Ospitiamo su newstown una riflessione in tre puntate di Stefano Palumbo, capogruppo del PD in Consiglio comunale, che ragiona sulla città di domani attraverso tre concetti chiave: cambiamento, consapevolezza e sviluppo. Domani e domenica gli altri appuntamenti, buona lettura.
Abbiamo sempre fatto i conti con il cambiamento; immaginate i nostri nonni, pensate alla loro vita vissuta in campagna, con gli animali come unico mezzo di locomozione, guardateli poi alzare gli occhi al cielo per osservare un aereo che passa, ammirare l’uomo nello spazio, parlare in videoconferenza con i nipoti dall’altra parte del mondo. È stato per decenni un cambiamento accettato poiché legato ad un progresso sociale ed economico.
Quella di oggi è una fase di cambiamento diversa, totale, sempre più veloce; pensate al lavoro, alle abitudini, alla società che ci sposta di continuo i punti di riferimento. Il cambiamento è diventato ormai un valore, negativo per chi vede minate le certezze di una vita condotta finora stabilmente, necessario e auspicabile per tutti quelli costretti dall’attuale sistema a vivere, senza più garanzie, in una condizione di precarietà. Con un particolare non trascurabile: la globalizzazione del capitalismo ha amplificato le disuguaglianze economiche e territoriali, che continuano a crescere senza freno; la ricchezza si accumula nelle mani di pochi e si concentra solo in alcune aree, per lo più nelle grandi città lasciando alle periferie solo briciole; in Italia aumenta la forbice in termini di investimenti, opportunità e servizi tra Sud e Nord, tra aree interne e il resto del paese. Aumenta di conseguenza la fetta di popolazione che subisce gli effetti negativi di questo fenomeno e che manifesta la propria rabbia attraverso un voto di protesta, che non va denigrato bensì studiato con attenzione per comprenderne le radici profonde.
La politica, invece, incapace di governare un fenomeno che sembra inarrestabile ha preferito cavalcarlo, facendo del cambiamento un cavallo di battaglia, esasperando il concetto al punto tale che il “cambiamento a prescindere” ha preso il sopravvento sulla necessità di “cambiare in meglio”; basti pensare ai cinquestelle e alla lega, che hanno acquisito il proprio consenso predicando (in misura diversa) discontinuità rispetto a qualsiasi esperienza del passato e oggi, chiamati alla prova dei fatti nella formazione del “governo del cambiamento”, stanno dimostrando tutte le difficoltà che hanno nel mantenere gli impegni assunti in campagna elettorale. Pensate a quanto, in casa nostra, il cambiamento inteso come rottura (di quali meccanismi poi) abbia incanalato le illusorie aspettative degli elettori aquilani al ballottaggio per le elezioni comunali dello scorso anno.
Ma di fatto dopo un anno cosa è cambiato realmente? Solo qualche settimana fa in consiglio comunale è stato discusso il bilancio di previsione, lo strumento più importante di cui dispone un'amministrazione per tracciare la propria visione ed attuare le proprie politiche. Ebbene, chiunque abbia avuto voglia e modo di leggerlo avrà notato che su quel documento è ancora fortissima l’impronta della giunta precedente, con pochissimi e poco incisivi punti di innovazione introdotti dalla nuova amministrazione. In questi mesi nessun “meccanismo” è stato rotto ma molti, purtroppo i più importanti, si sono inceppati: sul piano di ricostruzione pubblica e in particolare delle scuole nessun passo avanti è stato fatto, men che meno sul PRG il cui lavoro è fermo al punto esatto in cui la precedente amministrazione lo aveva lasciato in eredità all'attuale; per non parlare dell'azione di recupero dei consumi del progetto CASE con l'ultima bollettazione emessa dall’ente comunale nei confronti dei cittadini risalente alla giunta Cialente, con una conseguente situazione debitoria per le casse comunali divenuta ormai drammatica. Rallenta addirittura la ricostruzione privata che, dopo anni di duro lavoro di messa a punto, andava avanti ormai a regime. Sul Gran Sasso poi, si è stabilito un nuovo record quello di aver aperto la stagione sciistica quando le altre stazioni si avviavano ormai alla chiusura.
Siamo insomma all’interpretazione goffa del concetto gattopardiano secondo cui “tutto deve cambiare perché tutto resti come prima”, con processi che invece di andare avanti indietreggiano pericolosamente. E la richiesta di cambiamento? E’ sempre li, ancora più forte di prima, in attesa di risposte che però non arrivano semplicemente perché non ci sono.
Winston Churchill diceva: “Non sempre cambiare equivale a migliorare, ma per migliorare bisogna cambiare”; e allora cambiamo, ma cambiamo per migliorare, cambiamo guardando ad una città nuova, ad una città migliore.