Sabato, 02 Gennaio 2021 21:49

L'Aquila, l'augurio per il 2021: la città torni a confrontarsi e discutere

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Inizia il 2021, un anno che “vedrà il coronamento di opere pubbliche importanti” abbiamo letto in diverse interviste al sindaco della città Pierluigi Biondi, all’ultimo anno pieno di legislatura, e ad esponenti della sua Giunta. Dovremmo assistere alla pavimentazione di Piazza Duomo, un progetto da 7 milioni di euro, alla demolizione e ricostruzione del Ponte Belvedere strallato (è davvero difficile, a dire il vero, che l’inaugurazione arriverà nei prossimi 12 mesi) dopo una impasse lunga anni, tra progetti faraonici e promesse (non mantenute) ai residenti di via Fontesecco. E poi, dopo anni dovrebbe essere restituito alla città Palazzo Margherita, cantiere inaugurato (due volte) dalla passata Giunta di centrosinistra e ‘minato’ da inconvenienti figli di una cattiva programmazione, leggasi alla voce sottoservizi; a 12 anni dal terremoto, inoltre, dovrebbe vedere finalmente la luce il Parco della Memoria di Piazzale Paoli, a valle di una lunghissima e dolorosa gestazione, e dovrebbe arrivare a definizione il progetto di Porta Leoni con annesso parcheggio di prossimità a servizio del centro storico.

Non solo.

Il 18 gennaio sapremo se L’Aquila sarà scelta come Capitale Italiana della Cultura 2022, che significa una ampia visibilità a livello nazionale e lo stanziamento di 1 milione di euro per il progetto: l’augurio è che la nostra città possa farcela. Facciamo sommessamente notare, d’altra parte, che l’amministrazione Biondi ha perso 750 mila euro che erano stati destinati al Festival degli Incontri pensato per il decennale, affossato per ragioni politiche e mai recuperato data (anche) l’emergenza covid.

Basterà per rilanciare la città?

Mancata pianificazione A dodici anni dal terremoto, il taglio del nastro di opere pure fondamentali dovrebbe essere vissuto come un fatto dovuto, certo importante per restituire normalità al nostro vivere comunitario ma che sta dentro un processo di ricostruzione pubblica che, tra lungaggini burocratiche e intoppi – e la responsabilità è anche, ma non solo, delle amministrazioni che si sono succedute dal 2009 ad oggi – sta restituendo pezzi di città.

In un contesto economico, sociale e culturale profondamente cambiato, però, non è più rinviabile la necessità di mettere in campo una idea di città capace di proiettare L’Aquila nel futuro, con lo sguardo rivolto ai prossimi trent’anni, provando intanto a renderla finalmente vivibile, già domani, e per tutti.

Al termine della legislatura, nella primavera 2022, allorquando saranno passati 13 anni dal terremoto, l’amministrazione Biondi avrà fallito l’obiettivo - come la passata Giunta di centrosinistra, d’altra parte - di dare alla città un nuovo piano regolatore generale, ed è sconcertante se si pensa che il territorio è stato stravolto dal terremoto e oggi vive dinamiche epocali che stanno riscrivendo le regole del nostro fare comunitario.

Si è persa l’occasione di pianificare e, senza pianificazione, non si può progettare il futuro.

Oggi L’Aquila è una città sconnessa, un corpaccione informe spalmato su un territorio vastissimo; assicurare servizi pubblici adeguati, di fatto, è praticamente impossibile. Un caso, tra gli altri: i cittadini pagano una tassa sui rifiuti tra le più alte d’Italia a fronte di un indice di raccolta differenziata ampiamente insoddisfacente. Un altro esempio, per rendere l’idea: gli aquilani hanno sborsato milioni di euro per salvare la società partecipata del trasporto pubblico locale, tecnicamente fallita, a fronte di un servizio insufficiente.

La città dei 15 minuti In un momento in cui nel mondo si discutono e si progettano le città del futuro, con spazi abitativi a breve distanza dal lavoro e dai servizi – le città del quarto d’ora, per citare Stefano Boeri, quelle che provano a garantire ai cittadini la possibilità di soddisfare la maggior parte dei propri bisogni quotidiani con una passeggiata da casa – L’Aquila è ‘spalmata’ su decine e decine di frazioni lontane tra loro, non collegate, prive dei servizi essenziali, in alcuni casi persino di spazi verdi attrezzati e di luoghi di ritrovo comunitario.

In una città ‘attraversata’ da un flusso economico straordinario, sta tramontando l’idea di ridisegnare e ripensare gli spazi urbani. D’altra parte, il Comune in ricostruzione ha un settore urbanistico che, di fatto, è fermo da 3 anni e mezzo, lasciato senza assessore di riferimento negli ultimi sei mesi.

In molti dipingono il futuro come caratterizzato da città pensate come arcipelaghi di quartieri; la città dei 15 minuti si costruisce collegando a scala locale diversi programmi: quelli attinenti gli asili, le scuole e i centri di assistenza socio sanitaria, prima di tutto, e poi il verde, la dotazione di spazi pubblici e la mobilità. Ma anche le opportunità di lavoro, sia quelle portate dalla ridistribuzione territoriale del lavoro online sia quelle prodotte dalla rivitalizzazione di attività artigianali tradizionali. Sia chiaro, un quartiere autosufficiente non deve essere inteso come un luogo chiuso: ne discende l’idea dell’arcipelago di quartieri.

Ebbene, all’Aquila questa struttura di quartieri - e di frazioni - è già nei fatti e, dunque, da problema potrebbe essere trasformata in una opportunità. Qui dovrebbe incidere il piano regolatore generale da cui dovrebbero discendere, poi, i piani puntuali, dalla collocazione delle scuole – da intendersi non soltanto come complesso di aule dove fare lezione al mattino ma luoghi aperti alla comunità per tutto il giorno – a quello dei trasporti e così via.

Insomma, la sfida dovrebbe essere quella di immaginare le frazioni e i quartieri tutt’intorno al centro storico come sistemi capaci di garantire ai cittadini di poter fruire dei servizi essenziali in poco tempo, a piedi o, almeno, con un sistema di trasporto pubblico puntuale e ragionato.

E resta ancora da scrivere il destino dei 19 quartieri del progetto Case, con le palazzine non manutenute – alcune in stato di vero e proprio abbandono – che rischiano di divenire una zavorra per il bilancio comunale. Intelligente, in questo senso, il progetto messo in campo per recuperare alcune piastre a servizio della Scuola di formazione dei Vigili del Fuoco che avrà qui una delle tre sedi nazionali.

Ma allargando lo sguardo, L’Aquila avrebbe bisogno di un piano regolatore territoriale, di immaginare cioè lo sviluppo della città dentro un progetto che non può che parlare ai comuni del circondario.

L’Aquila nasce come città territorio, nel rapporto col territorio trova senso di esistere: ebbene, il territorio racconta di spopolamento, invecchiamento della popolazione, riduzione drastica delle nascite, continua contrazione dell’occupazione, inaccessibilità, isolamento che sono conseguenza e motivo della desertificazione dei servizi essenziali, a partire dalle scuole e dai presidi sociosanitari.

Torniamo, così, alla necessità di pianificare, di progettare in modo inclusivo, che non attiene, evidentemente, al solo ambito urbanistico. Ad oggi, per dire, l’amministrazione non ha ancora un’idea chiara e definita per il rilancio e lo sviluppo del comprensorio del Gran Sasso; il dibattito che pure si era sviluppato, sebbene polarizzato, è stato messo a tacere.

La vocazione del centro storico E si fa fatica ad immaginare una vocazione credibile anche per il centro storico che sta diventando, pericolosamente, la ‘quinta’ di grandi eventi che, pure avendo il merito di restituire una vitalità dimenticata, non stimolano la presenza quotidiana dei cittadini, l’unico antidoto alla trasformazione di quello che era il cuore pulsante della città – e proprio nell’accezione di città territorio – in una magnifica scenografia teatrale che si accende soltanto per uno spettacolo, e resta buia dopo.

Presenza quotidiana significa, e pare pure banale dirlo, residenzialità; il centro storico va reso un luogo desiderabile dove vivere, in particolare per le giovani coppie, e ciò passa, senza dubbio, dalla diffusa pedonalizzazione che va accompagnata, però, da scelte strategiche chiare, a partire dalla pianificazione dei parcheggi di prossimità (e qui il ritardo è cronico), dalla definizione degli uffici pubblici da riportare in centro - sulla pianificazione della ricostruzione della sede comunale, col ridisegno delle funzioni su altre polarità siamo ancora all’anno zero – che siano volano anche per le attività commerciali, dalla garanzia di servizi essenziali a distanza di passeggiata.

Non basta, certo: per questo, il centro storico va reso un luogo ad alta vocazione di innovazione e ricerca; un ruolo fondamentale potranno e dovranno giocare l’Università e il GSSI: l’idea di realizzare un hub per le start up innovative a Palazzo Carli non andrebbe tenuta chiusa in un cassetto, bisognerebbe puntare con decisione sul masterplan di riqualificazione di San Basilio, accompagnare la trasformazione della villa Comunale che sta cambiando volto di pari passo alla crescita del GSSI, stimolando l’interesse – e le opportunità – garantite dalla fibra ottica che arriva fin dentro i palazzi storici restaurati.

Le nuove povertà C’è poi una gigantesca questione sociale che si è aperta in città, col rischio che possa acuirsi nei prossimi mesi: l’ultimo bando per i buoni alimentari ci ha restituito l’immagine di ampie fasce di cittadini in fila per il contributo all’acquisto di beni di prima necessità; 1300 famiglie sono risultate beneficiarie. Al netto di domande che potrebbero essere arrivate dai ‘soliti’ furbetti che si dichiarano nullatenenti pur potendo disporre di patrimoni materiali e immateriali intestati a familiari, parliamo di almeno 3mila persone in difficoltà. E se si considera che altri non hanno neppure saputo del bando, possiamo ipotizzare che ci siano 5mila aquilani circa in stato di indigenza, una stima che si avvicina alle proiezioni diffuse negli anni scorsi dagli uffici delle politiche sociali.

Vanno implementate politiche sociali capaci di dare risposta alle esigenze delle famiglie in difficoltà: lascia sconcertati che non si è stati in grado neanche di attivare i buoni per la vigilia di Natale. La forbice delle disuguaglianze, a L’Aquila, è più ampia che altrove – ha influito il post terremoto, ovviamente, con pochi che si sono arricchiti e tanti che sono andati in difficoltà – e ciò è preoccupante, pensando alla tenuta del tessuto comunitario.

D’altra parte, il dibattito pubblico sembra voler tenere sotto il tappeto le difficoltà diffuse; al contrario, andrebbe avviato un ampio dibattito territoriale sul 4% dei fondi per la ricostruzione destinati allo sviluppo economico ancora disponibili, e parliamo di decine e decine di milioni, una leva che altri territori non hanno. Fino ad oggi si è giocato in difesa, puntellando i settori trainanti l’economia del territorio, ristorando chi era in difficoltà e incentivando alcune specifiche attività. Tuttavia, il risultato ottenuto può dirsi insoddisfacente rispetto agli obiettivi attesi, stando almeno al ritorno in termini di occupazione. E dunque, non bisogna perdere l’occasione di pianificare – ci risiamo – una strategia chiara, sfuggendo la tentazione dei contributi a pioggia, orientando gli investimenti su alcuni settori specifici dentro un progetto di lungo respiro che prenda le mosse dal famoso rapporto dell’Ocse che va attualizzato però, come ovvio e necessario, alle sfide inedite che si profilano all’orizzonte.

Bisogna dare risposta ad una domanda che, fino ad oggi, è stata scansata: di cosa vivrà L’Aquila una volta terminata la ricostruzione? Su cosa poggerà l’economia? Che ruolo potrà giocare la città dentro le profonde trasformazioni in atto? Ci chiediamo, ed è un esempio tra gli altri: è davvero prioritario pensare a collegare la città con l’alta velocità ferroviaria a fronte di un investimento milionario o, piuttosto, sono le infrastrutture digitali quelle su cui puntare? L’Aquila è la città della sperimentazione del 5G, è la città della ricerca e della conoscenza: ebbene, è accettabile che la nostra provincia – ed in particolare, le aree interne dell’aquilano - siano tra le peggiori d’Italia per diffusione dei collegamenti internet ad alta velocità? E se fosse questo l’investimento infrastrutturale capace di collegarci al mondo, valorizzando le ricchezze del nostro territorio?

Le risposte bisognerebbe darsele in tempi brevi, anzi brevissimi

Sport e cultura Andrebbe aperto, poi, un lungo capitolo dedicato allo sport, ed in particolare a quello di base: L’Aquila, città europea dello sport 2022 per Aces Europe (?), sconta un ritardo drammatico per ciò che attiene l’impiantistica sportiva – il caso Verdeaqua è emblematico, in questo senso – con ripercussioni sulle attività, pure fondamentali, delle società aquilane. Per non parlare di ciò che è accaduto, negli anni, all’Aquila calcio, salvata dai tifosi dopo che la politica per anni ha mediato con personaggi bizzarri, usando un eufemismo, tacendo sulla fine ingloriosa della squadra di rugby che lustro ha saputo regalare alla città per decenni. E’ questa la realtà, oltre i titoli: e sia chiaro, lo sport è un motore determinante per il benessere diffuso della comunità. Ce ne dimentichiamo troppo spesso.

Chiudiamo da dove abbiamo aperto, dalla cultura. Lo ribadiamo: ci auguriamo tutti che L’Aquila possa divenire Capitale italiana della cultura 2022. Di nuovo, però: non basterà.

Le nostre Istituzioni culturali sono in difficoltà, sono state sovvenzionate, in questi anni, con i fondi Restart dedicati ma che cosa accadrà quando i soldi finiranno? Saranno in grado di andare avanti, garantendo una produzione di qualità? Saranno in grado di modificare i linguaggi, aprendosi ad altri pubblici oltre quelli che tradizionalmente seguono gli spettacoli?

La sfida sta nel portare la produzione culturale a contatto con altre dimensioni del vivere comune.

Ce lo ha insegnato Alessandro Crociata, in una illuminante intervista rilasciata a news-town qualche mese fa; non basta investire milioni di euro sugli eventi culturali, ragionando semplicemente in termini di pubblico che ‘consuma’ cultura nei termini classici cui siamo abituati: l’investimento sulla cultura offre i risultati attesi se si investe dentro un disegno ampio di coinvolgimento della base sociale, con un’idea di sviluppo micro-fondato, basato sul comportamento dell’individuo; va sostenuta la domanda, va stimolata la partecipazione, vanno messi in campo progetti culturali capaci di tenere insieme più attori della struttura socio-spaziale-relazionale che fa una città. E anche su questo, siamo molto in ritardo.

Un augurio per il 2021 Può una amministrazione generare questi cambiamenti in un tempo ristretto? Certamente no.

Ciò che una amministrazione può fare, ciò che una classe dirigente diffusa può determinare, ciò che i cittadini, d’altra parte, possono stimolare, è l’avvio di un confronto, di un dibattito allargato che risvegli una pubblica opinione sonnolenta; L’Aquila ha bisogno di tornare a confrontarsi sul suo futuro, di ‘uscire’ dalla logica degli annunci, dei riconoscimenti da rivendicare, delle opere da inaugurare e dei grandi eventi da organizzare, per iniziare ad interrogarsi davvero sul futuro, su ciò che sarà – e vorrà essere - a ricostruzione conclusa, sul ruolo che dovrà - e vorrà - giocare dentro un mondo in trasformazione. L’Aquila ha bisogno di ritrovare la vivacità del post terremoto, il conflitto tra le idee capace di stimolare le intelligenze, la partecipazione attiva.

E’ questo, dunque, l’augurio per l’anno che è appena iniziato: che sia un anno di confronti, ed anche di ‘scontri’ se necessario, di riflessione e di studio, che sia un anno di costruzione per citare il presidente della Repubblica.

In questo senso, news-town proverà ad offrire il suo contributo. Buon anno!

 

Ultima modifica il Domenica, 03 Gennaio 2021 19:00

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