Era il 5 novembre, sembra una vita fa; l'assessore alla Salute Nicoletta Verì, commentando l'inserimento dell'Abruzzo in 'zona gialla', quella a rischio moderato, per intenderci, sottolineava come le azioni messe in campo dal governo regionale, insieme al Dipartimento Sanità e a tutte le Asl, si fossero rivelate "efficaci a far fronte alla seconda ondata della pandemia".
Qualche giorno prima il governatore Marco Marsilio aveva spiegato che "i dati diffusi dai vari istituti competenti, tra tutti il Ministero della Salute e l’ISS, sulla diffusione e l’andamento dell’epidemia", mostravano come l'Abruzzo stesse "resistendo meglio di molte altre Regioni; sono tutti indicatori - aveva chiarito - che mostrano una Regione capace di intercettare precocemente i contagiati, riducendo i casi gravi che necessitano di cure ad alta intensità e circoscrivendo i focolai attivi".
In dieci giorni l'Abruzzo è scivolata prima in 'zona arancione' e, da domani, al massimo da mercoledì, si ritroverà in 'zona rossa'.
D'altra parte, Marsilio aveva chiarito sabato sera che la pressione sugli ospedali si stava facendo di giorno in giorno più preoccupante; sia i posti di terapia intensiva che i posti letti complessivi dedicati al Covid, infatti, 'ballano' intorno alla soglia di allarme: 29% di occupazione sul 30% fissato come limite di rischio per le Terapie intesive, 41% di occupazione contro il 40% di soglia per i complessivi. "Si tratta di dati che impongono l'adozione di misure ulteriori rispetto a quelle previste dal Governo per mezzo dei DPCM", aveva anticipato il governatore preparando il terreno alla firma di ordinanze più restrittive.
Non è un mistero che la gestione dell'emergenza, in particolare nell'aquilano, sia completamente sfuggita di mano: saltato il tracciamento, si fanno pochi tamponi e con risultati che arrivano dopo diversi giorni; gli ospedali di L'Aquila, Sulmona e Avezzano sono al collasso e la sanità territoriale non sta funzionando come dovrebbe. Tanto è vero che il Comitato tecnico scientifico regionale, riunito ieri, ha ritenuto si debba operare una stretta decisa per contenere il contagio da coronavirus.
Oltre i numeri, è l'incapacità di affrontare l'ondata pandemica nelle aree interne che sta spingendo la Regione verso la 'zona rossa'; questa è la verità. E ci sono delle responsabilità precise, in questo senso.
Una situazione che sta provocando delle spaccature, tanto nell'organismo tecnico quanto in assise politica.
La maggioranza dei professionisti indicati nel Comitato tecnico scientifico hanno invocato, oltre alla misure già previste per le 'zone rosse' dall'ultimo dpcm del governo, anche la chiusura totale dell’attività scolastica, per ogni ordine e grado, non prevista dall'esecutivo che, per la zone in lockdown, impone la chiusura degli istituti eccezion fatta per le scuole dell'infanzia, le elementari e le classi prime delle medie; una minoranza ha provato a battersi contro l'ipotesi di chiusura totale, inutilmente.
La decisione, però, è di competenza politica e, per questo, ieri sera Marsilio ha convocato gli assessori per informarli dell'esito della riunione del Comitato tecnico scientifico. Di lì, il post su facebook del vice presidente Emanuele Imprudente (Lega) che, di fatto, ha anticipato i provvedimenti formali ancora da adottare dando notizia che sì, ciò che stavano scrivendo i giornali regionali era vero: le scuole sarebbero state chiuse, tutte, di ogni ordine e grado.
Ora, è evidente che in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo non si dovrebbero annunciare ordinanze così sensibili prima che vengano assunte in modo formale; d'altra parte, Marsilio in giornata dovrà confrontarsi con sindaci, amministratori, categorie, assocazioni e parti sociali. Mai come in queste situazioni, l'amministrazione dovrebbe parlare per atti.
Tuttavia, la 'fuga in avanti' di Imprudente, oltre ad aver scatenato una ridda di polemiche, ha anche squarciato il velo sulle tensioni che stanno attraversando la maggioranza di centrodestra. "Bisogna saper pesare le parole nei momenti difficili", l'affondo del presidente del Consiglio regionale, Lorenzo Sospiri (Forza Italia) che, poi, ha messo nero su bianco la sua posizione: "Si chiude dove serve; il dpcm del Governo prevede in zona rossa che le scuole materne, dell’infanzia e fino alla 1a media debbano restare aperte e così deve essere. Se ci sono zone dell’Abruzzo che hanno situazioni talmente emergenziali da non poter permettere neanche questo, le scuole si chiudano lì". Chiaro il riferimento alla provincia dell'Aquila.
In queste ore, Sospiri si sta ponendo a difesa delle attività produttive dell'area costiera che subirebbero un grave danno dalla chiusura di tutte le scuole; in sostanza, nel pescarese ci si chiede il motivo per cui si dovrebbe inasprire la zona rossa su tutto il territorio regionale per le criticità che si riscontrano in altre province. Questo è il punto. Sulla stessa linea di Sospiri, non a caso, c'è anche il capogruppo di Forza Italia Mauro Febbo.
E' altrettanto chiaro che dichiarare la 'zona rossa' soltanto per alcuni territori specifici, ipotesi che è stata esclusa, o chiudere gli istituti di ogni ordine e grado soltanto in alcune province lasciando aperte le scuole dell'infanzia, le elementari e le prime classi delle medie nelle altre aree, significherebbe 'marcare' una distanza tra territori nella gestione dell'emergenza. Ecco spiegato il motivo per cui gli esponenti politici delle aree interne spingono per l'inasprimento generalizzato dei provvedimenti.
Una soluzione andrà individuata nelle prossime ore.
Certo è che l'evolversi della situazione sta mostrando una Regione di nuovo spaccata, col fronte politico di maggioranza incapace di disegnare un processo virtuoso di gestione comune dell'emergenza; l'investimento milionario sul covid hospital di Pescara, preteso da chi oggi chiede chiusure territoriali e non generalizzate, sta lì a dimostrare che un progetto condiviso non c'è, piuttosto si lavora ognuno per il suo bacino elettorale di riferimento. Eppure. parliamo di una piccola regione di poco più di 1 milione di abitanti che potrebbe, e dovrebbe, gestire la sanità in una ottica di complementarità dei territori e non di contrapposizione. Ricordate la discussione sui Dea di II° livello, le faide tra territori per avere un hub ad alta specializzazione piuttosto che pensare a come integrare le eccellenze dei diversi nosocomi dentro un disegno di sanità comune?
E' evidente come questo accada per l'assenza di una guida politica chiara, autorevole, per l'assenza di una visione, di un progetto di Regione capace di valorizzare le diverse vocazioni territoriali e che, in questi anni, non da ieri, ha fatto marciare l'Abruzzo a diverse velocità; ed oggi, dinanzi all'emergenza pandemica, i nodi vengono al pettine.