Sono tre le date che hanno segnato i giorni che stiamo vivendo: "dicembre 1989" col collasso definitivo del socialismo sovietico; "settembre 2008" che, con il fallimento della Lehman Brothers, dà avvio alla più grande crisi del capitalismo dell'Occidente; "marzo 2018" che segna la più micidiale sconfitta elettorale della sinistra italiana nel dopoguerra.
Il presente, in Italia e nel mondo, è tuttora dominato dagli "effetti disordinanti" di questi avvenimenti e l'accumulo di disordine sembra quasi inibire oggi, specie a sinistra, una visione razionale della politica. In tale disordine, la nuova destra ha un gioco più facile: l’America first sembra diventato lo scudo dietro cui si nasconde la destra di ogni angolo del mondo.
Allo spazio chiuso della destra, la sinistra non può che rispondere con un'idea di spazio aperto ma governabile. Oggi lo spazio potenzialmente governabile per la sinistra italiana può essere spazio europeo, uno spazio politico però in gran parte da conquistare e organizzare. Ciò è possibile solo reinterpretando la crisi innescata dal fallimento della Lehman, anche come straordinaria dinamica trasformativa che ha il suo motore nella rivoluzione informatica - per i più, la più potente e pervasiva rivoluzione tecnologica della storia - che distorce, confonde, e persino acceca la capacità di lettura delle contraddizioni che il suo avanzare pure continuamente produce. Per questo è necessario un “riarmo teorico” della sinistra sociale e politica.
E’ su queste traiettorie che si muove il libro “Neosocialismo” di Luigi Agostini, già storico dirigente della Cgil, che è stato presentato venerdì pomeriggio a L’Aquila, nella sala Rivera di Palazzo Fibbioni, dal circolo cittadino di Articolo 1, alla presenza del coordinatore nazionale Arturo Scotto. “La sinistra non ha inquadrato il fatto più importante del nostro tempo, la rivoluzione informatica, cosa implica in termini di libertà, sicurezza e politica, cosa significa anche in termini di potenzialità”, ha spiegato Agostini ai nostri microfoni; “non è stata in grado di prendere le misure a questa terza marca di capitalismo che ha cambiato tutto, a partire dal terreno del confronto politico. Le nuove tecnologie possono essere utilizzate per ampliare gli spazi di libertà dell’individuo, dei gruppi sociali, ma possono essere anche utilizzate come strumento per un ulteriore asservimento, una ulteriore etero direzione delle persone, dei gruppi, delle associazioni. Un sociologo inglese sostiene che è necessario fare oggi ciò che fecero gli inglesi nel 1215, e cioè definire di una nuova Magna Carta dei diritti dell’individuo”.
D’altra parte, “le nuove tecnologie penetrano nella condizione anche minuta, individuale, di ciascuno di noi: è urgente intervenire se non vogliamo che le grandi compagnie, le grandi piattaforme come vengono chiamate oggi, possano decidere per noi sulla sanità, sull’istruzione, sulla storia persino sulla democrazia; è già accaduto, attenzione, con Cambridge Analytica che ha venduto 80-90 milioni di profili a Donald Trump falsando il verdetto elettorale delle presidenziali negli Stati Uniti”.
Agostini lo dice chiaramente: “i nostri dati sono la vera posta in gioco”.
E in questo senso, ci dobbiamo chiedere se “debbano essere affidati a società private, che possono utilizzarli costruendoci sopra enormi fortune, o rimanere, invece, possesso delle singole persone, dei singoli individui. E’ la grande questione del nostro tempo e la sinistra deve battere un colpo, non può restare al capitalismo di ieri”.
Nei mesi scorsi, Fabrizio Barca – cofondatore del Forum Disuguaglianze e diversità – in una intervista ha sottolineato come gli squilibri del nostro tempo non siano scritti nella tecnologia, anzi. “La tecnologia dell’informazione ha un potenziale diffusivo della conoscenza e se ha concorso a determinare una fortissima concentrazione di potere - parliamo delle “nuove” Sette Sorelle digitali come Facebook, Amazon, Google&Co. – è perché sono state fatte scelte politiche sbagliate. Non abbiamo governato internet e abbiamo di fatto lasciato che diventasse proprietà delle corporation. Non abbiamo fatto politiche di regolazione concorrenziale delle corporation stesse, tollerando con Zuckerberg quello che non tolleravamo nel Novecento con JP Morgan. Non abbiamo utilizzato il potere pubblico di contrastare il monopolio facendo imprese pubbliche, che storicamente sono uno strumento di concorrenza delle imprese private. E, da ultimo, abbiamo avallato l’esasperazione dei diritti di proprietà intellettuale, consentendo che si sbilanciasse l’equilibrio delicato tra la proprietà privata della conoscenza e la possibilità di renderla disponibile a tutti”.
Barca mette in luce uno degli alibi passati anche dentro al centrosinistra e alla sinistra negli ultimi trent’anni, e cioè che non ci fosse granché da fare perché l’unico livello era internazionale, e troppo potente per le loro forze; una motivazione falsa, che spiega la moderazione suicida di molti partiti di sinistra in giro per l’Europa, in alcuni casi persino più moderati dei liberali. E le ragioni sono due, per Barca: “La prima è culturale: 30 anni fa, non ieri, molti partiti socialdemocratici hanno comprato l’ideologia del ‘Non c’è alternativa: il capitalismo è uno solo, dobbiamo lavorare ai margini per renderlo un po’ meno cattivo’. E se si pensa che non ci siano più i margini per lavorare sui meccanismi di formazione della ricchezza, non lo faccio. E non per interesse, ma perché mancano i valori. La seconda ragione ha a che vedere con le classi dirigenti: quelle venute su in questi 30 anni sono state selezionate su questo credo, senza più la convinzione di un cambiamento che toccasse i sentimenti delle persone. La maggior parte dei soggetti di questi partiti non è capace di avere una visione. Trent’anni fa, insomma, c’era un problema di credo; oggi il problema non è solo il credo ma anche la capacità della classe dirigente”.
Qui sta il nodo.
E lo ribadisce anche Agostini: “Persino Henry Kissinger, un conservatore, dice che per la prima volta, nella storia dell’umanità, avviene una cosa di questo genere: prima le cose si fanno e poi si pensano; in passato, prima si pensavano e poi si facevano. Questo cambia le forme di intelligenza, cambia le forme di convivenza, cambia le relazioni tra gli uomini, il modo di lavorare, il rapporto con le macchine. E’ una rivoluzione che va ragionata, per capire come e dove ci porta. Si possono creare ulteriori servitù, in particolare nei rapporti di lavoro, oppure nuovi spazi di libertà. Umberto Eco diceva che la sinistra si è divisa tra apocalittici e integrati: noi dobbiamo fare una analisi critica, prendere le misure, e definire una linea politica in nome degli antichi valori del socialismo”.
D’altra parte, le disuguaglianze vengono da situazioni concrete, “non da Marte: quando gran parte delle aziende comprano e vendono le proprie azioni, alla cui dinamica sono legate le retribuzioni dei manager e degli azionisti, gli investimenti finiscono in questo gioco e vengono tagliati fuori gli aspetti produttivi. Siamo nel tempo del capitalismo della finanza: le diseguaglianze derivano da fatti concreti, da meccanismi fiscali, modi di funzionamento del mercato. In questo scenario, la rivoluzione informatica mette a disposizione di partiti, organizzazioni, dei Parlamenti, una potenza di calcolo che renderebbe possibile, finalmente, tornare a politiche di programmazione, persino di pianificazione, così che l’uomo torni ad essere padrone della propria storia. Economia al servizio della politica, e non il contrario come avviene oggi. E’ questa la sfida”, sottolinea Luigi Agostini.
Una sfida che chiama in causa la sinistra, evidentemente. “Il lavoro si è trasformato profondamente, il peso e il potere dell’algoritmo non detta soltanto i ritmi della fatica ma l’articolazione dei rapporti di produzione, all’interno di una fabbrica, di un paese, di un Continente come l’Europa. Occorre che la politica se ne occupi, e non lasci solo lo spazio al mercato che utilizza i big data per i profitti di grandi multinazionali”, la riflessione di Arturo Scotto. Che non si sottrae poi ad una riflessione su ciò che è accaduto in Italia negli ultimi mesi e sulla scelta di Articolo 1 di sostenere il governo Conte bis: “In questo paese è successo che un tipo, che ha fatto il Ministro degli Interni per 14 mesi, ha chiesto per sé pieni poteri. La reazione del Parlamento è stata giusta, a difesa non soltanto delle proprie prerogative ma di una idea di democrazia parlamentare che è il pilastro su cui regge la Costituzione repubblicana nel nostro paese. Ora, la risposta è tutta da costruire; c’è un governo, ed i primi segnali sono in controtendenza: scompare la flat tax e ritorna la progressività fiscale, scompare una idea proprietaria delle istituzioni e ritorna la dialettica fra le forze politiche, scompare il cinismo terribile con cui si è affrontato il grande nodo storico delle migrazioni e si mette in campo una gestione più seria, più ordinata, e soprattutto capace di dire che non si possono lasciare delle persone affogare in mare”.
Ritornano soprattutto politiche sociali attive, aggiunge Scotto, “sia sul piano dei servizi, con l’incremento del fondo famiglia, a partire dagli asili nido, sia sul piano del potere d’acquisto delle buste paga, ancora troppo basso rispetto al resto d’Europa, sia sul piano del rilancio della sanità pubblica: il ministro Francesco Speranza, oltre ad aver voluto l’abolizione del superticket, ha messo in campo un cospicuo, robusto piano di investimenti: 2 miliardi in più rispetto allo scorso anno sul fondo sanitario nazionale e 2 miliardi in più sull’edilizia sanitaria”.
Basta? “Certamente no. Occorre che questa maggioranza da emergenziale diventi politica, in grado di articolare un progetto di governo del paese che duri negli anni e che abbia un riflesso negli Enti locali per una nuova alleanza dei progressisti”.
E’ su questo che sta lavorando Articolo 1, sottolinea Scotto: “abbiamo deciso di fare la nostra strada, di ricostruire una sinistra politica e del lavoro. Basta Articolo 1? Assolutamente no. Tuttavia, siamo in campo per riorganizzare e rafforzare la nostra posizione. Poniamo una domanda a tutti, a partire dal Partito Democratico: il campo frantumato della sinistra, così com’è oggi, è sufficiente? Il Pd ha la cassetta degli attrezzi per reagire alla crisi democratica del nostro paese, ha gli strumenti culturali, politici e organizzativi? Noi crediamo sia il tempo di riaprire una grande discussione di massa tra partiti, associazioni, movimenti, sindacati per provare a mettere insieme una forza che rappresenti, innanzitutto, il lavoro che cambia e che si riposizioni sulla domanda che pone il libro di Luigi Agostini: qual è la cultura politica che, ancora oggi, ha le chiavi per interpretare il mondo? Persino l’Economist, un giornale liberale, sostiene che oggi sia il tempo del socialismo. Bisogna andare verso la costruzione di una forza socialista, critica col capitalismo di oggi, che metta al centro la questione ambientale e che rappresenti gli ultimi di questo paese, che sono i lavoratori”.