Ridare importanza ai circoli e al lavoro dei militanti, per auscultare gli umori non solo della base ma dei territori; uscire dalla dimensione puramente comunicativa dei social per tornare a immergersi nella realtà, nei luoghi della marginalità sociale; restituire centralità alle regole, al rispetto dello statuto e del codice etico, per impedire che il partito si riduca a essere solo “un marchio o un taxi al servizio di qualche notabile”.
Sono le linee guida che segneranno il mandato del nuovo segretario del Pd Abruzzo, Michele Fina, che ieri è intervenuto alla seconda assemblea regionale dei segretari dei circoli del partito che si è tenuta all'Aquila.
“Investiamo nel partito e nella sua riorganizzazione” dice Fina, che ha scelto, come luogo dell’incontro - al quale hanno partecipato anche l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti e un redivivo Luciano D’Alfonso - non la sede del partito, qualche auditorium o la sala conferenze di qualche albergo, ma la struttura polivalente situata nel Progetto Case di Roio.
Fina, perché questa scelta?
Siamo voluti venire in un luogo simbolo per L’Aquila, il Progetto Case, che rappresenta lo spaccato di una tragedia infinita che ancora deve raccogliere una risposta completa da parte delle istituzioni. Scegliamo di stare dove il Pd deve stare, cioè nei luoghi dell’esclusione, della distanza, della difficoltà, del dolore, tra le persone che soffrono questa esclusione e devono trovare nel nostro partito uno strumento di riscatto e emancipazione. Abbiamo per troppo tempo dimenticato questa funzione, ci siamo rinchiusi in un’azione di governo autoreferenziale.
Che significato ha la presenza dell’ex ministro Pinotti in un’assemblea di segretari dei circoli locali?
I circoli sono luoghi essenziali, che erano stati un po’ abbandonati. Li stiamo ripensando, ricostruendo e riattivando, perché pensiamo che debbano essere luoghi di confronto costante con i cittadini e i nostri amministratori. Sono i terminali che devono aiutarci a raccogliere le sollecitazioni che vengono dalla società e a trasmetterle in modo efficace senza affidarci solo ai meccanismi della comunicazione, a cui abbiamo attribuito troppo spesso un valore sostitutivo della comunità. Quest’ultima, invece, rimane insostituibile, perché è fatta di migliaia di uomini, donne, iscritti. In questi giorni è in corso una campagna nazionale di ascolto e apertura da parte del Pd, stanno arrivando tante richieste di iscrizione e vogliamo dare a queste richieste contenuti politici. La presenza dell’ex ministro Roberta Pinotti è importante affinché la voce che viene dai territori possa arrivare fino al centro dell’attività del partito. Per questo, anche nelle altre iniziative che abbiamo fatto, abbiamo voluto la presenza di esponenti nazionali del Pd. La nuova sfida di governo deve significare, per il nostro territorio, la presenza costante di ministri e sottosegretari, affinché possano raccogliere problematiche e esigenze della nostra terra e portarle lì dove non hanno avuto accesso, ossia nell’azione parlamentare e di governo.
Quali sono le differenze rispetto al passato?
Nel passato ci siamo sciolti nell’attività di governo. Il partito si identificava con i ministri, i sottosegretari e la rete di tutti coloro che giravano loro intorno ma per il resto era un partito abbandonato. Noi vogliamo rimettere al centro il partito inteso come corpo intermedio e comunità, e far sì che l’azione di governo sia incardinata in questa attività politica. Le due cose devono tenersi insieme.
Si torna al partito “pesante” del passato? E’ un addio al partito liquido?
Mi appassiona molto la conoscenza delle forme politiche del passato, le ho approfondite molto e proprio per questo penso che il nostro non sia un ritorno al partito pesante. Sarebbe velleitario e anche sbagliato pensare di rispolverare quel modello. Il partito pesante, burocratico, aveva la tendenza a sostituirsi allo Stato, non a essere corpo intermedio che si muove nella fluidità della società trasferendone le sollecitazioni alle istituzioni. Quello che ho in mente io, invece, è un partito organizzato, che interpreti un modo nuovo di stare insieme, di essere e fare rete, di usare gli strumenti di comunicazione. Un partito organizzato non è un partito fatto di soli annunci e comunicati stampa, di tesserati che non esistono, di amministratori senza spirito di appartenenza. Quando si ha un partito organizzato si può affrontare qualsiasi tipo di innovazione. Noi siamo pronti a affrontare la sfida nazionale di ripensare completamente l’organizzazione interna del Pd, anzi vogliamo farci promotori di questa innovazione. Il Pd non può ridursi a essere solo un taxi o un marchio al servizio di questo o quell’altro notabile.
Sono pensabili alleanze a livello locale tra Pd e Cinque Stelle anche in Abruzzo in vista delle prossime tornate elettorali?
Sto osservando con molta attenzione sia l’esperienza di governo nazionale sia gli incontri che si stanno sperimentando su alcuni territori che andranno alle elezioni. L’Abruzzo, pur non avendo l’urgenza di scadenze elettorali ravvicinate a livello regionale, dovrà raccogliere i segnali che verranno da queste esperienze. Sono convinto che dovremo misurarci sulle cose. Il M5S, anche in Abruzzo, ha raccolto istanze che esistono e le ha tradotte a suo modo, secondo noi per alcuni versi in modo positivo e per altri negativo. Ma senza dubbio le ha raccolte, soprattutto sue due temi: la trasparenza e la sobrietà amministrativa e la transizione ecologica dell’economia. Su tali argomenti vogliamo misurarci, perché abbiamo delle idee. Partiamo da posizioni diverse ma non è detto che anche grazie all’esperienza di governo nazionale e alle esperienze locali che stanno prendendo forma non potremo trovare un punto di incontro. Io ci lavorerò molto, partendo dai temi e dalle suggestioni che raccoglieremo nella società.
Italia Viva e Cambiamo sono due tentativi diversi ma speculari di ricomporre un fronte neocentrista dei moderati?
Ho già detto che sia la scelta di Renzi che quella di Calenda mi sembrano un errore. Credo che il futuro della politica sia nei grandi partiti e non nel ritorno a una parcellizzazione. Un sistema politico frammentato è un sistema egoista, corporativo, che ha difficoltà a pensare oltre i propri interessi. Abbiamo bisogno di un grande partito che rappresenti la società in movimento e le fasce più deboli. Sui moderati è giusto riflettere. Io sono convinto che il Pd debba rimanere la forza nata dalle grandi tradizioni popolari di questo Paese. Lavoreremo molto sul contributo del cattolicesimo democratico, oggi rinnovato da Papa Francesco, che su alcuni temi, come ambiente, migranti e lavoro, sta lanciando delle sfide che guardano molto avanti. Mi sembra invece un passo indietro l’idea che nel nostro Paese possa esistere un moderatismo politico, che non fa i conti con la crisi e le difficoltà delle persone. Basta parlare con i ceti medi per capire che è lì si annida la peggiore rabbia e dunque anche la tendenza all’estremismo. Dobbiamo rispondere a quella rabbia con scelte radicali, che parlino a quelle esigenze frustrate, non dicendo che va tutto bene e che i problemi non esistono. Questo tipo di narrazione spinge i ceti medi verso gli estremi, come abbiamo visto. Siamo di fronte alla peggiore destra della storia repubblicana. C’è bisogno di grande compattezza del centrosinistra, di tutto il centrosinistra. Io continuerò a dialogare con tutte le parti, non solo quelle politiche ma anche quelle sociali, per costruire una coalizione ampia, quella che abbiamo chiamato un’alleanza costituzionale. Abbiamo voluto costruire un grande partito perché avevamo capito che tanti partiti coalizzati potevano forse vincere ma avevano poi difficoltà a governare. C’è chi pensa di tornare indietro. Noi invece vogliamo andare avanti, naturalmente rimanendo un partito plurale, rispettoso di tutte le sensibilità, che devono essere tenute insieme in modo inclusivo. Lo sforzo che sta facendo Zingaretti, da questo punto di vista, mi sembra encomiabile.
Tra pochi giorni sarà approvata la legge di Stabilità. Quali sono, secondo voi, i temi più importanti sui quali il governo dovrà dare delle risposte?
L’Abruzzo dovrà stare dentro la sfida ecologica. Il sottosegretario Misiani ha indicato un fondo di 50 miliardi per gli investimenti sulla green economy, il commissario europeo Gentiloni ha parlato addirittura di mille miliardi. L’Abruzzo ha una vocazione naturale a interpretare questo elemento di innovazione. Siamo una regione che ospita già una manifattura avanzata, dovremo essere il luogo in cui si produrrà un lavoro nuovo, di qualità. E poi c’è la sfida della ricostruzione. Abbiamo già chiesto al governo che ci sia maggior determinazione, sia rispetto alla ricostruzione che si deve ancora avviare nella provincia di Teramo sia verso quella che deve completarsi all’Aquila. Le richieste dovranno trovare non solo misure legislative ma anche anche una riorganizzazione delle strutture che si occupano di prevenzione e risposta alle emergenze. C’è poi il tema degli assi di sviluppo, come quello Civitaveccha-Ortona. Vogliamo restituire all’Abruzzo una centralità nel reticolo europeo dei corridoi di comunicazione e trasporto merci. Costituiremo inoltre un pool di attenzione per le vertenze occupazionali, chiederemo al ministro dello Sviluppo di avere un’attenzione diversa dal passato. Ci sono naturalmente molte altre sfide e ognuna dovrà avere un’attenzione particolare da parte del governo. E la otterremo proprio perché riusciremo a costruire una comunità che raccoglie queste esigenze dai cittadini e le trasferisce alle istituzioni. Non le lasceremo al caso o all’eventualità che un ministro o un sottosegretario se ne accorgano. Faremo in modo che la nostra comunità, fatta da centinaia di migliaia di persone, sia il vettore di queste idee. Per questo reinvestiamo nel partito e nella sua riorganizzazione.
Come giudica questi primi 6 mesi della giunta Marsilio, reduce dalla bufera generata dal caso Bellachioma?
Del tutto insufficienti e subalterni. Da oggi la spilletta che porteremo come democratici abruzzesi sarà un piccolo guerriero di Capestrano con i colori della bandiera italiana. Perché la triste vicenda della corsa all’approvazione della richiesta di referendum per la legge elettorale nazionale, a cui ha partecipato la Regione Abruzzo, fa capire plasticamente che cosa abbiamo e che cosa ci dobbiamo aspettare ancor più per il futuro: una classe dirigente locale al servizio di Salvini. Il che, nello specifico, vuol dire anche al servizio di un progetto di secessione mascherato da autonomia che i neo-leghisti abruzzesi, mostrando orgogliosamente la spilla leghista di Alberto da Giussano, mostrano di voler supinamente subire. Sulla vicenda Bellachioma stenderei un velo pietoso.