Ci siamo presi qualche ora per commentare i fatti accaduti sabato, alla tradizionale Fiera dell’Epifania; ci siamo limitati alla fredda cronaca, prendendo un poco di respiro per mettere a fuoco ciò che è avvenuto e che - sia detto senza infingimenti - è di estrema gravità, lasciando tra le bancarelle di un giorno di festa il ‘corpo’ di una comunità profondamente lacerata, divisa: non esattamente il modo migliore per iniziare l’anno del decennale.
Ma andiamo con ordine.
Innanzitutto, va ribadito con forza – oltre qualsiasi ragione di merito – che manifestare pacificamente dissenso avverso i rappresentanti istituzionali è un diritto costituzionale da garantire e tutelare, rappresentando una delle condizioni del nostro vivere democratico. La libertà di manifestazione del pensiero, d’altra parte, “è tra le libertà fondamentali proclamate e protette dalla nostra Costituzione, una di quelle […] che meglio caratterizzano il regime vigente nello Stato, condizione com’è del modo di essere e dello sviluppo della vita del Paese in ogni suo aspetto culturale, politico, sociale”; si tratta del più alto, forse, dei “diritti primari e fondamentali” sanciti dalle nostre regole comuni.
Non lo diciamo noi, lo dice la Corte Costituzionale.
Pensare di vietare la libera espressione del pensiero, il libero diritto al dissenso ci riporta ad anni bui che pensavamo, evidentemente sbagliando, di esserci lasciati definitivamente alle spalle. Vale per qualsiasi forma di dissenso pacifico, per qualsiasi forma di manifestazione del pensiero: lo ribadiamo, oltre le ragioni di merito, di parte. Ci piaccia o no, il diritto al dissenso pacifico va garantito sempre e comunque. Che si tratti di urla, slogan, male parole. D’altra parte, sentir parlare, oggi, di “pacificazione e unione” in polemica con una piazza che intendeva rappresentare legittimamente contrarietà alle politiche del Governo, sentire auspici di uno “scambio dialettico naturale” fa piuttosto sorridere: non si è mai vista una piazza contestare con “scambi dialettici naturali”, mai, da settant’anni a questa parte.
E’ stato contestato e sarà contestato Salvini, anche con urla, slogan e male parole, qui e altrove; è stato contestato Di Maio, è stato contestato Monti, è stato contestato Berlusconi e altri prima di lui. E' stato contestato Renzi, proprio qui a L’Aquila, e lì la protesta era addirittura trascesa col lancio di un sanpietrino, gesto, questo sì, vile e da condannare.
Ecco: che cosa sarebbe successo se, sabato pomeriggio, fosse volato un sanpietrino e, magari, le forze dell’ordine fossero state costrette a caricare, tra la folla e le bancarelle della piazza, come accaduto in occasione della visita dell’allora segretario Pd e primo ministro? Qualcuno ci ha pensato, alle possibili conseguenze?
E così, arriviamo ad un’altra considerazione.
Il leader di un partito politico, il vice presidente del Consiglio e ministro dell’Interno ha il diritto – altrettanto sacro – di tenere un comizio o passeggiare tra la folla di un evento come e dove vuole, a patto che sia garantito l’ordine pubblico, la sicurezza sua, dei simpatizzanti che hanno eguale diritto a partecipare liberamente e senza pericolo e, appunto, di coloro che volessero presenziare per contestare, nei modi concessi dalla legge. D’altra parte, Matteo Salvini è un obiettivo sensibile e, per questo, la sua presenza ad un evento richiama misure speciali. A L’Aquila, ciò non è accaduto: stante le norme vigenti, ulteriormente esacerbate a seguito degli attentati terroristici degli anni scorsi e dei fatti di Torino, non c’erano le condizioni tali per autorizzare la passeggiata di Salvini tra le bancarelle della Fiera dell’Epifania. Non si sarebbe autorizzato alcun altro evento, in quelle condizioni. Anzi. Il giorno prima, a Pescara, per l’arrivo del vice premier erano state previste misure eccezionali, come giusto che sia, con divieti e modifiche alla viabilità in centro.
Per fortuna, la manifestazione di dissenso a L’Aquila è stata pacifica. Altrimenti, le forze dell’ordine – costrette agli straordinari e in numero insufficiente – non avrebbero potuto garantire la sicurezza di Salvini, degli esponenti politici d’area accorsi, dei simpatizzanti e dei contestatori stessi. Altrove, in un’altra città, non sarebbe stato possibile assumere un tale rischio. L’increscioso episodio che ha avuto per protagonista il sindaco dell’Aquila, e sul punto torneremo, sta a dimostrarlo chiaramente.
Salvini avrebbe dovuto limitarsi al comizio fissato alla Villa Comunale: il fatto che sia stato proprio lui, il Ministro dell’Interno, l’uomo che dovrebbe garantire la sicurezza del Paese, ad essere protagonista di una tale forzatura è assolutamente incomprensibile e lascia davvero senza parole. A meno di non volerci leggere una precisa strategia, e anche su questo torneremo.
Eccoci, dunque, alla vicenda che ha avuto per protagonista il sindaco dell’Aquila.
Nella calca di Piazza Duomo, con Salvini impegnato a fare selfie per più di un’ora, il primo cittadino allontanandosi dal sagrato delle Anime Sante e superato il cordone di polizia è venuto a contatto con i contestatori. Inammissibile, in una situazione del genere; prevedibile, stante le condizioni. Ebbene, i video che girano in rete parlano chiaro: dalla diretta di Abruzzoweb, in particolare, si evince come Biondi discuta con un manifestante prima e venga avvicinato da un altro poi, che, a brutto muso, lo accusa di “aver rovinato L’Aquila”, lui e il Pd. A quel punto, il sindaco perde le staffe e spintona via il manifestante, tentando poi di colpirlo di nuovo prima di essere portato via dai suoi collaboratori e dalle forze dell’ordine. E’ in quegli istanti concitati che un altro manifestante prova a colpire Biondi da dietro, e gli fa cadere gli occhiali. Così è andata.
Ora sorvolando sui tentativi di ‘riscrivere’ i fatti nelle ore successive, e denunciando con forza la viltà del gesto di chi ha provato a colpire il sindaco della città alle spalle, va detto, di nuovo senza infingimenti, che la vicenda è assolutamente grave. Non si ricorda, a memoria, un sindaco che sia entrato in ‘contatto fisico’ con un manifestante, a L’Aquila – e negli anni scorsi, pure si sono vissuti momenti di forte tensione: ricordate la manifestazione di alcuni assegnatari del progetto Case a Villa Gioia sulla vicenda ‘bollette’, con l’allora sindaco circondato da cittadini furenti ‘accompagnati’ da esponenti del centrodestra? – così come altrove.
Biondi, che evidentemente ha capito la ‘portata’ del gesto, ha tentato di minimizzare: “Questa è la mia indole, sono fatto così”, le sue parole; “non ingigantiamo un caso che, tutto sommato, va ricondotto al momento”. Ma la pezza è parsa davvero peggiore del buco: le Istituzioni – ed in particolare il sindaco di una città, garante dell’ordine pubblico e della sicurezza sul territorio – non dovrebbero mai, mai, rispondere alle provocazioni e, addirittura, lasciarsi andare a gesti di violenza. “E’ vero, sono il sindaco ma non credo che una persona debba imbalsamarsi solo perché fa il sindaco”; sta proprio qui, il punto: non si tratta di “imbalsamarsi”, si tratta di dare l’esempio, ai più giovani in particolare, di mantenere un atteggiamento consono all’altissima carica che si ricopre, e che comporta onori e oneri. Un sindaco non sta, e non puo' starci mai, sullo stesso piano di un manifestante. Non c’è provocazione che tenga.
Dire “è la mia indole”, poi, è ancora più grave: sembrerebbe giustificare, infatti, un atto da censurare senza se e senza ma, ancor più pericoloso se a compierlo è il primo cittadino di una comunità, e potrebbe persino lasciare intendere che un evento del genere possa ripetersi in futuro. Non ci interessa reclamare le dimissioni, non ci interessa davvero: piuttosto, il sindaco dovrebbe chiedere scusa ai cittadini e alle cittadine, sanando la ferita che si è aperta nel cuore della comunità. Punto. Ci auguriamo davvero abbia il coraggio di farlo, e di scrivere la parola fine sulla vicenda.
Vicenda grave, e torniamo al punto di partenza, perché lascia una città profondamente divisa, impegnata da giorni ad insultarsi sui social, a colpi di offese ed epiteti irripetibili. Altro che i cori lanciati dai manifestanti sabato in Piazza Duomo, altro che “pacificazione”. Un’immagine sconfortante, alla vigilia del decennale.
Arriviamo, così, alla strategia di Salvini, con un paio di considerazioni “più politiche”. Il Ministro dell’Interno non ha parlato minimamente della città, dei processi di ricostruzione, del difficile tentativo di ricucire il tessuto economico, della crisi occupazionale. Anzi. A oltre sei mesi dal giuramento come Ministro, si è limitato a dire che verranno recuperati “errori e ritardi”; sul mancato trasferimento di 10 milioni di euro al Comune per le maggiori spese e le minori entrate sopportate a seguito del sisma, poi, ha aggiunto che “se manca qualcosa, rimedieremo”. Come fosse ignaro che, in effetti, mancano i 10 milioni assicurati, ogni anno, dai governi che si sono succeduti nel tempo e senza i quali l’amministrazione comunale non potrà chiudere il bilancio di previsione.
Tuttavia, non è questo il punto: a far riflettere, piuttosto, è che Salvini abbia dedicato più di un’ora per i selfie con i simpatizzanti, in fila ordinata per uno scatto col Ministro. E così accade ovunque. Sia chiaro, al leader del Carroccio non servivano affatto le bancarelle della Fiera dell’Epifania per farsi ritrarre con una folla di ammiratori: a Roseto, per lui, c’erano 3mila persone; oramai, il suo consenso ha superato la dimensione politica, assumendo i contorni di una ‘mitizzazione personale’ costruita ad arte.
Da qui l’appellativo di ‘Capitano’, uomo con la ‘divisa’ che sia della Polizia o dei Vigili del Fuoco; da qui, una comunicazione aggressiva su alcuni temi che parlano alla pancia della gente e, d’altro canto, il più vicina possibile alle persone, semplice e comprensibile, fatta di scene di vita quotidiana e di un linguaggio di facile presa. La fetta biscottata con la nutella, per intendersi. Ecco, in questa costruzione del consenso personale oltre la politica, gioca un ruolo determinante la continua contrapposizione, la divisione: chi è con me, chi è contro di me. Così Salvini sta polarizzando il dibattito pubblico, e le posizioni ‘in campo’, determinando una spaccatura profonda a suo uso e consumo. Così si spiega il motivo per cui ha voluto la passeggiata tra le bancarelle, che poi passeggiata non è stata: per la comunicazione del Ministro, le proteste – a L’Aquila come altrove – giocano un ruolo fondamentale, altrettanto importante delle folle e delle lunghe file per un selfie. Non è affatto un caso che Salvini abbia mandato bacioni ai contestatori, ‘aizzando’ i suoi simpatizzanti; non è affatto un caso che, pure se Ministro dell’Interno, si sia rivolto ai suoi elettori assiepati sotto il palco alla Villa Comunale non per parlare dei problemi della ricostruzione o dei programmi del Governo per il futuro del Paese ma per schernire i manifestanti.
Una considerazione possiamo aggiungerla: di nuovo, L’Aquila si è dimostrata città poco incline alle celebrazioni di massa. Qui è stato contestato Renzi nel momento di massima ascesa, qui non ha mai attecchito il Movimento 5 Stelle, qui Salvini non ha riempito la piazza, come accaduto in ogni altro luogo visitato in Abruzzo. Anzi, alla Villa Comunale c’era meno gente di quanta si potesse prevedere alla vigilia.