E' stata fissata per giovedì 6 dicembre l'udienza sul ricorso presentato in Consiglio di Stato dagli esponenti della coalizione civico progressista avverso la decisione del Tar che ha giudicato inammissibile per carenza d'interesse la richiesta di riconteggio e riassegnazione dei voti di 11 seggi elettorali; così, il centrosinistra sperava di recuperare i 41 voti mancanti che avrebbero permesso alla coalizione di superare la soglia del 50% + 1 di voti validi al primo turno delle amministrative e, dunque, di far scattare l'anatra zoppa, ovvero quella situazione particolare per cui un sindaco eletto si trova a convicere con un Consiglio comunale la cui maggioranza è rappresentata da liste che avevano sostenuto un diverso candidato.
A sottoscrivere il ricorso - affidato al professor Alfonso Celotto, docente di Diritto costituzionale e Diritto pubblico comparato, già capo di gabinetto e capo ufficio legislativo dei Ministri Bonino, Calderoli, Tremonti, Barca, Trigilia e Guidi e, attualmente, capo di gabinetto del ministro della Salute Grillo - sono stati gli stessi ricorrenti al Tar, eccezion fatta per il candidato sindaco alle amministrative, Americo Di Benedetto, che ha rivendicato la scelta 'politica', e per il capogruppo del Passo Possibile Paolo Romano, in quei giorni impegnato fuori città ma che, potendo, l'avrebbe firmato.
Stando ai ben informati, tra gli esponenti del centrosinistra si respirerebbe un cauto ottimismo: sono in molti ad essere convinti, infatti, che la sentenza del Tar possa essere ribaltata.
Il motivo è presto detto.
Come anticipato, il ricorso è stato giudicato inammissibile per "carenza d'interesse"; in sostanza, i giudici - a seguito della querela di falso depositata dal collegio difensivo dei consiglieri di centrodestra - hanno assunto i verbali del contestato seggio 41, correggendo l'errore di trascrizione materiale che aveva fatto 'sparire' 400 voti ai candidati sindaci e che, riassegnati, hanno innalzato la soglia dei voti validi: a quel punto, i ricorrenti non avevano più interesse ad ottenere l'assegnazione dei voti nelle 11 sezioni oggetto di ricorso poiché non avrebbero superato comunque la metà più uno dei voti validi.
Ma il punto contestato è proprio questo.
I ricorrenti di centrosinistra, e con loro gli avvocati di parte, continuano a sostenere che il Tar non avrebbe potuto, e dovuto, correggere l'errore di trascrizione del seggio 41, sebbene conclamato, poiché non oggetto del ricorso intentato; si sarebbe potuto procedere in tal senso - ne sono convinti - se, e soltanto se, i legali incaricati dai consiglieri di centrodestra avessero presentato un ricorso incidentale, chiedendo il riconteggio di quella sezione specifica entro i termini stabiliti per legge. D'altra parte, il ricorso elettorale si basa proprio sul principio dell'onere della prova, cioé i ricorrenti sono tenuti a fornire almeno un principio di prova non essendo consentito ai giudici di supplire all'inerzia probatoria delle parti; ebbene, i ricorrenti sostengono d'aver istruito ricorso su alcuni seggi specifici dove, si riteneva, c'erano stati errori d'attribuzione; ed in effetti, all'esito del riconteggio i risultati sono effettivamente cambiati ed il centrosinistra ha recuperato i voti mancanti per superare la soglia del 50%+1 dei voti validi.
Con la decisione assunta a fine luglio, in altre parole, i giudici del Tar sarebbero andati oltre il dettato delle norme, procedendo con la correzione dell'errore materiale in un seggio che non era stato indicato né dai ricorrenti né dagli avvocati della difesa e introducendo, così, un principio 'pericoloso': in questo modo - arrivano al paradosso i sostenitori del ricorso - si potrebbe chiedere ai giudici di riaprire tutti i seggi elettorali, sebbene siano decorsi i termini, avendo appurato, gli incaricati dalla prefettura, errori negli undici seggi indicati nel ricorso e anche nel seggio 41.
Un paradosso, appunto; ma la vicenda è delicata e l'ultima parola, a questo punto, spetterà al Consiglio di Stato.