Le parole pronunciate dal sindaco Biondi in occasione della commemorazione dei Nove Martiri aquilani "sono senza anima, sono neutre, sembrano asettiche, e finiscono per essere non pienamente rispettose verso il sacrificio di quei nostri giovani eroi".
A scriverlo, in una nota, è il presidente provinciale dell'Anpi L'Aquila Fulvio Angelini, che aggiunge: "E' bene dire che vittime e carnefici non possono essere equiparati. Non si possono mettere sullo stesso piano i ragazzi che morirono per liberare il paese con gli occupanti nazisti e i fascisti loro complici".
La nota completa
Intervenendo finalmente a una cerimonia fondativa della storia democratica dell’Aquila e del Paese, lunedì il sindaco ha rivolto un saluto agli studenti sul luogo dove furono trucidati i Nove Martiri.
Le parole che ha scelto per stimolare giustamente le riflessioni degli alunni presenti hanno però, a mio modesto avviso, un limite di fondo: appaiono senza anima, sono neutre, sembrano asettiche, e finiscono per essere non pienamente rispettose verso il sacrificio di quei nostri giovani eroi.
I Nove Martiri aquilani non “trovarono la morte” per caso: furono fucilati dai nazi-fascisti solo perché volevano un Paese libero dalla folle schiavitù hitleriana.
L’appello sacrosanto - e che condivido - a costruire il futuro sulla memoria condivisa della nostra storia, dunque, non può fondarsi sulla neutralità, l’equidistanza, l’ipocrisia.
Proprio per evitare strumentalizzazioni, è bene dire che vittime e carnefici non possono essere equiparati. Non si possono mettere sullo stesso piano i ragazzi che morirono per liberare il paese con gli occupanti nazisti e i fascisti loro complici.
Ai giovani non si può offrire una visione opaca, ambigua, vaga o ipocrita della storia, non si può raccontare che era indifferente stare da una parte o dall’altra.
Ai giovani– proprio perché se ne facciano una propria corretta idea – bisogna offrire le ragioni vere e limpide di quella che è stata la posta in gioco in quel terribile tornante storico di 76 anni fa.
E quando nel ’43 fu chiaro che la posta in gioco erano la pace, la liberazione dall’occupazione nazista, la conquista di una patria libera, giusta e democratica, tutti coloro che ebbero il coraggio di schierarsi, di combattere, di rischiare e perdere la vita, loro ebbero ragione.
A loro dobbiamo la nostra vita libera di oggi e a loro deve andare il nostro riconoscimento perenne.
La memoria condivisa – un valore su cui l’Italia è ancora indietro – non è certo revisionismo e confusione di ruoli. Al contrario essa può nascere solo conoscendo i valori e i comportamenti di chi agì da una parte e dall’altra.
Troviamo un esempio di memoria condivisa in una nazione come la Germania che - facendo i conti con la propria storia e riconoscendo i crimini del nazismo - ha maturato una cultura istituzionale, politica e civile seriamente antinazista, simboleggiata a Berlino dal Memoriale della Shoah.
Come ci ricorda la Fondazione Konrad Adenauer: la cultura della memoria tedesca acquisisce un carattere esemplare per l’Europa. Essa è un sapere collettivo condiviso sul passato su cui un gruppo fonda la consapevolezza dell’unità e della peculiarità, offre il patrimonio comune nella cui cura si consolida l’immagine di se stessa. Essa è storia nella memoria del presente (A. Assmann).
Per questo l’archivio collettivo del sapere del XX° secolo comprende la memoria della guerra mondiale e dell’Olocausto, la storia delle dittature tedesche ed europee. Ciò che viene mandato a memoria non sono soltanto i crimini commessi dai tedeschi, ma anche i momenti di gioia, come ad esempio la riunificazione del Paese”.
Conoscere e rispettare la storia, senza confondere le carte: questo è il lievito per non ripetere gli errori tragici del passato e costruire un futuro migliore.
“Pacificare il paese nel rispetto delle idee e delle culture altre” come giustamente chiede il sindaco, è il grande risultato della vittoria dell’antifascismo, del patriottismo della Resistenza e della democrazia conquistata col sangue della lotta di Liberazione e delle forze alleate.
E come tale deve essere un patrimonio di tutti.
Questo deve essere ancora e sempre ricordato e insegnato ai giovani di oggi e di domani: affinché siano pronti a scegliere da che parte stare se dovessero riaffacciarsi pericoli di odio e intolleranza, di razzismo e violenza, di guerra e oppressione.