Sta prevalendo la linea del non voto, almeno così si possono interpretare gli ultimi accadimenti.
La presidente del Senato, Elisabetta Casellati, l'aveva detto: "La convocazione dell'Assemblea, nell'ipotesi in cui il calendario dei lavori non venga approvato in capigruppo all'unanimità, non costituisce forzatura alcuna, ma esclusivamente l'applicazione del regolamento; l'art. 55, comma 3, prevede infatti che sulle proposte di modifica del calendario decida esclusivamente l'Assemblea, che è sovrana. Non il presidente, dunque", aveva aggiunto, sottolineando che il "rispetto delle regole" è a "garanzia" dei cittadini.
Così è andata.
Una netta spaccatura si è registrata nella conferenza dei capigruppo a palazzo Madama. Dopo poco meno di due ore, i presidenti dei vari gruppi non hanno raggiunto l'unanimità sulla data in cui il premier Giuseppe Conte renderà le sue comunicazioni all'Aula. M5s, Pd, Misto e Autonomie hanno indicato la data del 20 agosto, Lega, FI e FdI hanno chiesto che le comunicazioni del premier si svolgano mercoledì 14, dopo le commemorazioni del crollo del Ponte di Genova. Non essendoci stata l'unanimità, la palla passa ora all'Assemblea, che domani alle 18 deciderà il calendario definitivo a maggioranza. "E' una cosa gravissima - hanno commentato a caldo il capogruppo del Pd Andrea Marcucci e quella di LeU Loredana De Petris - perché non permetterà a tutti i senatori di essere presenti".
Sta di fatto che le forze di centrodestra difficilmente avranno i numeri per anticipare le comunicazioni di Conte; sulla carta, l'asse M5S-Pd, infatti, avrebbe 158 voti (107 dei pentastellati e 51 dei democratici) cui aggiungere i 4 senatori di LeU e una decina del gruppo Misto; tuttavia, domani dovrebbero essere presenti più o meno 145 senatori. Il centrodestra si fermerebbe comunque a 136, cui potrebbero aggiungersi i 2 voti del Maie.
A quanto si apprende, l'informativa di Conte (cui potrebbe anche seguire un voto su una risoluzione che riprende il testo della stessa) farebbe decadere le mozioni già depositate al Senato, quella del Pd e quella della Lega. Dopodichè, il premier potrebbe recarsi al Quirinale per formalizzare la crisi, così da togliere a Salvini l'arma della sfiducia. A quel punto, il Presidente della Repubblica avrebbe la possibilità di aprire le consultazioni per un governo tecnico.
E circola insistemente il nome di Raffaele Cantone come Presidente del Consiglio di un 'esecutivo della Repubblica', un profilo che metterebbe d'accordo M5S, PD, LeU, il cuore della 'inedita' maggiorazna che si starebbe configurando.
La decisione della conferenza dei capigruppo è arrivata al culmine di una giornata piuttosto movimentata.
Il Movimento 5 Stelle ha riunito i gruppi parlamentari: stando a quanto riferito, nel corso del vertice sarebbe prevalsa la linea del confronto aperto ma più che per un esecutivo di transizione su un esecutivo di largo respiro; in molti, tra deputati e senatori, non intendono andare al voto e hanno ribadito la necessità di proseguire il dialogo con le forze che non vogliono elezioni anticipate. A fine assemblea, è stato il capo politico Luigi Di Maio a fare il punto su timing e linea da seguire: "Qui nessuno vuole sedersi al tavolo con Matteo Renzi. Mezze aperture, chiusura: il M5S vuole una cosa, che si apra al taglio dei parlamentari. Non ci sono giochi di palazzo da fare, addirittura sento parlare di nuovi gruppi. I gruppi si presentano alle elezioni". In precedenza, Di Maio aveva fatto sapere che chiederà le dimissioni dei ministri della Lega, forse per prevenire la tentazione di Matteo Salvini di ritirare i suoi ministri per accelerare la sfiducia. "La Lega faccia dimettere tutti i suoi ministri da questo governo - le parole di Di Maio - I ministri della Lega dovrebbero votare contro se stessi. Noi saremo al fianco di Giuseppe Conte. Ha il diritto di presentarsi alle Camere per dire quello che abbiamo fatto, quello che potevamo fare e che non faremo. Ci devono guardare negli occhi".
Dunque, l'affondo: "Salvini non ha tradito il movimento o Conte, ma milioni di italiani a cui per 14 mesi aveva detto che non guardava i sondaggi. Ha tradito il contratto di governo per i suoi interessi". A questo punto, "Mattarella è l'unico che decide quando e se andare a votare - ha proseguito il leader M5S - Già è surreale che ci debba essere crisi a Ferragosto. Ai cittadini viene scaricata addosso la preoccupazione non delle elezioni ma di una crisi che colpirà misure per loro importanti. Un governo non si insedierebbe prima di dicembre: salterebbe tutto quello che abbiamo fatto, quindi reddito di cittadinanza, quota 100 e così via. Stiamo parlando del futuro del nostro Paese".
Intanto, si è parlato con insistenza, per tutto il giorno, di una possibile scissione in seno al Partito Democratico: Matteo Renzi, che ha aperto esplicitamente ad un 'governo della Repubblica', starebbe pensando alla rottura facendo confluire i suoi parlamentari, la maggioranza nei gruppi dem, in un nuovo contenitore, 'Azione civile'. Resta da capire che cosa intenda fare il segretario Nicola Zingaretti: fino a ieri, la posizione era di esplicita avversione ad un governo tecnico, o del presidente, ma nelle ultime ore si sta facendo largo l'ipotesi di un accordo della segreteria dem con i 5 Stelle, e non è un caso che Beppe Grillo, come Luigi Di Maio, abbia chiuso le porte ad una alleanza con i renziani, "avvoltoi tentatori", e non col PD, tendendo di fatto una mano proprio a Zingaretti che, si sussurra, in realtà su un governo istituzionale potrebbe pure convergere.