Mercoledì, 13 Febbraio 2019 12:55

Regionali: il processo di autodistruzione del fronte democratico e progressista

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Le elezioni per il rinnovo del Consiglio Regionale che si sono svolte domenica 10 febbraio sostanzialmente non hanno riservato grandi sorprese: la destra ha vinto, il centrosinistra è arrivato secondo e il Movimento 5 Stelle è terzo; la destra ha ottenuto un risultato superiore alle aspettative e il M5S inferiore, ma sostanzialmente nessun risultato inatteso.

La grave e triste notizia, per lo più sottaciuta, è invece il tasso di astensionismo: solo il 53% degli aventi diritto ha votato, nonostante la tensione elettorale, l’ampia scelta tra schieramenti distinti e la grande presenza di candidati. Il 47% dei cittadini ha deciso di non eleggere rappresentanti.

Questo dato non va assolutamente sottovalutato: la grande maggioranza degli elettori che ha votato a destra in realtà rappresenta solo il 25% dei cittadini e solo un cittadino su dieci vota 5stelle e, conseguentemente, anche Legnini è stato scelto da una percentuale marginale di abruzzesi. La domanda che bisogna porsi è come mai tanti cittadini hanno scelto di non scegliere: la risposta forse sta negli anni passati, come dice il segretario della CGIL Maurizio Landini, nei quali si sono alternate al governo locale e nazionale destra e sinistra facendo troppo spesso le stesse cose, anzi a volte i propositi non realizzati dall’uno sono stati compiuti dall’altro: l’abolizione dell’articolo 18 è emblematica in tal senso.

Il governo regionale D’Alfonso ne è un altro esempio tangibile. Il giudizio dei cittadini abruzzesi sull’esperienza targata D’Alfonso è quasi unanime, profondamente negativo e in alcuni contesti come le aree interne diventa oltre che negativo anche carico di rabbia. Questa parabola pone altre domande: come si può permettere ad un esponente politico, governatore regionale, di tradire le aspettative di tanti elettori e poi “salvarlo” con un posto sicuro in Parlamento? In Friuli è accaduta la medesima vicenda: la governatrice Debora Serracchiani eletta a furor di popolo, dopo aver governato per cinque anni e aver ricoperto anche un ruolo all’interno del suo partito di grande visibilità nazionale, è stata sonoramente sconfitta nella sua Regione dopo essersi “imboscata” a Roma qualche mese prima. L’abbandono della nave che affonda per un posto sicuro genera nell’elettorato rabbia e senso di disaffezione e dimostra come il PD nella fase renziana fosse divenuto una macchina di potere per il potere.

L’ultima fase del governo regionale contrassegnata dalla guida del vicepresidente Giovanni Lolli, volto buono e saggio di una coalizione già giudicata e archiviata nel cuore di tanti cittadini, pur mostrando una qualche discontinuità non ha certo potuto recuperare un danno così esteso. Fermo restando che in molti territori la coalizione di centrosinistra non ha adottato politiche di coraggioso cambiamento, limitandosi ad amministrare il potere, in taluni casi, come nel campo della sanità, è arrivata persino a fare politiche chiaramente antipopolari come la chiusura dei punti nascita e dei distretti sanitari, giustificando questo scempio sociale con necessità di bilancio e apparendo quindi del tutto simile agli euroburocrati, freddi, notarili e distanti e per questo odiati.

In tal modo, Legnini ha dovuto affrontare tre grandi ostacoli: 

1) un giudizio negativo e a volte di profonda ostilità sull’esperienza di governo uscente che, per quanto sia stata tenuta a distanza, in qualche modo era comunque politicamente assimilabili;

2) una coalizione frantumata da odi e vendette, totalmente da ricostruire;

3) un vento nazionale che soffia prepotentemente in direzione contraria. Fenomeno questo ultimo da non sottovalutare in quanto non si fonda solo su umore elettorale passeggero, ma affonda in una mutazione antropologica di parte dei cittadini italiani ed europei: la preparazione, la competenza, la cultura, il senso dell’istituzioni, il ragionamento e l’approfondimento della complessità delle tematiche da affrontare, non sono più virtù da ricercare nel rappresentante da eleggere ma noiosi residuati che testimoniano quasi un anti modernità.

La semplificazione, la violenza, il disprezzo per la conoscenza e l’ostentazione della propria ignoranza (una sottosegretaria leghista si è vantata di aver letto l’ultimo libro tra anni fa e di aver deciso di non leggere più!), sono tratti comportamentali attraenti che danno idea di risolutezza e autorità (e come non ricordare altri periodi storici, senza profezie su improbabili - per fortuna - ritorni, nei quali la parola cultura suscitava “la mano alla pistola”). Il politico Legnini con tutta evidenza rappresenta il contrario di ciò che adesso è di moda.

Un alto dirigente leghista tempo fa mi diceva che in un’epoca di felpe, divise e pantaloncini corti, con foto sui social di “magnate” di nutella, Legnini non poteva essere competitivo. Senza ombra di dubbio, in questo scenario aggravato dalle farsesche vicende nazionali del PD e degli altri micropartitini, il risultato del centrosinistra è positivo, ha mosso e unito un sentimento democratico che si è tradotto in una proposta politica riconosciuta. La destra ha semplicemente incassato, lo “straniero” e spaesato Marsilio non ha mai parlato, i leader nazionali hanno condotto una campagna elettorale finalizzata a eccitare e unire una massa rabbiosa e desiderosa - comprensibilmente - di un radicale cambiamento. Il programma della destra nessuno lo ha conosciuto e credo che neanche sia stato scritto, saranno i “cacicchi” locali a fare politiche sui loro territori, cercando - questa è una drammatica previsione - di accontentare i clienti e di perseguire un furore ideologico che in questo momento riscuote consensi; prepariamoci dunque a iniziative legislative nel segno di “prima gli italiani”, ad aggressioni all’ambiente (in questo, parte del centrosinistra non è stato da meno…), a leggi urbanistiche all’insegna del consumo di suolo (in questo, parte del centrosinistra non è stato da meno…), a provvedimenti a favore del mondo venatorio, a misure a favore della sanità privata (in questo, parte del centrosinistra non è stato da meno).

La destra dovrà dimostrare di saper governare e in questo, al contrario di quanto sta avvenendo a L’Aquila, potrà contare su politici di esperienza e competenza.

Il movimento 5stelle semplicemte sconta la totale assenza di dirigenza e di azione politica sul territorio e in ultimo “il morso del cobra” a livello nazionale che lo sta lentamente mangiando (il cobra nella metafora indossa la divisa della polizia…).

Venendo ai fatti della nostra città, i dati ci dimostrano alcune evidenze: 

  • l’organizzazione (come insegnava Lenin…) deve essere alla base di ogni attività politica: i quattro candidati che hanno avuto un notevole riscontro (Liris, Imprudente, Di Benedetto e Pietrucci) e tre dei quali sono stati eletti (Pietrucci ha mancato l’obiettivo, cadendo vittima anche lui della perversione che ormai domina quel partito) hanno messo in campo un’organizzazione capillare, preparata per tempo e funzionante, rispetto alla quale le altre candidature più o meno attrezzate non hanno potuto tenere il passo (rimango convinto che andrebbe vietato il finanziamento ai candidati da parte di imprenditori e gruppi privati per ovvie ragioni; è abitudine ormai quella di finanziare tutti i principali candidati);
  • dopo la rocambolesca e inaspettata vittoria alle elezioni comunali, e nel mentre di una deludente performance amministrativa, la Lega e la coppia Liris-Biondi (chiamati Fratelli d’Italia) hanno saputo intrecciare una relazione chiaramente di interesse con apparati importanti e potenti della città (molti dei quali saltati dal centrosinistra alla destra senza colpo ferire e dignità mostrare); non solo, hanno saputo anche connettersi, in scia nazionale, con gli umori di tanta parte dell’opinione pubblica, capitalizzando il vento politico che soffia nel paese e facendo dimenticare 20 mesi di sostanziale immobilismo;
  • il Movimento Cinque Stelle si è rivelato di nuovo inesistente nel capoluogo di Regione, non avendo espresso neanche candidati locali;
  • il centrosinistra ha dimostrato nonostante tutto di tenere, di essere radicato e riconosciuto e non può non tornare alla mente il disastro delle elezioni amministrative del 2017: il diniego di Giovanni Lolli alla candidatura a Sindaco, lo scontro fratricida tra due esponenti dello stesso partito alle primarie, la rottura della coalizione che aveva governato per 10 anni (e chi scrive si assume in toto la sua parte di responsabilità, la sua parte; sarebbe il caso che altri si assumessero la propria…), lo spappolamento di tutti i partiti, piccoli e grandi, già prima del voto, il mancato sostegno al candidato sindaco durante il ballottaggio, la freddezza del candidato sindaco durante il ballottaggio e altro ancora.

In conclusione quello che è accaduto in Abruzzo è semplicemente il risultato di un processo di autodistruzione del fronte democratico e progressista, allontanatosi dalle proprie radici, illusosi di essere élite intoccabile e infine regredito a guerre fratricide, che non poteva che portare a quanto accaduto; a L’Aquila, in Italia, in Europa.

Ultima modifica il Giovedì, 14 Febbraio 2019 17:25

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