Fabrizio Di Stefano getta un sasso nello stagno del centrodestra annunciando la propria candidatura a presidente della Regione a capo di un rassemblement di forze riunite sotto la sigla di Civiche per l’Abruzzo.
Una decisione ampiamente annunciata nei giorni scorsi e ufficializzata con tutti i crismi oggi in una conferenza stampa che si è svolta all’Aquila a Palazzo Fibbioni.
Presente, accanto a Di Stefano, Salvatore Santangelo, giornalista e scrittore, animatore della lista L’Aquila Futura, una delle forze civiche che hanno aderito al progetto dell'ex parlamentare.
Seduti tra il pubblico c’erano invece, non si sa se per mera cortesia istituzionale, essendo stati invitati, o se perché effettivamente già chierati con Di Stefano, l’onorevole Daniele Toto e l’ex sindaco di Avezzano Gianni Di Pangrazio, reduce dalla presentazione, avvenuta lo scorso week end, di un altro raggruppamento di liste civiche, Avanti Abruzzo, di cui fa parte il suo Abruzzo al Centro.
“Mi candido rivolgendomi all’area di centrodestra, alla quale sono sempre appartenuto e continuo ad appartenere senza tentennamenti né infingimenti. Ma siamo aperti a dialogare con tutti coloro che hanno a cuore il bene dell’Abruzzo” ha detto Di Stefano, che, lanciata l'esca, rimane ora affacciato alla finestra in attesa degli eventi, sperando che Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, logorati da mesi di discussioni e polemiche, convergano sul suo nome.
Malgrado Di Stefano respinga ogni accusa di tatticismo (“Non tutto si fa per calcolo, non è più il momento di giocare a scacchi aspettando le mosse degli altri. Io parlo al cuore degli abruzzesi”), la sua sembra una mossa intrapresa per sondare le reali intenzioni dei suoi potenziali alleati e stanarli.
Un’operazione che ricorda, per certi versi, quella compiuta lo scorso anno da Pierluigi Biondi per le elezioni al comune dell’Aquila. Di fronte ai tentennamenti di Lega e Forza Italia, Biondi ruppe gli indugi candidandosi in solitaria e dando vita a una lista civica, Benvenuto presente, intorno alla quale riuscì ad aggregare gli altri partiti di centrodestra.
A Biondi andò bene - più per mancanza di alternative dentro il centrodestra che per un'adesione convinta dei suoi alleati - ma non è detto che il gioco riesca anche a Di Stefano.
Il suo nome continua a dividere più che a unire: Forza Italia, tramite Pagano, pur avendo apprezzato l’onestà delle sue intenzioni, gli ha chiesto un passo indietro. FdI non è disposta a cedere il diritto di prelazione sul candidato governatore blindato dall’accordo siglato a Roma da Salvini, Meloni e Berlusconi e rimane ferma sui nomi circolati in questi giorni, quelli di Giandonato Morra, Massimiliamo Foschi e dal senatore Marco Marsilio. Quest’ultimo, in particolare, sarebbe in pole position (non a caso era anche a Roma alla manifestazione No Anagnina).
Di Stefano appare, in questo momento, un generale senza esercito: per quanto si faccia forte dell’appoggio di un’area civica più o meno vasta, se dovesse candidarsi senza il sostegno del centrodestra, dovrà fare le liste e sostenere la campagna elettorale con le sue proprie forze. Una missione difficile.
D'altra parte, è anche vero che con un profilo, dei trascorsi e un retroterra come il suo, un rifiuto da parte degli altri partiti di centrodestra sarebbe difficile da motivare: "Perché io?" ha affermato Di Stefano "La domanda è: perché non io? Sono stato due volte consigliere regionale e due volte parlamentare, sono un docente universitario e un imprenditore e ho fatto anche il consigliere comunale".
Della conferenza stampa tenuta a Palazzo Fibbioni, al di là delle dichiarazioni programmatiche di rito, hanno colpito due cose.
Anzitutto, l’assenza di attacchi o critiche puntuali nei confronti di Luciano D’Alfonso e dei suoi quattro anni di governo.
“L’Abruzzo è una regione in ginocchio” ha detto Di Stefano ma è sembrato voler attribuire le responsabilità di questo declino in modo generico a ritardi storici, strutturali, o tutt’al più a errori commessi in passato da più parti più che a quanto è stato fatto o non fatto dalla giunta D’Alfonso: “Se la nostra fosse solo una regione azzoppata, con delle negatività ma anche con qualcosa di positivo, allora perderei tempo a elencare gli errori del passato, a dire cosa si sarebbe potuto fare, a rinvangare e a rinfacciare. Ma non c’è tempo per fare questo, questa regione non può permettersi di perdere nemmeno un secondo a dire cosa ha fatto di male d’Alfonso. Quello lo giudicheranno gli elettori il 10 febbraio”.
L’unica puntura di spillo Di Stefano l’ha riservata a Lolli: “Ha fatto bene ad andare a Roma per protestare contro lo spostamento del terminal bus di Tiburtina ma io sarei andato brandendo una delibera di giunta che revocava la disponibilità della Regione a smaltire i rifiuti di Roma. Per fare il governatore servono coraggio e forza, le cose bisogna pretenderle non andarle a pietire mettendo su delle sceneggiate”.
L’altro particolare che a molti non sarà sfuggito sono state le parole di miele riservate da Di Stefano a Giovanni Legnini, candidato in pectore del centrosinistra. “E’ un personaggio di grande levatura” ha detto Di Stefano “che, qualora si candidasse, qualificherebbe e eleverebbe molto il livello della competizione elettorale. Sarei felice se il centrosinistra dovesse essere guidato da lui. Se scendesse in campo, il suo sarebbe un atto di amore per l’Abruzzo che apprezzerei molto. Meglio una sua vittoria che quella di un candidato approssimativo e impreparato. Più si alza l’asticella della qualità dei competitor, meglio è per l’Abruzzo”. Tradotto: vinca chiunque ma non i Cinque Stelle.
Quanto al programma, Di Stefano ha detto di avere in mente un Abruzzo in grado di coniugare la sua storia, le sue tradizioni e la sua identità con la modernità e le sfide future.
Queste ultime potranno essere vinte solo potenziando i collegamenti con il resto d’Italia e del mondo. Questo significa, per di Stefano, più investimenti sulle infrastrutture: “Occorre un Piano Marshall per la viabilità interna ma bisogna puntare anche sul ferro: esistono progetti già pronti e in parte anche finanziati, basta tirarli fuori dai cassetti. Pr far questo, però, bisogna sapere come muoversi a livello ministeriale. Bisogna puntare anche a fare dell’Abruzzo un punto di approdo per il turismo su crociera, modernizzando i porti, specie quelli di Pescara e Ortona. Quanto all’aeroporto, basta ai voli per la Sicilia e la Sardegna pagati con i soldi pubblici solo per permettere a qualche abruzzese abbiente di andare in vacanza. Dobbiamo far venire qui turisti in grado di portarci ricchezza”.
Quanto all’identità, Di Stefano ha detto che questa deve fondarsi soprattutto sulla cultura, sulla filiera argoalimentare (“Serve un marchio abruzzo che tuteli e valorizzi le nostre produzioni, dalla patata marsicana al vino, dallo zafferano di Navelli ai tartufi”) e sul turismo, sia quello ambientale (“Non avremo il mare e la montagna più belli d’Italia ma siamo l’unica regione dove si può passare dall’uno all’altra in meno di un’ora”) che su quello religioso.
Di Stefano ha chiuso poi la conferenza stampa annunciando anche di essere disposto ad affrontare eventuali primarie di coalizione.