui nomi.

Le primarie che tanto piacciono a Renzi non sono più, quindi, un dogma incrollabile?

Penso che si debba tornare a discutere di come un partito deve misurarsi sulle idee e non solo sugli uomini. Finora abbiamo votato sostanzialmente solo gli uomini. Certo, a loro volta erano il portato di idee e progetti ma sono prevalse dispute personali e i gazebo non sono stati luoghi in cui abbiamo riattivato i nostri terminali, ma luoghi che abbiamo montato e smontato in una giornata. Noi abbiamo provato a parlare più volte di una conferenza programmatica, che sembra un a formula vetusta ma è un modo per dire di ragionare sulle idee. Rimettere insieme i pezzi del nostro bagaglio ideale e programmatico e poi vediamo chi meglio lo rappresenta. Se si concorre a decidere questo bagaglio, posso anche non esser e contento di chi lo rappresenterà ma almeno mi sarò riconosciuto nella piattaforma. Invece, se voto solo una persona, sono legato agli sbalzi caratteriali e umorali di quella persona. Noi dobbiamo ricostruire una comunità, riattivare i terminali nei territori. Una volta fatto quello possiamo decidere chi sarà la guida. Certo, tutto deve partire da un’assunzione di responsabilità che finora non c’è stata

Il Pd abruzzese è andato ancora peggio di quello nazionale, fermandosi al 14%. Come si spiega questo risultato così negativo?

C'è da dire che in tutto il Sud il risultato del Pd è stato terribile. Ci siamo affidati all’idea che il consenso passasse per canali personali, che a volte diventano anche clientelari. Invece a sud hanno votato in massa i Cinque Stelle, spesso anche in totale assenza dei gruppi dirigenti del cinque stelle tant’è che la forza e il radicamento dei candidati messi in campo è stata debole. In Abruzzo il risultato è stato più grave che altrove perché ci si è sciolti in una dimensione al governo. Non un partito  di governo ma un partito al governo, che si sostanzia nelle persone che svolgono determinate funzioni istituzionali. Sono successe cose gravi, non ho la presunzione di dire che se avessimo candidato questo al posto di quello avremmo vinto. Ma le candidature sono state scelte tutte dall’alto, con meccanismi poco chiari, tra pochissime persone, esautorando la base del partito, le assemblee provinciali, le articolazioni, le sensibilità. Il fatto che non sia stato candidato nemmeno un rappresentate della mozione Orlando dà l’idea. Non è che se l’avessimo fatto avremmo preso più voti ma se non ti preoccupi di tenere insieme i territori e le varie sensibilità di un partito dai l’idea che non te ne frega niente della pluralità e quindi gli elettori percepiscono che diventi un partito padronale. Abbiamo mutuato metodi che avevamo sempre contestato. Abbiamo scoperto che le discussioni e le assemblee fatte in mesi e mesi sono state del tutto inutili perché poi le candidature le hanno decise D’Alfonso e Renzi comunicandole per telefono. Non potevamo che contestare questo metodo. Bisogna coinvolgere i militanti, gli iscritti e i segretari di sezione, farli sentire parte di una decisione.

Lei ha chiesto le dimissioni immediate del segretario Marco Rapino

Le considero imminenti, d’altronde si sono già dimessi altri segretari di altre regioni e lo stesso Renzi. In Abruzzo, poi, non è nemmno la prima sconfitta. Faccio notare che in provincia dell’Aquia il comune più grande amministrato da un sindaco del Pd è Luco dei Marsi. Le elezioni politiche non sono state un fulmine a ciel sereno. Abbiamo fatto l’errore di non fare il congresso regionale insieme a quello nazionale e a quelli comunali e provinciali. Siamo arrivati a queste elezioni politiche con un partito regionale che ha svolto un ruolo importante ma che non ha avuto l’aggiornamento e il ricambio necessari. Abbiamo bisogno di una svolta, sono molto dispiaciuto per l’ingenerosità di alcuni esponenti politici del nostro partito che rappresentano la sinistra nel nostro territorio e non hanno avuto la sensibilità di comprendere che c’era bisogno di un cambiamento.

Alla fine di quest’anno o al più all’inizio del prossimo ci saranno le elezioni regionali. Rischiate di subire un altro cappotto. Si è cominciato a fare il nome di Giovanni Legnini come candidato del centrosinistra.

Le regionali sono una partita diversa, la Lombardia e il Lazio dimostrano che gli elettori, alle regionali, fanno altre scelte. C’è un altro meccanismo di voto, ci sono le liste, i candidati sono tanti, non ci si può nascondere dietro un simbolo come ha fatto i Cinque Stelle alle politiche. Non mi pare, poi, che i nostri avversari in Abruzzo, a parte aver beneficiato della nostra sconfitta, abbiamo vinto. Il centrodestra è stato di fatto commissariato, tutte le sue più importanti personalità sono state escluse dalle politiche, non tenute in considerazione. Conosco Antonio Martino da 20 anni, quando io ero nella sinistra giovanile lui era un giovane popolare mariniano e tale lo consideravo. Ho scoperto che era di Forza Italia quando l’hanno candidato. Se alle regionali il centrodestra avrà questo stesso metodo, non so se riusciranno a mettere insieme una proposta di governo credibile. Non credo che siano pronti, tanto meno lo sono i cinque Stelle,. Credo che il centrosinistra ce la possa fare a rimettere in piedi una proposta di governo, il punto è cambiare rotta. Se noi indugiamo ancora sulla rotta che ci ha portato al baratro, non avremo nessuna possibilità, anche senza avversari.

E Legnini?

Attualmente Legnini è ai vertici di un organo autonomo dello Stato. Finché non si esaurisce quel compito e non sarà fuori dal Csm, è un nome di cui non si dovrebbe parlare, perché il fatto stesso che ai cittadini si dica che è possibile che chi oggi è ai vertici della magistratura possa essere al centro di una disputa politica crea confusione e noi non abbiamo bisogno di creare altra confusione. Quando avrà esaurito il suo mandato, Legnini deciderà anzitutto cosa fare. Allora si potrà discuter del suo nome per questo e altri incarichi. Ma fino a quel giorno anche solo tirarlo in ballo e far girare ipotesi sul suo nome mi pare una sgrammaticatura grave.

Ultima modifica il Giovedì, 08 Marzo 2018 11:38

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